Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3582 del 11/02/2021

Cassazione civile sez. III, 11/02/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 11/02/2021), n.3582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32879-2019 proposto da:

K.J., rappresentato e difeso dall’avv. LIVIO NERI, giusta

procura speciale in atti, con studio in Milano, viale Regina

Margherita 30, elettivamente domiciliato presso la cancelleria

civile della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 503/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 21/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. K.J., proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che aveva confermato la pronuncia di rigetto del Tribunale della domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, da lui avanzata in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio paese, in quanto minacciato dal proprietario del terreno confinante con il suo nel quale, mentre stava bruciando le sterpaglie, era divampato un incendio che si era esteso anche nell’appezzamento confinante: il “vicino” lo aveva minacciato di volersi vendicare del danno subito e lui, per timore di ripercussioni, era fuggito dal proprio paese. Ha aggiunto che durante la fuga era stato arrestato e torturato in un centro di detenzione in Libia, dal quale era stato poi liberato prima di imbarcarsi per l’Italia. Ha dedotto, al riguardo, una particolare condizione di vulnerabilità.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32 nonchè dell’art. 5, comma 6 e art. 19 T.U.I. e dell’art. 8CEDU in relazione ai presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. Lamenta, al riguardo:

a. che la Corte territoriale, pur ritenendo credibile il suo racconto, aveva rigettato la domanda di protezione umanitaria senza acquisire informazioni sul paese di origine e senza ricorrere, dunque, a fonti informative attendibili ed aggiornate, secondo i canoni prescritti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3: lamenta, al riguardo, che le notizie sulle condizioni socio-economiche e politiche del (OMISSIS) erano state tratte, nella motivazione, dai siti internet della rivista “L’Espresso” e del quotidiano “La Repubblica”, non qualificabili come COI e lamenta, dunque, che la Corte aveva omesso di adempiere al dovere di cooperazione istruttoria (primo motivo);

b. che era stato violato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 in quanto era stato ritenuto che, ai fini della sua vulnerabilità, fosse irrilevante la detenzione subita in Libia, paese di transito, connotata da torture e prolungati trattamenti disumani e degradanti (primo motivo);

c. che aveva omesso di valutare la sua vulnerabilità nell’ambito del prescritto giudizio comparativo, in quanto non erano stati affatto considerati – in relazione alle omissioni indicate nelle precedenti censure – i principali elementi da raffrontare fra cui le reali condizioni di tutela dei diritti umani all’interno del paese di origine (secondo motivo).

2. I motivi devono essere congiuntamente esaminati in quanto sono strettamente interconnessi ed in parte sovrapponibili.

2.1. Il primo è complessivamente fondato ed assorbe il secondo.

2.2. Infatti la sentenza impugnata è priva di ogni riferimento a fonti informative attendibili ed aggiornate, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 secondo cui “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate sulla situazione del paese di origine dei richiedenti asilo ed, ove occorra, dei paesi in cui questi sono transitati, elaborati dalla Commissione Nazionale sulla base dei dati forniti dall’UCHR, dall’Easo e dal Ministero degli Affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie od enti a di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale o, comunque, acquisite dalla Commissione stessa”: tale previsione – che assegna attendibilità soltanto ad informazioni filtrate dalla valutazione dei principali enti preposti alla tutela del diritto di asilo individuati dalla norma sopra richiamata, impone di ritenere che le fonti indicate dalla Corte territoriale, consistenti nei siti internet delle due testate giornalistiche indicate al punto 1.1. lett. a), devono ritenersi inidonee allo scopo.

2.3. Al riguardo, non è inutile precisare che il dovere di cooperazione istruttoria impone al giudice di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio e l’estrinsecazione dei poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni attendibili ed aggiornate sul Paese di origine del richiedente in riferimento alle vicende prospettate e con specifica indicazione delle fonti in base alle quali sia stato svolto l’accertamento necessario (cfr. Cass. 11312/2019; Cass.13897/2019); e che, in termini speculari, è stato affermato che “in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (cfr. Cass. 4037/2020): la questione emergente ridonda, dunque, su quella, rilevante rispetto alla valutazione di ammissibilità del motivo, relativa al contenuto necessario minimo della censura in relazione alla motivazione impugnata.

