Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3578 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/02/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 13/02/2020), n.3578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Dirèttore generale pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende.

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliato a Roma alla via

Quintiliano 9 presso il Dott. Roberto Caferelli e rappresentato e

difeso per procura in atti dall’Avv. Mario Lucci.

– resistente –

per la cassazione della sentenza n. 3122/31/17 della Commissione

tributaria regionale della Campania depositata il 5.4.2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.10.2019 dal Consigliere Dott. Crucitti Roberta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sanlorenzo Rita che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito

per la ricorrente l’Avv. Fabrizio Urbani Neri;

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.M. presentò, in data 3 novembre 2014, istanza di rimborso dell’IRPEF, trattenuta per gli anni di imposta 2009, 2012 e 2013, in relazione ai compensi variabili percepiti, nei diversi anni di imposta, nella sua qualità di giudice tributario delle Commissioni tributarie provinciali di Napoli e Avellino.

Il contribuente allegò due certificazioni prodotte dalla due Commissioni provinciali, attestanti i periodi di riferimento e le date di liquidazione dei predetti compensi e di tre distinti prospetti di calcolo sulla base dei quali, chiese, in particolare, il rimborso dell’IRPEF, pari alla differenza di ritenute tra l’aliquota ordinaria applicata dal sostituto di imposta e l’aliquota a tassazione separata, ritenuta, invece, regime tributario applicabile.

Avverso il silenzio rifiuto opposto all’istanza

dall’Amministrazione finanziaria, il contribuente propose, quindi, ricorso che venne, integralmente, accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli.

La decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate, è stata integralmente confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Campania (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.).

Il Giudice di appello, rilevato che il D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 5, era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 142 del 19 maggio 2014 e che, successivamente, il legislatore non era intervenuto a escludere l’assimilazione dei redditi percepiti dai giudici tributari a quelli da lavoro dipendente, riteneva che i compensi variabili percepiti dovessero essere soggetti ad imposizione secondo il principio di cassa per le somme percepite nel periodo di imposta e con tassazione separata quelli arretrati.

Per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

S.M. ha depositato atto con procura al fine della partecipazione alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17 comma 1, lett. b) e artt. 50, 51, e 52 e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

Si censura la C.T.R. per avere ritenuto dovuto il rimborso, siccome applicabile agli emolumenti arretrati il regime di tassazione separata, laddove, invece, sulla base della normativa di riferimento e delle precisazioni fornite dai documenti di prassi, il regime della tassazione ordinaria applicato dal sostituto d’imposta era l’unico corretto, in quanto dalla certificazione dei compensi percepiti (allegata dal contribuente), emergeva che tali emolumenti erano stati tutti corrisposti in linea con la fisiologica consecutio temporum in relazione ai vari periodi di riferimento.

In sintesi, secondo la prospettazione difensiva, non sussisterebbero i presupposti per l’applicabilità del regime di tassazione separata quando, come nella specie, trattandosi, di compensi che comprendevano l’ultimo trimestre dell’anno, il ritardo nell’erogazione dei compensi deve ritenersi fisiologico, essendo stati rispettati i tempi, ordinariamente necessari per la procedura di liquidazione, previsti dalle direttive emanate in proposito.

Il tema, devoluto con la controversia, all’esame di questa Corte attiene al regime di tassazione, ordinaria o separata, cui assoggettare, qualora corrisposti nell’anno successivo a quello di riferimento, i compensi “aggiuntivi” percepiti dai membri delle Commissioni tributarie. Ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, art. 13, infatti, per i componenti delle Commissioni Tributarie, oltre al compenso fisso mensile, viene determinato un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che debbono tener conto delle funzioni e dell’apporto di attività di ciascuno alla trattazione della controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonchè’, per i residenti in comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede la commissione, delle spese sostenute per l’intervento alle sedute della commissione. Il compenso è liquidato in relazione ad ogni provvedimento emesso.

Ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 50, comma 1, lett. f), i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie, cosi come quelli corrisposti ai Giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza, sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente.

