Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3581 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. I, 14/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19708-2005 proposto da:

T.R. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di

titolare dell’omonima ditta, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEL CORSO 75, presso l’avvocato CALZETTA GIANCARLO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DI B.P. (C.F.

(OMISSIS)), in persona del Curatore Avv. S.E.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2 – SC. B – INT. 6,

presso l’avvocato LEONARDI MASSIMO, che lo rappresenta e difende,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4346/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato FONSI GIANLUCA, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’inammissibilità del

primo e secondo motivo, rigetto del terzo, con condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 19 settembre 2000, il Fallimento di B.P., titolare dell’omonima impresa, convenne dinanzi al Tribunale di Rieti T.R., quale titolare dell’omonima impresa, esponendo che: a) l’impresa del B. era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con decreto del Tribunale di Rieti del 22 dicembre 1992, omologato in data 21-30 giugno 1993; b) successivamente, con sentenza n. 46/95 del 13 ottobre 1995, lo stesso Tribunale, dichiarata la risoluzione del concordato preventivo per totale inadempimento dello stesso, aveva contestualmente dichiarato il fallimento del B..

Tanto esposto, il Fallimento chiese, ai sensi dell’art. 67 Legge Fallimentare, la revoca: a) dei dieci pagamenti – per l’importo di Euro 43.294,60 – eseguiti dal fallito al T. nel periodo dal 15 marzo 1993 al 23 settembre 1995, a fronte di forniture asserite insussistenti o di valore inferiore; b) delle cessioni di merci in pagamento – per l’importo di Euro 18.517,60 – eseguite dal fallito al T. nel periodo dall’11 settembre 1993 al 7 agosto 1995, a fronte di sette fatture (una del 1993, una del 1994 e cinque del 1995), cessioni da considerarsi mezzo anomalo di pagamento. Il Fallimento aggiunse che lo stato di dissesto del B. era facilmente desumibile dalla pendenza di numerose procedure esecutive mobiliari ed immobiliari, dall’emissione di decreti ingiuntivi e dall’avvenuto protesto di titoli di credito.

In contraddittorio con il T. – il quale, eccepita la prescrizione della proposta azione revocatoria, chiese la reiezione della domanda -, il Tribunale di Rieti, con la sentenza n. 393/02 del 10 aprile 2002, revocò e dichiarò inefficaci nei confronti del Fallimento i predetti pagamenti e cessioni di merci.

2. – A seguito di appello del T. – cui resistette il Fallimento -, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4346/04 dell’11 ottobre 2004, rigettò l’impugnazione.

La Corte di Roma, per quanto in questa sede rileva:

A) quanto al primo motivo di appello – concernente la dedotta non revocabilità delle cessioni dei beni e dei pagamenti, trattandosi di atti di ordinaria amministrazione compiuti nel periodo compreso tra la data dell’omologazione del concordato preventivo e quella della dichiarazione di fallimento -, ha osservato quanto segue: “Nel caso di specie, la dichiarazione di fallimento a seguito di concordato preventivo si fonda sull’accertamento dello stato di insolvenza dell’imprenditore, che è alla base della sua ammissione al concordato, ed essa è conseguenza dell’inadempimento del concordato stesso, ponendosi come un’evoluzione patologica della precedente procedura, pertanto la consecuzione tra questa ed il successivo fallimento non può essere messa in dubbio. Conseguentemente, agli atti compiuti durante la procedura concordataria successivamente alla sentenza di omologazione e cioè a seguito della cessazione dei limiti ai poteri dispositivi del debitore, si ritiene applicabile il regime di cui agli artt. 64-70 L.F., a meno che si tratti di atti volti alla liquidazione ed alla distribuzione della percentuale concordataria in applicazione obiettiva della sentenza di omologazione. Nel caso in esame, quindi, trattandosi di atti dispositivi (pagamenti e cessioni di merci in pagamento) successivi alla sentenza di omologazione e non applicativi di tale ultima sentenza, consegue il rigetto della prima censura”;

