Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3577 del 14/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3577 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso n. 10964 – 2015 R.G. proposto da:
SAIPEM s.p.a. – c.f. 00825790157 – in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Udine, n. 6, presso lo studio
dell’avvocato Marco Annoni che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato
Giuseppe Lombardi ed all’avvocato professor Lotario Dittrich la rappresenta e
difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso.
RICORRENTE
contro
COMMISSIONE NAZIONALE per le SOCIETA’ e la BORSA

(“Consob”) – c.f.

80204250585 – in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente in virtù di procura
speciale a margine del controricorso dagli avvocati Salvatore Providenti e
Gianfranco Randisi ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via G. B. Martini, n.
3, presso la propria sede.
CONTRORICORRENTE

1

Data pubblicazione: 14/02/2018

avverso il decreto dei 19.11/11.12.2014 della corte d’appello di Milano,
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7 novembre 2017 dal
consigliere dott. Luigi Abete,
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott.
Sergio Del Core, che ha concluso per il rigetto del ricorso,

uditi l’avvocato Salvatore Providenti e l’avvocato Simona Zagaria, per delega
dell’avvocato Gianfranco Randisi, per la controricorrente,
FATTI DI CAUSA

A seguito di accertamenti ispettivi eseguiti nel periodo compreso tra il
4.2.2013 ed il 7.6.2013 con delibera n. 18949 del 18.6.2014 la “Consob”
irrogava alla “Saipem” s.p.a. la sanzione pecuniaria di euro 80.000,00 per la
violazione di cui all’art. 114, 1° co., del dec. Igs. n. 58/1998 (t.u.f.), come
attuato dagli artt. 66, 1° co., e 68, 2° co., del Regolamento “Consob” n.
11971/1998, per aver ritardato la comunicazione al pubblico dell’ “informazione
privilegiata” di cui al comunicato stampa diffuso in data 29.1.2013, comunicato
ove era indicato che, in relazione all’esercizio 2012, l’ “E.B.I.T.” e l’utile netto
previsti erano pari, rispettivamente, a circa euro 1.500.000.000,00 e ad euro
900.000.000,00 ovvero erano inferiori, rispettivamente, del 6% e del 10%
rispetto alle indicazioni che, quali previsioni per lo stesso esercizio, risultavano
dal resoconto intermedio di gestione al 30.9.2012 approvato dal consiglio di
amministrazione in data 24.10.2012.
La “Saipem” provvedeva al pagamento della sanzione inflittale, nondimeno
dichiarava espressamente che non intendeva in tal guisa prestare acquiescenza
alla delibera “Consob” n. 18949 del 18.6.2014.

41-

uditi l’avvocato Marco Annoni e l’avvocato Giuseppe Lombardi per la ricorrente,

Indi con ricorso in data 24.7.2014 – la medesima s.p.a. – proponeva
opposizione innanzi alla corte d’appello di Milano ai sensi dell’art. 195, 4° co.,
t.u.f. sia per motivi concernenti la violazione dei principi del “giusto
procedimento” sia per motivi concernenti l’insussistenza dell’illecito ascrittole.
Chiedeva che l’adita corte dichiarasse la nullità del procedimento

riesame della vicenda ed integrasse l’attività istruttoria.
Si costituiva la “Consob”.
Instava per il rigetto dell’avversa opposizione.
All’esito della

pubblica

udienza

del

19.11.2014 con decreto dei

19.11/11.12.2014 la corte di Milano rigettava l’opposizione e condannava
l’opponente a rimborsare a controparte le spese di lite.
Esplicitava – la corte – limitatamente al merito quanto segue.
Per un verso, che le informazioni già note all’opponente alla data del
14.1.2013 in ordine alla revisione delle stime per l’esercizio 2012 ed alle
previsioni del 2013 possedevano “un grado di precisione sufficiente a far ritenere
integrata la nozione di informazione privilegiata di cui all’art. 181 t.u.f.” (così

