Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3581 del 14/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3581 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: FEDERICO GUIDO

SENTENZA

sul ricorso 5922-2013 proposto da:
SALPIETRO SEBASTIANO, elettivamente domiciliato in ROMA,
V.LE GIUSEPPE MAllINI 142, presso lo studio
dell’avvocato VINCENZO ALBERTO PENNISI, rappresentato e
difeso dall’avvocato SALVATORE CUFFARI;
– ricorrente contro

GRILLO ADELE, domiciliata in ROMA ex lege P.ZZA CAVOUR
presso la CORTE di CASSAZIONE rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVATORE TRIMBOLI;
RACITI GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
ARDEA 27,

presso lo studio dell’avvocato ANIELLO

Data pubblicazione: 14/02/2018

SABATINO, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO
GIUFFRIDA;
– controricorrentí nonchè contro

SCIUTO ANTONINO;
– intimato –

CATANIA, depositata il 13/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/11/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO
FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALESSANDRO PEPE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Vincenzo Alberto PENNISI con delega
depositata in udienza dell’Avvocato CUFFARI Salvatore,
difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso.

avverso la sentenza n. 445/2012 della CORTE D’APPELLO di

Esposizione del fatto
Con atto di citazione notificato il 28.6.2005 Giuseppe Raciti, premesso
di essere proprietario di un fabbricato con annesso cortile, conveniva

innanzi al Tribunale di Catania i coniugi Vincenzo Salpietro ed Angela
Carcione, proponendo nei loro confronti azione di rivendica del cortile,
che i convenuti avevano liberamente utilizzato e del quale assumevano di
essere proprietari.
I convenuti resistevano, affermando la proprietà esclusiva del cortile in
contestazione di cui chiedevano, in via riconvenzionale, dichiararsi la
loro proprietà esclusiva, deducendo, in subordine, di aver in ogni caso
acquistato il bene per usucapione.
In corso di causa, intervenivano ex art. 111 cpc Adele Grillo ed Antonino
Sciuto , i quali avevano acquistato dal Raciti il diritto di proprietà della
casa prospicente il cortile e concludevano per l’accoglimento della
domanda.
Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda spiegata dai convenuti in
via riconvenzionale e dichiarava che questi ultimi erano proprietari, in
via esclusiva, del cortile retrostante l’immobile di loro proprietà, per
averlo acquistato con atto del 9 ottobre 1978.
La Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado,
dichiarò che il cortile era di proprietà esclusiva degli appellanti, signori
Grillo e Sciuto e condannò i signori Salpietro e Carcione al rilascio del
cortile ed a rimuovere le opere ivi realizzate.
Il giudice di appello, in particolare, accertò la mancanza, in capo ai
signori Salpietro e Carcione, di un valido titolo di acquisto della
proprietà, non essendo il loro dante causa proprietario del bene.

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Ritenne inoltre che i signori Salpietro e Carcione non avevano provato
l’acquisto della proprietà del cortile per usucapione, non risultando
dimostrato il possesso in via esclusiva, per oltre venti anni, di detto bene.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso, con otto motivi,
Sebastiano Salpietro, quale erede dei signori Vincenzo Salpietro ed
Angela Carcione.
Il Raciti e la signora Grillo hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente, in prossimità dell’odierna udienza collegiale, ha depositato
memorie ex art. 378 codice di rito.
Ritenuto in diritto
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 81 e 276 cpc in relazione all’art. 360 n.4) cpc,
deducendo la nullità della sentenza per avere omesso di accertare che gli
appellanti, signori Sciuto e Grillo, intervenuti nel processo
successivamente allo scadere del termine ex art. 183 cpc, erano privi di
legittimazione ad impugnare la sentenza di primo grado.
Il motivo è infondato.
I signori Sciuto e Grillo sono infatti, pacificamente, aventi causa
dell’originario attore Giuseppe Raciti, per avere da costui acquistato
l’immobile prospicente il cortile per cui è causa.
Con l’atto di intervento ex art. 111 comma 3 cpc , dunque, essi facevano
dunque valere un proprio diritto, ancorchè nelle conclusioni si siano
riportati alle richieste del loro dante causa.
Posto che l’interpretazione della domanda non deve limitarsi al tenore
letterale degli atti, ma deve avere riguardo al contenuto sostanziale della
pretesa fatta valere (Cass. 21087/2015), non vi è dubbio che mediante

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l’intervento gli acquirenti abbiano inteso far valere, ai sensi dell’art. 111
cpc, il proprio diritto di proprietà sul cortile, quale pertinenza ad essi
trasferita unitamente all’immobile principale dal Raciti.