B) quanto al secondo ed al terzo motivo di appello – concernenti la dedotta non ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 67 Legge Fallimentare -, ha osservato che: i dieci pagamenti per debiti pecuniari, non costituendo adempimento del concordato ed essendo stati effettuati anche nell’anno anteriore alla revoca del concordato ed alla conseguente dichiarazione di fallimento, rientrano tra gli atti revocabili di cui all’art. 67, comma 2, Legge Fallimentare, con conseguente onere della prova della conoscenza dello stato di insolvenza a carico del curatore fallimentare; inoltre, le cessioni di merci in pagamento, in quanto mezzi anomali di pagamento, rientrano tra gli atti revocabili di cui all’art. 67, comma 1, n. 1 (recte: n. 2), Legge Fallimentare, con conseguente presunzione della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del creditore; a tale ultimo riguardo, in particolare, ha affermato che “Dette cessioni di merce concretizzano effettivamente pagamenti anomali in quanto effettuati con mezzi non normali quali il danaro, o altri titoli di credito considerati equivalenti al danaro, ovvero assegni circolari e bancari, cambiali o vaglia cambiari”;

C) quanto alla questione della prova della conoscenza del T. dello stato di insolvenza del B., ha osservato che tale prova sussiste, in quanto a carico del B. esistevano:

numerose procedure esecutive mobiliari ed immobiliari promosse fin dal 1992; decreti ingiuntivi pronunciati fin dal 1990; protesti di titoli di credito elevati fin dal 1992; ciò, dovendosi peraltro tener conto della pubblicazione del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo in data 21 dicembre 1992.

3. – Avverso tale sentenza T.R. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura.

Resiste, con controricorso illustrato da memoria, il Fallimento di B.P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Omessa, insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia. Violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 61 – L.F.”)f il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera A), sostenendo che: a) in primo luogo, i Giudici a quibus hanno erroneamente ed immotivatamente individuato le fattispecie sottostanti all’esperita azione revocatoria: infatti, i dieci pagamenti per la complessiva somma di Euro 43.294,60 – eseguiti dal B. al T. nel periodo dal 15 marzo 1993 al 23 settembre 1995, cioè successivamente alla omologazione del concordato preventivo – sono stati erroneamente qualificati come pagamenti di debiti pecuniari, mentre essi costituiscono in realtà il prezzo di altrettante compravendite di motoveicoli forniti dallo stesso T. all’imprenditore fallito, debitamente fatturate;

inoltre, quelle che sono state erroneamente qualificate cessioni di merci in pagamento per la complessiva somma di Euro 18.517,60 costituiscono in realtà sette compravendite di motoveicoli debitamente fatturate, effettuate per il medesimo importo dal B. al T., importo che quest’ultimo ha regolarmente corrisposto all’imprenditore fallito; b) tali essendo le fattispecie in esame, da esse non è derivato alcun depauperamento o danno all’impresa fallita, in quanto il patrimonio di quest’ultima è stato utilmente incrementato – relativamente alla prima – dalla rivendita dei motoveicoli acquistati e – relativamente alla seconda – dalla percezione del prezzo; c) la affermata, erronea qualificazione degli atti revocati è stata operata dai Giudici a quibus con motivazione meramente apparente ed in contrasto con le incontestate risultanze probatorie; d) dette operazioni sono qualificabili come atti di ordinaria amministrazione compiuti dall’imprenditore successivamente all’ammissione al concordato preventivo al fine di adempiere gli obblighi dallo stesso nascenti e, quindi, non revocabili ai sensi dell’art. 67 Legge Fallimentare.