decreto impugnato, pag. 8); che invero la riunione del c.d.a. del 14.1.2013 era
stata preceduta da un fitto scambio di corrispondenza tra “Saipem” e la
controllante “E.N.I.”, laddove la riunione del consiglio del 29.1.2013 era stata
preceduta dal compimento di attività meramente amministrativa; che in
particolare dopo il 14.1.2013 vi era stata unicamente attività di affinamento dei
dati già emersi e, se i dati esposti il 14.1.2013 non fossero stati assunti come
sostanzialmente definitivi, non avrebbe avuto senso per l’amministratore
delegato della controllante “E.N.I.” informarsi sulle stime delle potenziali perdite
del titolo “Saipem”.

3

sanzionatorio e della delibera n. 18949/2014, in subordine, che facesse luogo al

Per altro verso, che ai fini della caratterizzazione delle informazioni già note al
14.1.2013 in guisa di “informazioni privilegiate” e della loro riferibilità alla s.p.a.
opponente non erano “necessari né l’esame, né la condivisione da parte del
c.d.a. dei dati che di essa costituiscono l’oggetto” (così decreto impugnato, pag.
14); che infatti la disciplina legislativa (art. 181 t.u.f.) non qualifica la figura dell’

unicamente sulla scorta dei parametri della precisione, della non pubblicità, della
riferibilità diretta o indiretta a società emittenti strumenti finanziari e della sua
idoneità ad influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti.
Per altro verso ancora, che la responsabilità di “Saipem” doveva comunque
ravvisarsi in dipendenza del ritardo con il quale, acquisita la disponibilità dei dati,
era stato convocato il c.d.a. “per deliberare al riguardo e consentirne la
comunicazione al pubblico” (così decreto impugnato, pag. 16); che difatti la
riunione del c.d.a. fissata per il giorno 8.1.2013 era “stata differita al 29.1.2013
e che i quindici giorni così trascorsi dal 14.1.2013, anche tenendo conto del
congruo anticipo necessario ai consiglieri indipendenti e non esecutivi per l’esame
della relativa documentazione, integra[va]no un periodo senz’altro eccessivo,
intempestivo e del tutto inadeguato rispetto ai rapidissimi tempi di reazione del
mercato borsistico, come confermato dalle vicende successive al 29.1.2013
(massicce vendite del titolo, diffusione del comunicato, forte ribasso del prezzo,
eccessivi volumi di scambio)” (così decreto impugnato, pag. 16).
Avverso tale decreto ha proposto ricorso la “Saipem” s.p.a.; ne ha chiesto
sulla scorta di sette motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in
ordine alle spese.
La “Consob” ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile
o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.

,4

4

“informazione privilegiata” sulla scorta di parametri formalistici, sibbene

La ricorrente ha depositato memoria.
Del pari ha depositato memoria la controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
4, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 C.E.D.U. (nonché

Cost..
Deduce che, alla stregua della elaborazione giurisprudenziale della Corte
E.D.U. e propriamente alla luce della sentenza “Grande Stevens”, la sanzione
irrogatale ha natura sostanzialmente penale.
Deduce segnatamente che, contrariamente all’assunto della corte di merito,
la sanzione ha natura sostanzialmente penale allorché assolve finalità
dissuasiva/repressiva ovvero allorché sia particolarmente severa in dipendenza
del massimo edittale comminato; che a motivo della valenza alternativa dei
criteri di qualificazione la sanzione è sostanzialmente penale nonostante la sua
tenuità, allorquando si caratterizzi teleologicamente, siccome nella fattispecie, in
chiave dissuasiva/repressiva.
Deduce che in ogni caso, contrariamente all’assunto della corte distrettuale,
la sanzione inflittale è senza dubbio severa ed afflittiva sia in considerazione del
massimo edittale, pari ad euro 500.000,00, sia in considerazione della
“pubblicazione del provvedimento sanzionatorio nel bollettino Consob, la cui
componente afflittiva è stata sottolineata dalla stessa Autorità alle pagine 34 e
35 dell’Atto di accertamento” (così ricorso, pag. 25).
Deduce conseguentemente che la natura sostanzialmente penale della
sanzione irrogatale dà ragione dell’applicabilità al procedimento sanzionatorio
delle garanzie di cui all’art. 6 della C.E.D.U. e dunque della violazione del diritto

