Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3581 del 14/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3581 Anno 2014
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: BERNABAI RENATO

ORDINANZA
sul ricorso 9299-2012 proposto da:
QUINTAVALLE ALDO in proprio e per la famiglia coltivatrice, anche jure haereditario
per i genitori (defunti) Edoardo Quintavalle e Verna di Ermenegildo, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 10, presso lo studio dell’avvocato DE
JORIO FILIPPO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LONGO
LUCIO FILIPPO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
SOCIETA’ EDILIZIA PINETO SEP SPA in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTABELLA
23, presso lo studio dell’avvocato LAvITOLA GIUSEPPE, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MANZIA CLAUDIO, giusta procura speciale a margine del
controricorso;

– controrkorrente –

Data pubblicazione: 14/02/2014

contro
ROMA CAPITALE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’AVVOCATURA COMUNALE,
rappresentato e difeso dagli avvocati ROSSI DOMENICO, CECCARELLI AMERICO,
FRIGENTI GUGLIELMO, giusta procura a margine del controricorso;

contron’corrente

avverso la sentenza n. 22908/2011 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE del
13.7.2011, depositata il 04/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. RENATO BERNABAI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Filippo de Jorio che si riporta alla memoria e chiede la
trattazione del ricorso in pubblica udienza;
udito per il controricorrente (Comune di Roma) l’Avvocato Rossi Domenico che si
riporta alla relazione e al controricorso;
udito per la controricorrente (Società Edilizia Pineto SEP SPA) l’Avvocato Claudio
Manzia che si riporta agli scritti e concorda con la relazione.

RITENUTO IN FATTO
– che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in
applicazione dell’art. 380-bis cod. proc. civile:
Il Sig. Aldo Quinta valle proponeva ricorso per revocazione articolato in
quattro motivi, ex artt. 391 bis e 395 n.4 cod. proc. civile della sentenza 4
novembre 2011 n. 22.908 emessa da questa Corte, con la quale si rigettava il
suo ricorso avverso la sentenza 9 gennaio 2006 della Corte di appello di
Roma.
Esponeva
– che la domanda da lui proposta in proprio e in nome e per conto della
famiglia diretto-coltivatrice per ottenere, nei confronti del comune di Roma, la
determinazione dell’indennità prevista dall’articolo 17 legge n.865/1971,

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previa detrazione dell’acconto già ricevuto, era stata dichiarata inammissibile,
in assenza di una valida procedura espropriativa, dopo che il giudice
amministrativo aveva annullato gli atti della procedura ablatoria;
– che il suo successivo ricorso per cassazione era stato rigettato, con la
conseguente condanna alla rifusione le spese di giudizio;

stesse parti in forza di sentenza emessa il medesimo giorno dallo stesso
collegio di questa Corte;
– che essa era altresì inficiata da errore di fatto, costituito dalla mancata
applicazione dell’art. 34, commi 1 e 8 del decreto-legge 98/2011 entrato in
vigore, con efficacia retroattiva, sette giorni prima della discussione del
ricorso;
– che la sentenza violava pure il diritto vivente della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e delle relative sentenze applicative della Corte
europea di Strasburgo;
– che, ancora, la Corte di cassazione sarebbe incorsa in altro errore di
fatto per aver svalutato, nella sentenza impugnata, il riconoscimento del suo
diritto, da parte del Comune di Roma, come un’iniziativa personale
dell’assessore all’Avvocatura.
Resistevano con distinti controricorsi Roma-capitale, in persona del
sindaco pro tempore, e la Società Edilizia Pineto S.E.P. s.p.a.

Così riassunti i fatti di causa, il ricorso sembra, prima facie,
inammissibile, non ricorrendo i presupposti di cui agli artt. 391 bis e 395 n.4
cod. proc. civile.
In ordine al primo motivo, la sentenza impugnata, nel motivare il rigetto
dell’istanza di riunione dei due giudizi pendenti tra le parti, ne rileva
espressamente la diversità di contenuto, per petitum e causa petendi: e tale

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– che la decisione era in contrasto con altro giudicato maturato fra le

statuizione non può essere rimessa in discussione, in sede revocatoria, sotto
il profilo della sua non conformità a diritto.
Il secondo motivo è pur inammissibile, valendo a denunziare non già un
errore di fatto, bensì, in ipotesi un preteso errore di diritto, consistente nella
mancata applicazione di una norma di legge vigente.

vivente rappresentato dalla Cedu e dalle sentenze della Corte europea dei
diritti dell’uomo, la cui applicazione è obbligatoria” è manifestamente
inammissibile, non denunziando vizi revocatori, sibbene, ancora una volta,
presunti errore di diritto.
Anche l’ultimo motivo è manifestamente inammissibile concernendo la
valutazione interpretativa di un atto processuale effettuata dalla corte
territoriale e ritenuta immune da vizi nella sentenza di legittimità impugnata.
***
– che la relazione è stata notificata ai difensori delle parti;
– che entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa;

CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il collegio, discussi gli atti delle parti, ha condiviso la soluzione
prospettata nella relazione e gli argomenti che l’accompagnano;
– che la memoria illustrativa del Quintavalle non adduce
argomenti che inducano ad una diversa decisione;
– che in particolare essa – oltre ad introdurre una questione di
giurisdizione, inammissibile nel grado di revocazione – sussume nella
fattispecie di cui all’art. 395 n.4 cod. proc. civ. (errore di fatto), quello
che,sarebbe, in ipotesi, un errore di diritto (omessa applicazione
dello jus superveniens costtituito dall’art.34, terzo e ottavo comma,
DECRETO-LEGGE 6 luglio 2011 n. 98. convertito, con modificazioni,

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Il terzo motivo, con cui si denunzia la “obliterazione totale del diritto

in legge 15 luglio 2011, n. 111 – Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria. (MANOVRA ECONOMICA 2): non senza
notare, peraltro, che tale norma non fa che consacrare il principio di
diritto già enunciato dalla Corte costituzionale, rispettivamente, con
le sentenze 24/10/2007, n. 348 e 24/10/2007, n. 349, secondo cui

commi 1, 2 e 7 d.l. 11 luglio 1992 n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento della finanza pubblica), conv. con modificazioni dalla I.
8 agosto 1992 n. 359 e, in via consequenziale, all’art. 37, commi 1, 2
e 7 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilità),

nella parte in cui stabiliscono un criterio di calcolo

dell’indennità di esproprio che non è in “ragionevole legame” con il
valore di mercato dell’immobile espropriato e limitano il risarcimento
dei danni dovuto in caso di occupazione acquisitiva da parte della
P.A. a seguito di espropriazione illegittima;
che il ricorso dev’essere dunque dichiarato inammissibile, con la
conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in
dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità
delle questioni svolte.

P.Q.M.
– Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione
delle spese processuali, liquidate in complessivi € 3.100,00, di cui € 3.000,00
per compenso, oltre gli accessori di legge, in favore di ciascuna delle due
parti controricorrenti.

Roma, 10 Dicembre 2013

0\1(

sono costituzionalmente illegittime le disposizioni di cui all’art. 5 bis,

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