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, n. 1, L.F.. Omessa e contraddittoria motivazione circa la natura di pagamenti anomali delle cessioni di merce”), il ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, nella parte in cui ha respinto il motivo d’appello concernente la revoca delle “cessioni di merce in pagamento” per l’importo di Euro 18.517,60, ribadendo anche a tale riguardo che dette cessioni sono in realtà vendite di motoveicoli effettuate dall’imprenditore fallito al ricorrente, e sostenendo che, in ogni caso, i Giudici a quibus non hanno assolutamente motivato nè circa la ritenuta natura di datio in solutum nè circa i presunti, correlativi debiti scaduti ed esigibili e, quindi, neppure circa natura “anomala” del pagamento.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 61, comma 2, L.F.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la conoscenza dello stato di insolvenza”), il ricorrente critica infine la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus hanno erroneamente ritenuto provata la conoscenza da parte del T. dello stato di insolvenza del B.: da un lato, omettendo di considerare una serie di elementi probatori (deposizione della teste Ba.An., responsabile della contabilità dell’impresa T., dimensione minima delle imprese coinvolte, omessa menzione nei documenti ufficiali dell’impresa B. della ammissione di quest’ultima al concordato preventivo) prospettati nel giudizio di merito, dall’altro, sostanzialmente affermando la sufficienza della conoscibilità – e non, invece, dell’effettiva conoscenza – dello stato di insolvenza dell’impresa fallita.

2. – Il ricorso non merita accoglimento.

2.1. – Il primo motivo è infondato.

La ratio decidendi della sentenza impugnata sta in ciò che, nella specie, il fallimento del B., dichiarato a seguito della risoluzione del concordato preventivo per totale inadempimento dello stesso, è appunto conseguenza di tale inadempimento, con la ulteriore conseguenza che gli atti compiuti durante la procedura concordataria – in quanto successivi alla sentenza di omologazione del concordato, cioè alla cessazione dei limiti ai poteri dispositivi del debitore – sono assoggettati alla disciplina di cui agli artt. da 64 a 70 Legge Fallimentare “a meno che si tratti di atti volti alla liquidazione ed alla distribuzione della percentuale concordataria in applicazione obiettiva della sentenza di omologazione”, mentre, nel caso di specie, si tratta “di atti dispositivi (pagamenti e cessioni di merci in pagamento) successivi alla sentenza di omologazione non applicativi di tale ultima sentenza”.

Il ricorrente – sul rilievo che gli atti revocati, erroneamente qualificati dai Giudici a quibus siccome “pagamenti” e “pagamenti anomali” (cessioni di merce in pagamento), sono in realtà reciproche compravendite di motoveicoli concluse tra lo stesso ed il B. ed eseguite successivamente alla sentenza di omologazione del concordato preventivo – non contesta specificamente, però, nè l’affermata risoluzione del concordato per “totale inadempimento” dello stesso, nè l’affermazione che detti atti non costituiscono applicazione obiettiva della sentenza di omologazione, limitandosi ad affermare che essi sono atti di ordinaria amministrazione non arrecanti alcun danno ai creditori concordatari e che i crediti relativi agli atti stessi sono prededucibili.

A prescindere dai profili di inammissibilità del motivo – laddove questo richiama vizi di motivazione che, in realtà, prospettano una valutazione degli elementi probatori meramente diversa e contraria rispetto a quella ineccepibilmente effettuata dalla Corte romana -, deve rilevarsi che questa Corte ha da tempo affermato il principio per cui, avendo il concordato preventivo funzione meramente liquidatoria, rispetto alla quale è estranea (in quanto soltanto eventuale) la continuazione dell’esercizio dell’impresa da parte del debitore, i crediti nascenti da obbligazioni contratte nel corso della procedura concordataria, in caso di successivo fallimento, non possono essere soddisfatti “in prededuzione” e sono suscettibili, ricorrendone i presupposti, di revocatoria fallimentare (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 11216 del 1995 e 6352 del 1997). Al riguardo, è stato infatti osservato: “Una volta che il destino della società sia segnato dall’incapacità integrante l’insolvenza, e che l’esperimento delle possibilità concordatarie abbia denunciato la sua inutilità (quando non il suo carattere pregiudizievole) con la confluenza nel finale fallimento, non vi è ragione alcuna che consenta alle obbligazioni assunte di sfuggire al principio di giustizia distributiva enunciato ed agli istituti che di esso siano attuazione, anche per gli atti anteriori all’inizio delle procedure concorsuali, quale la revocatoria fallimentare” (cfr. la sentenza n. 11216 del 1995 cit.).