della legge di ratifica n. 848/1955 e dell’art. 117, 10 co., Cost.) e dell’art. 111

di difesa, sub specie di diritto di controinterrogare i soggetti escussi in qualità di
testi dalla “Consob” e di addurre ulteriori testimoni a controprova, verificatasi nel
corso dello stesso procedimento.
Deduce d’altra parte che, pur ad ammettere che la compressione delle
garanzie del “giusto processo” occorsa nell’ambito del procedimento

di una fase giurisdizionale “di pieno merito”, nondimeno, a tale scopo, la corte
territoriale avrebbe dovuto, pur in ossequio al 3° co. dell’art. 111 Cost., dar
corso ad una nuova fase istruttoria nel pieno rispetto del “principio del
contraddittorio nella formazione della prova”, laddove, invece, la corte lombarda
“ha rigettato le richieste istruttorie di Saipem, ritenendo che le prove raccolte
dalla Consob rendessero la causa già ” (così ricorso, pag.
30).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 195 t.u.f. e dell’art.
24 della legge n. 262/2005.
Deduce che il procedimento sanzionatorio innanzi alla “Consob”, seppur in
aderenza alla disciplina di cui alla delibera n. 15086/2005 della stessa autorità, si
è tuttavia svolto in violazione del principio del contraddittorio e della conoscenza
degli atti istruttori; che del resto il contrasto tra la delibera “Consob” n.
15086/2005 ed il principio del contraddittorio è stato riscontrato dal Consiglio di
Stato con due pronunce del 26.3.2015.
Deduce che il procedimento sanzionatorio innanzi alla “Consob”, ancorché in
aderenza alla disciplina di cui alla delibera n. 15086/2005, si è inoltre compiuto
in violazione del principio della separazione delle funzioni istruttorie e decisorie.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono strettamente connessi.

sanzionatorio, sia suscettibile di “sanatoria” in virtù della successiva celebrazione

Il che ne giustifica l’esame congiunto.
Ambedue i motivi sono destituiti di fondamento.
Rileva ratione temporis nella fattispecie il disposto dell’art. 195 t.u.f. nella
formulazione antecedente alla novella di cui al dec. Igs. n. 72/2015 (cfr. Cass.

2.3.2016, n. 4114, secondo cui, in materia di intermediazione finanziaria, le

si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di
attuazione adottate dalla Consob, in tal senso disponendo l’art. 6 del medesimo
decreto legislativo. Si è anticipato che il provvedimento sanzionatorio è datato
18.6.2014 e che l’opposizione alla corte di Milano è datata il 24.7.2014).
Su tale scorta si rappresenta quanto segue.
In primo luogo, che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla
“Consob” ai sensi dell’art. 190 del dec. Igs. n. 58/1998 non sono equiparabili,
quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle inflitte
ai sensi dell’art. 187 ter t.u.f. per manipolazione del mercato, sicché non hanno
la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono un
problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6
della Convenzione E.D.U. (cfr. Cass. 5.4.2017, n. 8855, ove in particolare è

riferimento alla garanzia del “ne bis in idem” tra sanzione penale ed
amministrativa comminata sui medesimi fatti).
Non si giustifica pertanto la deduzione della ricorrente secondo cui “le
garanzie del procedimento giurisdizionale si estendono a quello amministrativo
(…) laddove, nel corso del procedimento amministrativo, vengano inflitte delle
sanzioni di natura sostanzialmente penale” (così ricorso, pagg. 26 – 27).
In secondo luogo, che il procedimento sanzionatorio ex art. 195 t.u.f. non
viola l’art. 6, par. 1, della Convenzione E.D.U., perché questo esige solo che, ove