In virtù di tale assimilazione trovano, quindi, applicazione, con riferimento a tali compensi:

il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17 lett. b) prevede che l’imposta si applica separatamente sugli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili a anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, compresi i compensi e le indennità di cui all’art. 47, comma 1 (ora art. 50) e all’art. 46, comma 2 (ora art. 49);

In virtù del richiamo effettuato dallo stesso D.P.R. n. 917 del 1986, art. 52 il precedente D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51 che, nel dettare le regole per la determinazione del reddito di lavoro dipendente, prevede che lo stesso è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque, titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo di imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il 12 gennaio del periodo successivo a quello cui si riferiscono.

Va, poi, rammentato che, nella specifica materia, il legislatore era intervenuto con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 5, convertito, con modificazioni, della L. 15 luglio 2011, n. 111, comma 1, prevedendo che “i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie entro il periodo di imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile ai sensi del testo unico delle imposte dirette di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 11″.

La norma è stata espunta dall’ordinamento, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 142 del 28 maggio 2014, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 e art. 53 Cost., in ragione del diverso e più sfavorevole trattamento previsto per gli emolumenti spettanti ai membri delle commissioni tributarie.

Questo il quadro normativo di riferimento, la soluzione adottata dalla C.T.R., con la sentenza impugnata, è quella per cui, a seguito e in virtù della predetta sentenza della Consulta, tutti i compensi ricevuti, dai componenti le Commissioni tributarie, dopo il 12 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento, termine fissato dal citato art. 51 per la cd.”cassa allargata”, siano da considerarsi arretrati e come tali debbano essere assoggettati al regime di tassazione separata, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, lett. b), in virtù della loro assimilazione ai redditi di lavoro dipendente.

Di opposto avviso, invece, l’Amministrazione erariale la quale, con l’odierno ricorso, ribadisce, confermando i suoi documenti di prassi, che non possano considerarsi emolumenti arretrati e, come tali, esulino dal regime della tassazione separata di cui al citato art. 17, gli emolumenti percepiti, comunque, nell’intero anno successivo a quello di spettanza, quando tale ritardo, nella corresponsione, possa considerarsi fisiologico rispetto ai tempi tecnici occorrenti per l’erogazione degli emolumenti stessi.

Il Collegio ritiene che la censura sia fondata, nei termini specificati infra, non apparendo la soluzione, data dal Giudice di merito, conforme alla corretta interpretazione della normativa di riferimento.

Il regime della cd. “tassazione separata” fu introdotto nell’ordinamento dal legislatore -al fine di equamente contemperare o, comunque, attenuare gli effetti della congiunta applicazione del principio di imputazione per cassa (quale rinvenibile dall’art. 7 TUIR, cui pacificamente sono soggetti i redditi di lavoro dipendente e quelli ad essi assimilati) e di quello di proporzionalità dell’IRPEF- con il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 12, comma 1, lett. d) il quale ne individuava l’oggetto con esclusivo riferimento agli “arretrati riferibili ad anni precedenti”.

La disposizione venne, poi, trasfusa nel TUIR (vecchia numerazione), art. 16, comma 1, lett. b) per essere, quindi modificata, anche a seguito della contrapposta interpretazione della norma da parte della prassi e della prevalente giurisprudenza (che ne forniva una lettura strettamente letterale a prescindere dalle ragioni alle quali fosse riconducibile il ritardo), nell’attuale formulazione del citato art. 17, dalla L. 549 del 1995, art. 3, comma 82, lett. a), n. 1.

Nella relazione illustrativa di detta legge si esponeva che le situazioni che possono rilevare per l’applicazione del particolare regime di tassazione sono di due tipi: a) quelle di “carattere giuridico” che consistono nel sopraggiungere di norme legislative, di sentenze o di atti amministrativi, ai quali è sicuramente estranea l’ipotesi di un accordo tra le parti in ordine ad un rinvio del tutto strumentale nel pagamento delle somme spettanti; b) quelle consistenti in “oggettive situazioni di fatto” che impediscono il pagamento delle somme riconosciute come spettanti entro i limiti ordinariamente adottati dalla generalità dei sostituti di imposta.

Secondo il dettato letterale della disposizione normativa, (sopra integralmente riportata), dunque, affinchè un provento da reddito di lavoro dipendente (o assimilato) possa essere assoggettato a tassazione separata occorre, innanzitutto, che gli emolumenti siano “arretrati”e cioè, come chiarito dalla medesima norma, riferibili a anni precedenti rispetto a quello nel quale sono percepiti.