2.2. – Anche il secondo motivo è privo di fondamento.

Al riguardo, è sufficiente osservare che, contrariamente a quanto con esso sostenuto, la Corte romana ha specificamente affermato, sulla base del costante orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 649 del 2003), che le cessioni di merce in questione, effettuate dal B. al T. nel corso della procedura concordataria, “concretizzano effettivamente pagamenti anomali in quanto effettuati con mezzi non normali quali il danaro, o altri titoli di credito considerati equivalenti al danaro, ovvero assegni circolari e bancari, cambiali o vaglia cambiari”. Ciò, a prescindere dalla ulteriore considerazione che, anche ad ammettere in via di mera ipotesi che dette cessioni di merce abbiano effettivamente assunto la forma di vendite di motoveicoli dal B. al ricorrente – come questo sostiene -, non per ciò soltanto sarebbe escluso un effetto equivalente alla negata ricorrenza di datio in solutum, appunto attraverso l’acquisto, da parte del creditore ( T.), di beni del debitore ( B.) e la compensazione del credito originario con il debito del pagamento del prezzo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 193 del 2001 e 11850 del 2007).

2.3. – Il terzo motivo del ricorso è inammissibile.

Con esso il ricorrente – sostenendo che i Giudici a quibus hanno erroneamente ritenuto provata la conoscenza da parte del T. dello stato di insolvenza del B., omettendo di considerare una serie di elementi probatori (deposizione della teste Ba.

A., responsabile della contabilità dell’impresa T., dimensione minima delle imprese coinvolte, omessa menzione nei documenti ufficiali dell’impresa B. della ammissione di quest’ultima al concordato preventivo) prospetta, in realtà, sia circostanze di fatto che appaiono del tutto nuove, sia una valutazione degli elementi probatori meramente diversa e contraria rispetto a quella effettuata dalla Corte romana, senza peraltro indicare compiutamente e, dove necessario, riprodurre testualmente ed integralmente, detti elementi probatori orali e documentali, la cui considerazione sarebbe stata omessa dalla stessa Corte.

Conseguentemente, la censura – con la quale il ricorrente afferma che la Corte romana ha ritenuto la sufficienza della conoscibilità e non, invece, dell’effettiva conoscenza dello stato di insolvenza dell’impresa fallita – rimasta priva del necessario sostegno di concreti elementi probatori, risulta meramente astratta di fronte della ratio deciderteli della sentenza impugnata, secondo cui la sussistenza della prova della scientia decoctionis emerge dalle concorrenti circostanze che a carico dell’impresa B. esistevano numerose procedure esecutive mobiliari ed immobiliari promosse fin dal 1992, decreti ingiuntivi pronunciati fin dal 1990, protesti di titoli di credito elevati fin dal 1992, dovendosi peraltro tener conto della pubblicazione del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo in data 21 dicembre 1992.

Con ciò la Corte romana ha correttamente applicato il costante principio affermato da questa Corte, per il quale, in materia di revocatoria fallimentare, se la conoscenza da parte del terzo contraente dello stato d’insolvenza dell’imprenditore deve essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo la concreta situazione psicologica della parte nel momento dell’atto impugnato e non anche la semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche della controparte, tuttavia, poichè la legge non pone limiti in ordine ai mezzi a cui può essere affidato l’assolvimento dell’onere della prova da parte del curatore, gli elementi nei quali si concreta la conoscibilità possono costituire elementi indiziari da cui legittimamente desumere la scientia decoctionis (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 10209 del 2009).

3. – Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre le spese generali e gli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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