7

modifiche alla parte V del dec. Igs. n. 58/1998 apportate dal dec. Igs. n. 72/2015

il procedimento amministrativo sanzionatorio non offra garanzie equiparabili a
quelle del processo giurisdizionale, l’incolpato possa sottoporre la questione della
fondatezza dell’ “accusa” a un organo indipendente e imparziale, dotato di piena
giurisdizione, come la disciplina nazionale gli consente di fare tramite
l’opposizione alla corte d’appello

(cfr. Cass. 14.12.2015, n. 25141, ove è

“Banca d’Italia”).
In terzo luogo (in ordine al rigetto delle richieste istruttorie di “Saipem”), che
il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra
prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia
determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e,
quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a
dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di
mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno
determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi
venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass. 7.3.2017, n. 5654).
Su tale scorta non merita seguito la prospettazione della ricorrente secondo
cui “la Corte (…) avrebbe dovuto accogliere le suddette richieste (…) per
sostituire l’istruttoria svolta dalla Consob” (così ricorso, pag. 30).
Invero, da un lato, la corte di merito ha specificato che le richieste istruttorie
formulate in via subordinata da “Saipem” non erano atte a condurre a conclusioni
diverse, giacché la controversia era stata “già pienamente istruita, con
acquisizioni probatorie (ottenute sulla base di documenti e di dichiarazioni degli
esponenti aziendali, assistiti dai legali nominati dalla società)” (così decreto
impugnato, pag. 17);

dall’altro, la surriferita prospettazione della s.p.a.

ricorrente non si conforma al parametro dell’attitudine ad invalidare con
8

riferimento, propriamente, al procedimento sanzionatorio ex art. 195 t.u.f. della

”certezza” le risultanze probatorie che hanno determinato il giudice del merito,
prefigurato dal summenzionato insegnamento n. 5654/2017.
Si tenga conto, del resto, che non è censurabile in sede di legittimità il
giudizio (anche implicito) espresso dal giudice di merito in ordine alla superfluità
della prova testimoniale dedotta da una parte, specie quando lo stesso giudice

ritenuto di avere già raggiunto, in base all’istruzione probatoria già esperita, la
certezza degli elementi necessari per la decisione

(cfr. Cass. 27.7.1993, n.

8396).
In quarto luogo, che, in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento
di irrogazione di sanzioni amministrative postula solo che, prima dell’adozione
della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le
eventuali controdeduzioni dell’interessato; pertanto, non è violato il principio del
contraddittorio nel caso di omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni
dell’ “Ufficio Sanzioni Amministrative” della “Consob” o di sua mancata audizione
innanzi alla Commissione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase, i
principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo al procedimento
giurisdizionale (cfr. Cass. 4.9.2014, n. 18683; Cass. 22.4.2016, n. 8210).
Non esplicano valenza, di conseguenza, i rilievi della ricorrente secondo cui
“la Relazione dell’U.S.A. non è stata trasmessa a Saipem, né quest’ultima ha
potuto prenderne altrimenti visione, se non dopo l’irrogazione della sanzione (…);
[né] ha potuto difendersi avanti l’organo decidente” (così ricorso, pag. 36) e
secondo cui la “Divisione Mercati”, l’ “Ufficio Sanzioni Amministrative” e la
“Commissione” sono suddivisioni dello stesso organo amministrativo
ricorso, pag. 42).