In particolare, poi, si consente l’applicazione della tassazione separata soltanto ai proventi percepiti in ritardo per effetto di ragioni di carattere giuridico, consistenti nel sopraggiungere di norme di legge, di sentenze, di provvedimenti amministrativi o, comunque, per effetto “di altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti” idonee a far ritenere che il ritardo nel pagamento non sia conseguenza di uno strumentale accordo delle parti volto a far beneficiare il percettore della più favorevole tassazione separata sui proventi in oggetto.

In base all’attuale formulazione della norma, pertanto, è evidente (come del resto confermano la relativa relazione illustrativa e la dottrina maggioritaria) che -escluse le ipotesi (estranee alla presente controversia) in cui ricorrano le “cause di carattere giuridico”- il regime della tassazione separata non è più applicabile a qualunque “emolumento arretrato” (secondo l’accezione del precedente art. 16 cit.), occorrendo invece, a tal fine, individuare la causa dell’intervallo temporale tra periodo di imposta di maturazione e periodo di imposta di percezione dello stesso, e cioè distinguere tra cause di ritardo indipendenti o dipendenti dalla volontà delle parti; sicchè (ed è quanto accade nella presente vicenda tributaria) ove la liquidazione re la corresponsione di un certo emolumento, in quanto soggette a determinate procedure, implichino necessariamente un disallineamento cronologico rispetto al dato di maturazione del compenso, tale iato assume rilevanza, come presupposto della tassazione separata, soltanto quando il ritardo non sia fisiologico ma esorbiti dalla normale dinamica del rapporto “contrattuale”, cui l’emolumento accede.

Così identificati contenuto e ratio della norma in esame, emerge, altresì, l’erroneità della tesi, quale quella fatta propria dalla C.T.R., che àncora la qualità di “arretrato” dell’emolumento, idoneo, come tale, ad essere assoggettato al regime di tassazione separata di cui all’art. 17 TUIR, al mero superamento, nella sua corresponsione, della data del 12 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento, come previsto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51.

Le due norme (art. 17 e art. 51 TUIR), infatti, sono nate e convivono, trovando ratio e applicazione in ambiti diversi; lo altri termini la limitata deroga al regime di cassa, introdotta dal citato art. 51 TUIR, non soltanto è scissa, sul piano sistematico, dall’art. 17 TUIR, ma, risponde a obiettivi diversi rispetto a quelli che hanno indotto il legislatore ad adottare il meccanismo della tassazione separata, al fine di mitigare i possibili effetti distorsivi, della sincronica applicazione del principio di cassa e di proporzionalità dell’IRPEF.

L’art. 51 TUIR esprime si la deroga al principio di cassa, introducendo il cd. regime di cassa allargata ma ai fini e in ambiti diversi e estranei rispetto a quelli per cui il legislatore è intervenuto, attraverso il meccanismo della tassazione separata a correggere gli effetti distorsivi della contemporanea applicazione del principio di cassa e di proporzionalità dell’Irpef.

Il regime della cd. “cassa allargata”, infatti, è stato introdotto nell’ordinamento nell’art. 48 (oggi art. 51) dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 190, senza alcun richiamo e/o rinvio all’allora vigente art. 16 (oggi art. 17) TUIR.

La sua stessa collocazione all’interno dell’art. 51 TUIR, e la sua rubrica, rendono palese che la norma è dettata ai fini della determinazione dell’imponibile, laddove il regime di tassazione separata opera sull’aliquota, e che la deroga, ivi statuita, al principio di cassa, con “l’allargamento” della stessa sino al 12 gennaio dell’anno successivo -per come ritenuto da condivisibile dottrina- non risponde a ragioni di ordine sistematico ma soltanto a quella, unanimemente riconosciuta, della presa d’atto di prassi aziendalistiche, originate dall’ordinaria corresponsione delle retribuzioni mensili al personale dipendente all’inizio del mese successivo, piuttosto che alla fine del mese di riferimento, con l’esigenza di contemperare, con riguardo alla chiusura dell’esercizio annuale, il principio di competenza con quello di cassa (e, in tale ottica, va letta la “perentorietà” attribuita, dai documenti di prassi, alla data del 12 gennaio).

