Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3581 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. III, 16/02/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 16/02/2010), n.3581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.C.A. (OMISSIS), M.M.

(OMISSIS), S.R. (OMISSIS), S.C.

(OMISSIS), S.L. (OMISSIS), SO.LO.

(OMISSIS), S.F. (OMISSIS), tutti eredi del

Sig. s.l. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 79,

presso lo studio dell’avvocato TRULIO ANTONIO, rappresentati e difesi

dagli avvocati BECCASIO RAFFAELE, CUSANO CARMINE con delega a margine

del ricorso ;

– ricorrenti –

contro

GAN ITALIA COMPAGNIA ITALIANA ASSICURAZIONI RIASSICURAZIONI SPA

(OMISSIS), in persona del suo Amministratore Delegato e Legale

rappresentante pro tempore Dott. C.M.P.d.T.d.

l.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE

118, presso lo studio dell’avvocato POSI MARIA PIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PLANTADE FRANCOISE

MARIE; con delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

A.N., V.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3262/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Quarta Sezione Civile, emessa il 16/07/2004; depositata il

15/11/2004; R.G.N.2114/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

15/12/2009 dal Consigliere Dott. LANZILLO Raffaella;

udito l’Avvocato CARMINE CUSANO; udito l’Avvocato MARIA PIA POSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 16 luglio – 15 novembre 2004 n. 3262 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Avellino, ha condannato A.N., V.R. e la s.p.a. Gan Italia a pagare a S.C. A., M.M., Lo., F., L., C. e S.R.A. la somma di Euro 204.745,14 oltre interessi legali ed oltre alla metà delle spese dei due gradi di giudizio.

La somma è stata riconosciuta in risarcimento dei danni subiti dagli stessi, in proprio e quali eredi di s.l., a seguito di un incidente stradale avvenuto il (OMISSIS), nel quale ha perso la vita il giovane s.l., rispettivamente figlio e fratello degli attori in primo grado.

Il Tribunale aveva attribuito l’intera responsabilità del sinistro al V. che, alla guida della sua autovettura, aveva investito il motociclo condotto dalla vittima, ed aveva quantificato i danni in complessive L. 770 milioni, oltre rivalutazione ed interessi dalla data del sinistro.

La Corte di appello ha confermato il giudizio sulla responsabilità, riducendo l’importo dei danni.

Con atto notificato il 13 settembre 2005 i S. propongono sette motivi di ricorso per Cassazione.

Resiste Gan Italia con controricorso. Gli altri intimati non hanno depositato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli art. 5, 287 e 288 c.p.c., dell’art. 25 Cost., comma 1, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe avocato a sè il fascicolo contenente l’istanza di correzione della sentenza di primo grado, già rivolta al Tribunale di Avellino prima della notificazione dell’atto di appello e dal Tribunale già introitata per la decisione.

L’istanza di correzione riguardava anche parti della sentenza investite dai motivi di appello. In particolare quelle attinenti ai danni biologici e morali richiesti dagli attori iure haereditario ed alla liquidazione dei danni morali iure proprio.

Su tali domande la Corte di appello si è pronunciata ex novo, ritenendo non comprensibile il testo della sentenza del Tribunale, cosa che non sarebbe avvenuta, se il Tribunale avesse potuto provvedere sull’istanza di correzione, chiarendo i termini della sua decisione.

Lamentano i ricorrenti che in tal modo la Corte di appello si è pronunciata per la prima volta sulle suddette domande, in violazione del principio del doppio grado di giurisdizione.

2.- Il motivo non è fondato.

L’istanza di correzione è stata proposta prima della pubblicazione della sentenza 10 novembre 2004 n. 335 della Corte costituzionale, allorchè il testo dell’art. 287 c.p.c. ammetteva la possibilità di proporre la domanda al Tribunale solo nei casi in cui non fosse stato proposto appello contro la sentenza da correggere.

Correttamente quindi il Tribunale si è spogliato della decisione a seguito della notificazione dell’atto di appello.

2.- Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 2043 c.c., dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 2 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, i ricorrenti censurano la sentenza di appello, nella parte in cui ha negato loro il risarcimento del danno biologico e morale jure haereditatis – che era stato riconosciuto dal Tribunale – con la motivazione che era intercorso troppo breve lasso di tempo (circa mezz’ora) fra il ferimento della vittima e la sua morte clinica.

Assumono i ricorrenti che la Corte di appello ha trascurato senza alcuna motivazione le testimonianze acquisite al giudizio secondo cui s.l. è rimasto cosciente e consapevole della sua sofferenza, nel tempo che ha preceduto il decesso, e lamentano che il mancato risarcimento del relativo danno costituisce violazione del diritto alla vita, protetto dalla Convenzione sui diritti dell’uomo.

2.1.- Il motivo non è fondato.