(così

abbia, con ragionamento logico e giuridicamente corretto – è il caso de quo –

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 4,
cod. proc. civ. la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ovvero il vizio di omessa
pronuncia.
Deduce che giusta la disciplina legislativa vigente all’atto dell’adozione della
delibera sanzionatoria tre sarebbero stati i membri che avrebbero dovuto

dipendenza del ritardo nella nomina del terzo componente, la “Consob” era
costituita da due membri soltanto.
Deduce conseguentemente che la delibera sanzionatoria deve considerarsi
illegittima in virtù del principio “duo non faciunt collegium” e per effetto della
violazione dell’art. 23, 1° co., lett. e), del dec. leg. n. 201/2011, convertito nella
legge n. 214/2011.
Deduce inoltre che non riveste valenza alcuna la circostanza per cui la
delibera sanzionatoria è stata adottata con voto unanime dei due soli membri che
componevano la “Commissione”.
Deduce comunque che in ordine a siffatti rilievi, debitamente prospettati con
l’opposizione esperita avverso la delibera sanzionatoria, nulla ha statuito la corte
distrettuale.
Il terzo motivo è parimenti privo di fondamento.
Contrariamente all’assunto della ricorrente non si configura il vizio di omessa
pronuncia.
Infatti la corte territoriale ha espressamente affermato che “le considerazioni
sopra svolte appaiono assorbenti rispetto a tutte le domande e questioni
sollevate e trattate dalle parti e giustificano (…) il rigetto dell’opposizione, con
conseguente conferma della delibera sanzionatoria impugnata” (così ricorso, pag.
18).

comporre la “Consob”; che nondimeno, allorché è stata assunta la delibera, in

La corte milanese ha opinato dunque per la legittimità della impugnata
delibera.
In questi termini è sufficiente il riferimento all’insegnamento di questo
Giudice del diritto a tenor del quale non è configurabile il vizio di omessa
pronuncia quando il rigetto di una domanda sia implicito nella costruzione logico

tale domanda (cfr. Cass. 29.4.2006, n. 10052; Cass. 4.10.2011, n. 20311,

secondo cui, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la
mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato
completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla
soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata
comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in
proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione
implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non
espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica
della pronuncia).
In ogni caso è da escludere recisamente che la circostanza per cui la
“Consob” abbia operato in composizione ridotta, sia valsa ad inficiare la validità
dell’impugnata delibera sanzionatoria.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 114 e 181 t.u.f.,
come attuati dagli artt. 66 e 68 del regolamento emittenti, nonché dell’art. 2381,
3° e 5° co., cod. civ..
Deduce in primo luogo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte
lombarda ed in conformità alla comunicazione n. DME/6027054 del 28.3.2006
della stessa “Consob” nonché al disposto dell’art. 66 del regolamento emittenti,

– giuridica della sentenza, con la quale venga accolta una tesi incompatibile con

”l’obbligo di comunicazione ai sensi dell’art. 114 t.u.f. sorge solo nel momento in
cui un determinato evento si verifica, e non anche quando si può
ragionevolmente prevedere il suo verificarsi” (così ricorso, pag. 51).
Deduce propriamente che l’evento al cui verificarsi deve nella specie
correlarsi l’insorgere dell’obbligo di comunicazione delle “informazioni

2013 da parte del consiglio di amministrazione, organo al quale in via esclusiva
competeva siffatta potestà; che dunque è irrilevante che, “nei giorni precedenti, i
possibili dati ed i relativi scenari fossero stati discussi e valutati dal management
come maturi per l’esame da parte del Consiglio di Amministrazione” (così ricorso,

pag. 51).
Deduce ulteriormente che l’ “informazione privilegiata” non poteva qualificarsi
tale prima ancora che l’organo societario competente avesse esaminato ed
approvato i dati previsionali, atteso che “l’esigenza di una tempestiva disclosure
non può portare (…) al travalicamento della suddivisione delle competenze tra i
diversi organi”

(così ricorso, pag. 52);

che del resto spetta al c.d.a.