Le ragioni sopra svolte consentono, quindi, di escludere che il mero superamento della data del 12 gennaio (dell’anno successivo a quello di riferimento) nella corresponsione di un emolumento, sia sufficiente a qualificare lo stesso come un “arretrato”, ai sensi dell’art. 17 T.U.I.R., sempre che il ritardo nel pagamento sia connaturato, ovvero fisiologico, all’indole stessa del rapporto da cui quell’emolumento derivi.

Peraltro, il principio per cui l’applicazione del regime di tassazione separata può essere esclusa, a prescindere dal superamento del termine di cui all’art. 51 TUIR, qualora la corresponsione degli emolumenti in un periodo d’imposta successivo a quello della loro maturazione, possa considerarsi fisiologica rispetto ai tempi tecnici o giuridici occorrenti per l’erogazione degli emolumenti stessi non è nuovo, essendo già stato affermato da questa Corte, seppure con riferimento ai compensi incentivanti dei dipendenti della P.A. (v.Cass. 18.04.2019 n. 10887, in tema di tassazione degli arretrati relativi alla pensione di invalidità corrisposta dall’INPS, la quale richiama Cass.25.2.2002 n. 7677; id Cass.20.8.2004 n. 16467, riguardanti gli incentivi riconosciuti dal MEF al proprio personale dipendente) e degli stessi giudici tributari nel regime previgente negli anni ‘80 (v.Cass.16.07.2004 n. 13228).

Nè lo stesso principio è stato sconfessato, nella citata sentenza n. 142/2014, dalla Corte Costituzionale la quale, come dianzi accennato, pur confermando l’assoggettabilità dei compensi dei giudici al regime della tassazione separata (art. 17 TUIR, comma 1), della quale ha ribadito la ratio (necessità di attenuare gli effetti negativi che deriverebbero dalla rigida applicazione del criterio di cassa in quei casi in cui la tassazione di un reddito formatosi nel corso di più anni, ma corrisposto in unica soluzione, risulti eccessivamente onerosa per il contribuente), non ha, però, disconosciuto l’interpretazione fornitane dal Ministero dell’economia e della finanze (a partire dalla circolare 5 febbraio 1997, n. 23/E secondo cui non può farsi luogo a tassazione separata quando il pagamento in ritardo debba considerarsi una “conseguenza fisiologica” insita nelle modalità di erogazione degli emolumenti stessi) che, anzi il Giudice delle leggi, espressamente cita, nel ricostruire il “contesto” nel quale era intervenuta la norma censurata.

Al contrario il Giudice delle leggi esplicitamente riferisce di tale prassi applicativa, laddove (pag.13) afferma che la finalità di limitare in qualche modo gli effetti delle modalità temporali di liquidazione viene, nella sostanza, neutralizzata dall’introduzione di una disposizione (la norma censurata n.d.r.) idonea a rendere ininfluenti, a danno del contribuente, anche tempi tecnici anomali come quelli che raggiungono la durata di un anno.

Del resto è significativo che, nella motivazione della declaratoria di incostituzionalità, la Consulta non richiami mai il principio di cassa allargata ovvero il disposto di cui all’art. 51 TUIR, comma 2 che, pure, era stato invocato dall’ordinanza remittente.

Può, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto ” in materia di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, corrisposti nell’anno successivo a quello di riferimento, non sono ricompresi tra i redditi arretrati assoggettabili a tassazione separata, ai sensi del D.P.R. 21 dicembre 1986, n. 917, art. 17, gli emolumenti per i quali il ritardo nella loro corresponsione, nell’anno successivo a quello di riferimento, sia fisiologico alla natura del rapporto dal quale derivano, e cioè sia la necessaria conseguenza dell’espletamento di particolari procedure per la loro quantificazione e effettiva liquidazione”.