Va premesso che i ricorrenti hanno chiesto, nelle sedi di merito, il risarcimento iure haereditario dei danni biologici (attinenti alla lesione del diritto alla salute) e dei danni morali (sofferenze fisiche e psichiche) subiti dal congiunto. Non hanno chiesto, invece, il risarcimento del danno per morte (c.d. tanatologico), che in questa sede sembrano richiamare, deducendo la violazione del diritto alla vita.

Per questo aspetto, pertanto, le censure non possono essere prese in esame.

Quanto alle domande proposte, la sentenza impugnata non appare censurabile, laddove ha ritenuto che l’intervallo di tempo trascorso fra il ferimento e la morte sia stato troppo breve perchè la vittima abbia potuto effettivamente percepire i pregiudizi lamentati.

La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che, quando la morte sopraggiunga a brevissima distanza dall’evento lesivo, non è neppur configurabile un danno alla salute o biologico, quanto piuttosto un danno che colpisce direttamente il bene giuridico della vita (Cass. civ. Sez. 3^, 17 gennaio 2008 n. 870), danno quest’ultimo di cui, come si è detto, i ricorrenti non hanno chiesto il risarcimento e che comunque non viene ritenuto risarcibile di per se stesso, non essendo la vittima in grado di soffrirne gli effetti (cfr., anche per la distinzione fra danno biologico e danno per morte, Cass. civ. 27 maggio 2009 n. 12326).

Il risarcimento è stato infatti più volte negato, nel caso di sopravvivenza protrattasi per non più di qualche ora (Cass. civ. Sez. 3^, 21 luglio 2004 n. 13585; 16 giugno 2003 n. 9620; 22 marzo 2007 n. 6946, ed altre).

3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli art. 2059 e 2056 c.c., sul rilievo che la Corte di appello ha ridotto fortemente la somma liquidata dal Tribunale in risarcimento dei danni morali da essi subiti in proprio, senza alcuna motivazione ed in termini arbitrari, limitandosi ad affermare che la decisione del Tribunale era contraddittoria e incomprensibile, poichè aveva quantificato il danno in L. 150.000.000 complessive, dopo avere premesso che per ciascun genitore il danno non era inferiore a L. 100.000.000.

Rilevano i ricorrenti che si è trattato di mero errore di calcolo, del quale essi avevano per l’appunto chiesto la correzione.

La Corte di appello, per contro, ha proceduto a nuova e diversa valutazione, quantificando i danni morali in L. 150.000.000 per ogni genitore ed in L. 30.000.000 per ogni fratello della vittima, alla data della sentenza, somme che – devalutate alla data del sinistro – corrispondono a L. 100 milioni per ogni genitore ed a L. 20 milioni per ogni fratello e che sarebbero del tutto inadeguate.

Rilevano che la L. 21 dicembre 1999, n. 497 ha attribuito ad ogni vittima della caduta della funivia del (OMISSIS) (avvenuta il (OMISSIS)) un indennizzo pari nel massimo a L. 3,8 miliardi, così quantificando il valore di ogni vita umana, e che la motivazione della Corte di appello è da ritenere illogica e contraddittoria, ove afferma che il danno morale è da ritenere più lieve, nei nuclei familiari numerosi, qual è quello dei danneggiati.

3.1.- Il motivo non è fondato.

Premesso che la quantificazione dei danni morali non è questione suscettibile di correzione, ma concerne il giudizio sulla domanda, sicchè giustamente la Corte di appello ha proceduto a diversa valutazione, ritenendo incomprensibile o non condivisibile la decisione del Tribunale sul punto, la suddetta quantificazione è inevitabilmente frutto di una valutazione equitativa del giudice, non sussistendo criteri oggettivi in base ai quali determinare l’entità delle sofferenze di ciascuno.

La decisione è quindi suscettibile di censura solo sotto il profilo degli eventuali vizi di motivazione, ove i criteri adottati per la liquidazione appaiano intrinsecamente illogici, o gravemente contrastanti con le leggi o con la prassi giurisprudenziale e non siano illustrati i principi, o le peculiarità del caso concreto, che abbiano indotto a giustificare lo scostamento.

Sotto questo profilo le censure dei ricorrenti appaiono generiche e non appropriate.

La motivazione per cui la perdita di un congiunto è meglio tollerata all’interno di una famiglia numerosa è indubbiamente discutibile, non potendosi valutare le perdite di tal genere sulla base di criteri quantitativi. Non appare tuttavia neppure illogica, ove si effettui la comparazione – che la Corte di appello aveva presumibilmente presente – con le situazioni di chi perda l’unico figlio o l’unico genitore, o l’unico parente rimastogli al mondo.

Ma soprattutto, non risulta in che misura la suddetta motivazione abbia inciso sulla quantificazione della somma dovuta in risarcimento, ed in quale misura detta quantificazione sarebbe stata altrimenti diversa (problema che peraltro si pone quasi inevitabilmente nelle motivazioni che accompagnano la liquidazione equitativa dei danni morali, sulla base di dati esclusivamente soggettivi).