l’approvazione del progetto di bilancio, del budget, dei resoconti intermedi di
gestione e della relazione finanziaria semestrale e tale conclusione rinviene
riscontro nella Comunicazione della “Consob” n. DM/98011546 del 17.2.1998,
relativa al previgente regolamento “Consob” n. 5553/1991; che al contempo il
previo esame, la previa approvazione da parte del c.d.a. consentono al collegio
sindacale di attendere anche in via preventiva alla propria potestà di vigilanza e
salvaguardano le minoranze azionarie rappresentate in seno al c.d.a..
Deduce in secondo luogo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte
d’appello, l’esame e l’approvazione da parte del consiglio di amministrazione non
costituiva mera “formalizzazione” di dati previsionali già costituenti “informazione

12

privilegiate”, si è specificato nell’approvazione dei dati previsionali e del budget

privilegiata” alla data del 14.1.2013; che invero alla luce della comunicazione n.
DME/6027054 del 28.3.2006 della stessa “Consob” “formalizzato” è un evento
compiutamente definito in ogni suo aspetto, sì che abbisogna di una mera presa
d’atto insuscettibile di apportare qualsivoglia variazione.
Deduce quindi che i dati previsionali 2012 ed il budget 2013 oggetto della

disponibili alla data del 14.1.2013, sicché la successiva comunicazione non si è
tradotta in una mera presa d’atto delle proposte dell’organo delegato; che d’altra
parte il c.d.a. decide ed era chiamato a decidere in piena autonomia, sicché il suo
vaglio non poteva e non può essere considerato alla stregua di una mera
“ratifica”; che ciò viepiù se si considera che alla data del 29.1.2013 il c.d.a. era
costituito da ben cinque amministratori indipendenti su un totale di otto
consiglieri e che occorreva “verificare la correttezza dei criteri di contabilizzazione
delle più importanti commesse in corso”

(così ricorso, pag. 62),

attività

espressamente ricompresa nei compiti del c.d.a..
Deduce infine che l’acquisizione dei dati previsionali disponibili al 14.1.2013
da parte dell’amministratore delegato della controllante “E.N.I.”, non significa
che i dati fossero da considerare definitivi.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
4, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, 2° co., n. 4,
cod. proc. civ. e 111, 6° co., Cost.; ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc.
civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2381, 1° e 6° co., cod. civ..
Deduce che il presunto ritardo intercorso tra la data – 14.1.2013 – in cui i
dati previsionali disponibili avrebbero già integrato gli estremi della “informazione
privilegiata” e la data – 24.1.2013 – di inoltro della convocazione del c.d.a. è pari
a dieci giorni solari ovvero ad otto giorni lavorativi.
13

comunicazione del 29.1.2013 erano sensibilmente diversi rispetto a quelli

Deduce altresì che si è imposta la necessità di predisporre i documenti
necessari, affinché i componenti del c.d.a. ed i sindaci potessero agire e
deliberare debitamente informati sulle questioni all’o.d.g..
Deduce dunque che a fronte di tali circostanze la corte di merito ha solo
apparentemente motivato, allorché ha opinato per la responsabilità in

supposta eccessività ed inadeguatezza, rispetto ai rapidissimi tempi di reazione
del mercato borsistico, dello spazio temporale intercorso tra il 14.1.2013 ed il
29.1.2013, data della riunione del c.d.a..
Deduce inoltre che le massicce vendite del titolo “Saipem” verificatesi
antecedentemente al comunicato del 29.1.2013, “sono imputabili a soggetti terzi,
alla condotta dei quali la Società è del tutto estranea” (così ricorso, pag. 69).
Deduce in ogni caso che la locuzione “senza indugio” che figura nel testo del
1° co. dell’art. 114 t.u.f., “benché implichi una certa rapidità, non è equivalente a
(…) ” (così ricorso, pag. 69) e che otto giorni lavorativi per la
convocazione del c.d.a. sono assolutamente fisiologici per una società delle
proprie dimensioni.
Il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono del pari strettamente correlati.
Il che ne suggerisce l’esame contestuale.
Entrambi i motivi comunque non sono meritevoli di seguito.
Per quel che rileva in rapporto ai mezzi di impugnazione de quibus, il dictum
milanese è ancorato ad una duplice ratio.
Ebbene, limitatamente all’affermato “ritardo con il quale, presa forma la
notizia nei suoi termini concreti, il c.d.a. è stato convocato per procedere alla sua
adozione/approvazione/presa d’atto e la comunicazione al