Per dirimere la controversia è necessario, ora, compiere un ulteriore passaggio e dare concretezza, definendola in termini oggettivi, alla nozione, sin qui astratta, di “ritardo fisiológico” oppure, in altri termini e per converso, stabilire quando il ritardo nella corresponsione, in favore dei membri delle Commissioni tributarie, dei compensi aggiuntivi e variabili, superi tale connotazione, per il suo carattere anomalo, rispetto ai tempi tecnici normalmente occorrenti, e, quindi, valga a rendere l’emolumento “arretrato”, ai sensi del più volte citato art. 17, e come tale assoggettabile, qualora il contribuente si avvalga di tale opzione, al regime di “tassazione separata”.

Il D.Lgs. n. 545 del 1992, art. 13, sopra citato, non indica per i compensi aggiuntivi (variabili) un termine temporale di pagamento e tale dato non è fissato nemmeno nei documenti di prassi: per la circolare 11.03.1998 n. 80 del Ministero delle finanze -dip.Entrate affari giuridici serv II, infatti, “la liquidazione dei compensi avviene mensilmente; nel mese successivo sono operati gli eventuali conguagli e a fine anno viene operato il conguaglio relativo all’anno medesimo. Particolari esigenze delle singole commissioni consentono, comunque, di prevedere una diversa cadenza temporale. Il compenso fisso mensile va conteggiato unitamente a quello aggiuntivo”; per la nota 11 marzo 2004, n. 48710 della Direzione centrale dell’Agenzia delle entrate, i compensi dei giudici tributari relativi al secondo semestre dell’anno sono corrisposti nel mese di maggio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono” precisando che la predetta corresponsione nel mese di maggio costituisce “ritardo fisiologico rispetto ai tempi tecnici ordinariamente occorrenti per la corresponsione dei compensi variabili”; per il Ministero dell’Economia e delle Finanze Direttiva 20 giugno 2005, n. 39616 (come riportata in ricorso e nell’ordinanza n. 276 dell’11.11.2013 con la quale la C.T.P. di Campobasso ha sollevato questione di legittimità costituzionale) le scadenze per la chiusura contabile periodica vengono individuate dopo il 15 luglio per il primo semestre (periodo 1 gennaio/30 giugno); dopo il 15 ottobre per il terzo trimestre (periodo 1 luglio/30 settembre); dopo il 15 gennaio per il quarto trimestre (periodo 1 ottobre/31 dicembre), anche in tal caso, senza alcuna previsione di termine finale.

Più in dettaglio “alle scadenze previste deve essere effettuata la chiusura contabile periodica e/o annuale (15 luglio per il periodo 01 gennaio-30 giugno anno corrente; 15 ottobre per il periodo 01 luglio-30 settembre anno corrente; 15 gennaio per il periodo 01 ottobre-31 dicembre anno precedente): il rispetto di tale tempistica costituisce inderogabile propedeuticità per potere procedere alla rilevazione del fabbisogno dei compensi aggiuntivi ed al pagamento dei medesimi; 2. entro i 15 giorni successivi alle singole chiusure contabili la Segreteria del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria provvede alla rilevazione dei dati contabili e, dopo avere definito con le singole Commissione tributarie casi di particolari difformità, procede alla predisposizione del parere da parte dell’Organo consiliare; 3. Le Segreteria delle Commissioni tributarie, dopo avere ricevuto la comunicazione dell’avvenuta emissione del parere positivo del Consiglio di Presidenza sui definitivi importi spettanti per compensi aggiuntivi, procederanno alla predisposizione dei mandati individuali di pagamento, inoltrandoli alle rispettive Commissioni Regionali, per l’esecuzione di quanto di loro competenza”.

In assenza di un’espressa previsione normativa circa il termine finale di corresponsione o, meglio, circa l’individuazione dei tempi tecnici mediamente occorrenti, cd.”fisiologici”, la lacuna può essere colmata attraverso l’intervento surrogatorio di questo Giudice, che trova la sua legittimazione nell’art. 1183 c.c. e art. 97 Cost..