2.5. Si osserva, infatti, che il principio è stato recentemente esteso anche alle ipotesi in cui la motivazione criticata non richiami affatto le COI utilizzate, limitandosi o a generiche affermazioni sulle condizioni sociopolitiche dei paesi di origine dei richiedenti asilo o al richiamo di fonti intrinsecamente non idonee allo scopo, in quanto del tutto estranee alle previsioni del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 sopra richiamato (come, ad esempio, nel caso in esame, il riferimento alle testate giornalistiche sopra indicate).

2.6. E’ stato, infatti, affermato che “chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarne gli estremi; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso. In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio.” (cfr. Cass. 22114/2020 e Cass. 22774/2020).

2.7. Il collegio non condivide la soluzione estensiva prospettata, in quanto essa configura un sostanziale annullamento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, “caricando” impropriamente sul ricorrente un dovere officioso del giudice, e vanificando, con ciò, la ratio del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e tutto il peculiare assetto processuale del procedimento di protezione internazionale: se, infatti, contrapporre alle fonti ufficiali utilizzate dal giudice C.O.I. diverse ed utili a pervenire ad una differente soluzione della controversia rientra nell’onere del ricorrente di rendere “conducente” e decisiva la sua critica, nel caso in cui nel provvedimento impugnato sia assente ogni richiamo ad esse, o siano presenti riferimenti tanto impropri da dover essere considerati inesistenti rispetto alla finalità istruttoria, imporre al ricorrente di farsi carico dell’indicazione e del contenuto delle fonti che il giudice avrebbe dovuto utilizzare, si traduce in una vanificazione della prescrizione della norma testè richiamata, oltre che del paradigma valutativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

2.8. Deve pertanto affermarsi quanto segue:

a. se il provvedimento impugnato in sede di legittimità è del tutto privo del richiamo alle Country Origin Informations, ovvero le informazioni sul paese di origine sono descritte senza alcun riferimento alle fonti consultate, è sufficiente che la censura contenga la contestazione della mancata attivazione del dovere di cooperazione istruttoria senza che sia necessario che il ricorrente indichi di quali fonti si sarebbe dovuto avvalere il giudice di merito;

b. se nel provvedimento impugnato vengono indicate C.O.I non aggiornate alla data della decisione ovvero del tutto irrilevanti in relazione ai fatti allegati, è necessario che il ricorrente deduca di avere allegato COI diverse, senza che queste siano state considerate dal giudice di merito (sia ove la controversia sia trattata in unico grado, sia che ricorra l’ipotesi del doppio grado di giudizio), indicandone gli estremi o trascrivendone i contenuti;

c. se nel provvedimento impugnato vengono indicate COI attendibili ed aggiornate alla data della decisione (EASO, UNHCR, Commissione del Ministero per i rifugiati etc), è necessario che il ricorrente indichi e trascriva, nel motivo di ricorso, le C.O.I. diverse prospettate in sede di merito, evidenziandone le differenze decisive rispetto a quelle che sono state richiamate nel provvedimento impugnato, fermo restando il limite della valutazione insindacabile del loro contenuto articolata dal giudice di merito.

2.9. Conclusivamente sul punto, si ritiene che nel caso in esame – in cui la sentenza impugnata non richiama fonti ufficiali aggiornate di alcun tipo di alcun tipo, visto che le testate giornalistiche indicate non possono essere considerate tali – la censura proposta sia ammissibile e fondata.

3. Risulta altresì centrato il secondo profilo di doglianza dello stesso motivo, nella parte in cui denuncia l’omessa valutazione del trattamento disumano subito nel paese di transito.

3.1. Al riguardo si osserva che la Corte territoriale ha errato nell’affermare che “la Libia è mero paese di transito e, dunque, non rileva ai presenti fini” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) in quanto, in tal modo, ha violato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 che prevede espressamente che il dovere di cooperazione istruttoria deve essere esteso anche al trattamento subito nei paesi che i richiedenti asilo hanno attraversato durante il loro allontanamento dal paese di origine: questa Corte ha, infatti, chiarito che “il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della Persona” (cfr. ex multis Cass. 13096/2019; Cass. 13565/2020).

4. Il secondo motivo, con il quale viene censurata l’assenza di una complessiva valutazione della vulnerabilità del ricorrente e del giudizio di comparazione, necessario per il riconoscimento dei presupposti della protezione umanitaria, rimane logicamente assorbito.

5. In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati.

La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte,

accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021

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