Da ciò, la loro legittimazione ad impugnare la sentenza resa nei confronti
del proprio dante causa (Cass. 9250 del 2017).
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 99 e 112 cpc, in
relazione all’art. 360 n. 4) cpc, deducendo il vizio di ultra-petizione della
sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale dichiarato l’inefficacia
dell’atto di compravendita, stipulato nel 1978 in favore dei signori
Salpietro-Carcione, in assenza di domanda.
Il motivo è infondato.
Nel conflitto sulla proprietà della res controversa, la validità ed efficacia
dei rispettivi titoli di acquisto dei contendenti, costituisce infatti
accertamento presupposto, che può e deve essere effettuato anche
d’ufficio dal giudice, seppure in via incidentale e con effetti limitati al
giudizio in cui viene effettuato, al fine di decidere sulla domanda di
rivendica del bene.
Non sussiste dunque il dedotto vizio di ultra-petizione, atteso che nelle
azioni a difesa della proprietà — come pure degli altri diritti reali di
godimento, quali diritti autodeterminati – la “causa petendi” si identifica
con il diritto fatto valere, ed implica l’accertamento della validità ed
opponibilità a chi agisce in rivendica del titolo fatto valere dalla
controparte.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art.116 cpc, nonchè l’omessa e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in
relazione agli artt. 360 nn.3 e 5 cpc, lamentando che la sentenza

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impugnata abbia erroneamente affermato che nessun teste aveva riferito
in ordine all’epoca di realizzazione di un manufatto da parte dei signori
Salpietro nel cortile per cui è causa, ed aver conseguentemente ritenuto il

mancato raggiungimento della prova dell’esercizio di un potere di fatto
ultraventennale su detto bene.
Il motivo è inammissibile per carenza di decisività, in quanto non censura
tutte le rationes decidendi della statuizione impugnata.
La Corte territoriale, infatti, dopo aver rilevato che nessuno dei testi
aveva riferito circa l’epoca della costruzione, ha altresí affermato che, in
ogni caso, sarebbe stato eventualmente ravvisabile, in capo ai signori
Salpietro, una situazione di compossesso, inidonea ai fini
dell’usucapione del bene, essendo invece necessaria un’attività
incompatibile con il possesso altrui.
Tale ulteriore ed autonoma ratio decidendi della pronuncia non è stata
specificamente censurata.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 345 cpc, nonché
l’omessa pronuncia su eccezioni ritualmente formulate, nonché l’omessa
e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, ai sensi
dell’art. 360 nn.3 e 5 cpc; il ricorrente lamenta in particolare che la Corte
abbia omesso di rilevare la novità della domanda proposta dai signori
Grillo e Sciuto nell’ atto di appello, intrinsecamente diversa da quella
fatta valere in primo grado.
Il motivo non ha pregio.
La domanda spiegata dagli appellanti in sede di impugnazione ha infatti
il medesimo contenuto di quella da essi proposta in primo grado , seppure

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formulata per relationem con quella del loro dante causa, ed ha ad
oggetto la rivendica dell’area cortilizia.
Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1159

c.c., 112 cpc e 1362 e 1363 c.c., nonché omessa o contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della causa, ex art. 360 nn.3 e 5 cpc.
Con esso si lamenta che il giudice di appello abbia erroneamente
qualificato la domanda proposta come di usucapione ordinaria, invece
che di usucapione decennale ex art.1159 c.c.
Pure tale motivo è inammissibile per carenza di decisività, in quanto non
coglie la ratio della pronuncia impugnata.
La Corte territoriale ha infatti escluso tout court la configurabilità in capo
ai coniugi Salpietro di un valido possesso ad usucapionem, caratterizzato
dall’ intenzione di esercitare sulla cosa un potere di fatto in via esclusiva,
piuttosto che un godimento derivante da mera tolleranza dei
compossessori.
Il giudice di appello ha infatti accertato che i coniugi Salpietro non
avevano posto in essere alcuna attività diretta ad escludere dal godimento
dell’area cortilizia i danti causa del Raciti, i quali potevano liberamente
accedervi dalla via pubblica e che, seppure saltuariamente, si erano ivi
recati per far visitare la casa, successivamente venduta, ai potenziali
acquirenti.
Non rileva dunque il minor lasso temporale necessario ai fini del
perfezionamento dell’usucapione di cui all’art. 1159 c.c.
Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 116 cpc, nonchè omessa e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo, deducendo l’erroneità
dell’accertamento della Corte territoriale, la quale, nell’esaminare la