Premesso che,il parametro costituzionale di “buona amministrazione” consente una programmata allocazione,delle risorse finanziarie pubbliche (Corte Cost. n. 75 del 1987 e Corte Cost. n. 285 del 1995) è pacifico che sia consentita una valutazione giudiziale del congruo termine entro il quale la P.A. sia tenuta a provvedere sui diritti patrimoniali spettanti ai privati (Cass.s.u.11/04/1963 n. 927). Il che vale laddove la prestazione non sia condizionata ad alcuna valutazione degli interessi e degli strumenti pubblicistici dell’amministrazione (Cass., s.u., 11/04/1963 n. 3233), ma soggetta ai normali principi di contabilità pubblica dettati in tema di debiti pecuniari della P.A. con l’espletamento di controlli e accertamenti a tutela del pubblico interesse (Cass.12/12/1983 n. 6738). Si tratta di apprezzamento che, nei variegati contesti processuali, va fatto all’atto stesso in cui si valuta, ai più diversi fini, il protrarsi ingiustificato del ritardo della P.A. (C.Stato, sez.5 12/11/1992 n. 1277).

Non è contestato che i compensi variabili dei giudici tributari, in linea generale, vengono liquidati con una cadenza all’incirca trimestrale; del resto, la controversia riguarda esclusivamente i compensi variabili per l’attività espletata nell’ultimo trimestre che include il mese di dicembre, sicchè, necessariamente, il tempo occorrente per l’espletamento delle procedure di quantificazione e liquidazione determina lo spostamento del termine di effettiva percezione nelr’anno successivo a quello di maturazione.

Dato per acquisito che, come suaccennato, la stessa Agenzia delle entrate riconosce che la scadenza fisiologica per l’erogazione dei compensi variabili del terzo trimestre, è successiva al 15 ottobre senza travalicare l’anno di maturazione, con riferimento ai compensi variabili maturati nel quarto trimestre (periodo 1 ottobre/31 dicembre) ritiene il Collegio che un termine possa ragionevolmente individuarsi, in aggiunta a quello fissato come iniziale dalla suddetta Direttiva (dopo il 15 gennaio), in quello di 120 giorni, in parametro con quello previsto, dopo la novella del 2000 (L. n. 388 del 2000, art. 147), dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14 (in tema di esecuzione forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni), quale idoneo spatium adimplendi da concedere all’Amministrazione per l’approntamento dei controlli e dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei compensi variabili.

Se quel termine è ritenuto congruo dal legislatore per svolgere un complesso e impegnativo insieme di attività necessario per eseguire un provvedimento giudiziario nella patologia dei rapporti coi privati, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo ai problemi derivanti dai plurimi controlli predisposti dal MEF nella ridetta direttiva (e positivamente apprezzabili ex art. 97 Cost.), ben possano essere similmente contenuti nel ridetto arco temporale di centoventi giorni ulteriori, salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (v.Cass.s.u. 15/07/2016 n. 14594 per un caso d’individuazione “pretoria” di termini processuali).

Con il secondo motivo si deduce la nullità del procedimento per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciare sull’eccezione di decadenza dal termine di 48 mesi D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, in relazione al periodo 1 ottobre-31 dicembre 2009, posto che il relativo compenso era stato liquidato il 4 maggio 2010 e l’istanza di rimborso era stata presentata il 3 novembre 2014.

Con il terzo motivo, articolato in subordine al secondo, si deduce la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e dell’art. 2969 c.c., laddove la C.T.R. aveva implicitamente rigettato l’eccezione di decadenza malgrado la stessa fosse rilevabile anche d’ufficio e in appello.

Il secondo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del terzo. Ai sensi dell’orientamento pacifico della giurisprudenza di questa Corte la decadenza del contribuente per il mancato rispetto dei termini fissati per richiedere il rimborso di un tributo indebitamente versato, in quanto materia sottrattà alla disponibilità delle parti, è rilevabile di ufficio, ex art. 2969 c.c., in ogni stato e grado del giudizio, sicchè è deducibile per la prima volta anche in appello (cfr., tra le altre, Cass.n. 22399 del 26/09/2017).

Nel caso in esame, malgrado la specifica deduzione svolta in grado di appello dall’Agenzia delle entrate (come riportata in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) la C.T.R ha omesso di pronunciarsi sulla decadenza del contribuente dal diritto al rimborso.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il prirfio e il secondo motivo di ricorso vanno accolti nei termini di cui in motivazione con assorbimento del terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Giudice di merito che provvederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e provvederà al regolamento delle spese di legittimità.

P.Q.M.

in accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione, il 10 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 13 febbraio 2020

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