Essenziale è che le somme concretamente liquidate non risultino oggettivamente irrisorie od incongrue, o comunque tali da dimostrare illogicità o vizi intrinseci al ragionamento del giudice: il che non può dirsi del caso in esame.

Quanto agli indennizzi di cui alla L. n. 497 del 1999, il parallelo non è in termini, sia perchè trattasi di indennizzi speciali, attribuiti dallo Stato in vista della peculiarità dell’illecito, provocato con colpa grave da esercitazioni delle forze armate; sia perchè la somma di L. 3,8 miliardi non esprime il risarcimento dei danni morali spettante alla singola vittima, ma il limite massimo entro il quale deve essere determinato il risarcimento di tutti i danni subiti (patrimoniali, non patrimoniali, ecc.) dall’intero nucleo familiare di ogni singola vittima (cfr. L. n. 497 del 1998, artt. 1 e 4).

Ciò premesso, è indubbio che non vi è somma di denaro idonea a compensare i superstiti per la morte di un figlio, genitore o fratello; ma non vi è neppure persona o società che potrebbe pagare il compenso adeguato (ove ve ne fosse uno).

Pertanto, entro i ristretti limiti in cui l’ordinamento giuridico può fare fronte a vicende dolorose e tragiche come quella in esame, è da ritenere che la decisione impugnata non si sia discostata dai criteri in base ai quali il risarcimento dei danni morali può essere quantificato, ed abbia a ciò ha provveduto con valutazione equitativa adeguatamente motivata e non suscettibile di riesame in questa sede.

4.- Il quarto ed il quinto motivo, con cui i ricorrenti lamentano la violazione degli art. 2043 e 2056 c.c., per avere la Corte di appello negato il risarcimento dei danni subiti dai genitori a causa del venir meno del futuro sostegno economico del figlio, ed il rimborso delle spese di costruzione di una cappella funeraria, non sono fondati.

Correttamente ha ritenuto la Corte di appello che il danno patrimoniale futuro rivendicato dai genitori sia eccessivamente aleatorio ed incerto per poter essere risarcito, non essendovi alcun concreto elemento da cui si possa desumere o presumere che il defunto provvedesse, o che sarebbe stato in grado di provvedere in futuro, alle loro necessità (sempre che tali necessità si presentino).

Il danno lamentato appare cioè connotato da margini di incertezza di tale rilievo, da non poter dare adito ad una voce di danno risarcibile.

Neppure è censurabile il rilievo della Corte di appello secondo cui la costruzione di una cappella funeraria non rientra fra le spese necessarie, suscettibili di rimborso, in aggiunta a quelle inerenti alla normale sepoltura (che sono state riconosciute e liquidate ai danneggiati).

5.- Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano ancora la violazione dell’art. 2056 c.c., dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 1, e dell’art. 1223 c.c., per avere la Corte di appello negato loro il diritto agli interessi legali maturati sulla somma dovuta in risarcimento dei danni, disattendendo i principi enunciati da questa Corte a Sezioni unite, con la sentenza n. 1712/1995, in applicazione di diverso e sconosciuto indirizzo giurisprudenziale.

5.1.- Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata non ha negato la corresponsione degli interessi sulla somma dovuta in risarcimento, ma – avendo proceduto alla quantificazione di detta somma con riferimento al valore spettante alla data della sentenza, secondo una delle possibili modalità di calcolo (cfr. Cass. civ. 18 novembre 2000 n. 14930; Cass. civ. Sez. 3^, 23 luglio 2002 n. 10751; Cass. civ. Sez. 3^, 8 aprile 2003 n. 5503) – ha compreso in tale somma il danno da ritardata corresponsione, commisurandone l’indennizzo ad un incremento del 5% annuo dell’investimento di una somma media fra l’importo liquidato e quello ad esso corrispondente, come potere di acquisto, all’epoca del fatto dannoso.

L’importo degli interessi già maturati è stato così incluso nella somma capitale attualizzata alla data della decisione, mentre gli interessi legali relativi al periodo successivo alla pubblicazione della sentenza sono stati attribuiti ai danneggiati.

La Corte di appello non ha quindi disatteso i principi enunciati da Cass. S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712, nè le norme in tema di risarcimento dei danni da illecito civile.

6.- Il settimo motivo, con cui i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la Corte di appello compensato la metà delle spese dei due gradi di giudizio, è inammissibile, essendo il giudizio sulla compensazione delle spese rimesso alla discrezionale valutazione del giudice di merito e non suscettibile di riesame in sede di legittimità ove risulti congruamente motivato.

Nè i ricorrenti hanno dimostrato che la liquidazione delle spese sia avvenuta in violazione dei minimi tariffari o di altre norme di legge.

7.- Il ricorso deve essere rigettato.

5.- Considerata la natura della vertenza e delle questioni dibattute, e la disparità delle salutazioni contenute nelle sentenze di merito, che può avere ingenerato nei ricorrenti obiettiva incertezza sulla corretta soluzione, si ritiene che ricorrano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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