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posizione del dante causa dei coniugi Salpietro, Alfio Pappalardo, ha
escluso che il “piccolo tratto di cortile – a lui attribuito in eredità,
corrispondesse al cortile per cui è causa, deducendo che detta

conclusione sarebbe in contrasto con diverse planimetrie e materiale
fotografico.
Il settimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.
112 e 115 cpc, nonché l’omessa e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della causa, ai sensi degli artt. 360 nn. 3 e 5 cpc,
lamentando l’erroneità dell’accertamento della Corte territoriale, come
desumibile dalle specifiche contestazioni dei coniugi Salpietro e dalla
documentazione da essi prodotta, secondo cui ad Alfio Pappalardo, dante
causa dell’odierno ricorrente, veniva lasciata unicamente la casetta
composta da una sola camera ed una piccola porzione del cortile
retrostante, per la realizzazione di altro vano poi edificato, con mero
diritto di passaggio.
L ‘ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362
e 1363 c.c., nonché l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della causa, ai sensi degli artt. 360 nn. 3) e 5) cpc, per avere la
Corte territoriale erroneamente interpretato i testamenti pubblici di Pietro
Pappalardo e Caterina Calvagna.
I motivi, che, in quanto strettamente connessi, vanno unitariamente
esaminati, non hanno pregio, in quanto, nonostante le diverse
disposizioni di cui si lamenta la violazione ( art 116 cpc, ovvero 112 e
115 cpc), afferenti ai criteri di valutazione delle prove e del contegno
processuale delle parti, tendono, di fatto, a sollecitare un nuovo esame e

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valutazione, nel merito, delle risultanze processuali, inammissibile nel
presente giudizio di legittimità.
Del pari inammissibile, per genericità, la dedotta violazione degli artt.

1362 e 1363 c.c. in relazione all’interpretazione dei testamenti pubblici in
favore dei danti causa delle parti.
Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la parte che,
con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un
vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale
non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt.
1362 e ss. cod. civ., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto
assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia
dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera
contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella
sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere
accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla
trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti,
al fine di consentire alla Corte di esercitare, nei termini esattamente
individuati dal ricorrente, il proprio sindacato sull’ applicazione della
disciplina normativa (Cass.25728/2013).
Va infine rilevata l’inammissibilità della censura di carenza
motivazionale, contenuta in tutti i motivi.
Il giudice di appello ha infatti accertato, con adeguato apprezzamento di
fatto e previo esame delle risultanze documentali ed interpretazione dei
due testamenti pubblici in favore dei danti causa delle parti, il contenuto
dei rispettivi titoli di proprietà, giungendo alla conclusione che ad Alfio

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Pappalardo, dante causa dell’odierno ricorrente, non era stato trasferito il
cortile per cui è causa.
Tale accertamento, in quanto fondato su motivazione logica , coerente ed

adeguata, non è sindacabile nel presente giudizio.
Ed invero, come questa Corte ha ripetutamente affermato, il vizio di
omessa o insufficiente motivazione sussiste solo quando nel
ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia
riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha
condotto alla formazione del proprio convincimento , ma non può
consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date
dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo
a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le
prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le
risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i
casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un
valore legale (Cass. n.6064/2008).
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

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Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio,
che liquida in 3.700,00 €, di cui 200,00 € per rimborso spese vive, oltre a

legge, in favore di ciascuna parte.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 21 novembre 2017
Il 7 E.
.

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ario Giudiziario
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DEPOSITATO IN CANCELLERIA
1
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Roma,

4 FEB

rimborso forfetario per spese generali, in misura del 15%, ed accessori di

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