dipendenza del supposto ritardo con cui sarebbe stato convocato il c.d.a. e della

pubblico” (così decreto impugnato, pag. 8), il quinto motivo di ricorso si qualifica
in relazione alla previsione del n. 5 del 1° co. dell’art. 360 cod. proc. civ..
Occorre tener conto, da un lato, che “Saipem” con il quinto mezzo censura
sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte distrettuale ha atteso (“la Corte

di Appello avrebbe dovuto valutare se, alla luce delle peculiarità del caso

avessero o meno integrato una condotta tenutasi “: così ricorso,
pag. 70; “la Corte si è limitata a richiamare alcuni fatti (…), dai quali non è
consentito inferire alcun ritardo nella convocazione del c.d.a.”: così ricorso, pag.
71); dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360, 1° co., n. 5,
cod. proc. civ. che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai
fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054;

cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).
Ovviamente l’asserito vizio motivazionale rileva,

ratione temporis, nei limiti

della novella formulazione del n. 5 del 10 co. dell’art. 360 cod. proc. civ. e nei
termini enunciati dalle sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 8053 del
7.4.2014 (il decreto impugnato è stato depositato in data 11.12.2014).
In quest’ottica si osserva quanto segue.
Da un canto, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di
“anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato in virtù della
pronuncia a sezioni unite testé menzionata, possa scorgersi in relazione alle
motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato il suo dictum.
Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita
disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo
seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte lombarda ha compiutamente

S

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concreto, gli otto giorni lavorativi trascorsi prima della convocazione del c.d.a.

ed intellegibilmente esplicitato – siccome si è in precedenza enunciato – il proprio
iter argomentativo.
Dall’altro, che la corte ha sicuramente disaminato il fatto decisivo
caratterizzante in parte qua agitur la res litigiosa.
In ogni caso

l’iter

motivazionale che sorregge il

dictum

della corte

assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.
D’altronde, se è vero che “Saipem è società che opera in tutto il mondo
attraverso centoventinove controllate e collegate” (così ricorso, pag. 71), sicché i
risultati della sua azione

(diretta e mediata)

imprenditoriale, conseguiti e

preventivati, sono inevitabilmente destinati ad incidere in termini più che
rilevanti sulle scelte degli operatori di mercato, sarebbe stato imprescindibile
attendere alla convocazione dell’organo collegiale di amministrazione
immediatamente ovvero, al più, con uno stacco temporale – dal 14.1.2013 davvero minimo, significativamente inferiore ad otto giorni lavorativi.
La reiezione del quinto motivo di ricorso svela il difetto d’interesse alla
delibazione del quarto.
Difatti, seppur si riconoscesse il buon fondamento della censura veicolata dal
quarto mezzo di impugnazione, l’impregiudicata

(ulteriore) ratio vanamente

attinta dal quinto mezzo è comunque idonea a “sostenere” in parte qua la
decisione impugnata (qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di
ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul
piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle
“rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le
censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in
quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta

ambrosiana, risulta ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed

definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa: cfr. Cass.
14.2.2012, n. 2108).
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 4,
cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, 2° co., n. 4,
cod. proc. civ. e 111, 6° co., Cost.; ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc.

Deduce che la natura sostanzialmente penale della sanzione inflittale osta
all’operatività della presunzione di colpa applicabile sul terreno delle sanzioni
amministrative; che la corte d’appello non ha per nulla esplicitato o, quanto
meno, ha esplicitato in forma apparente le ragioni sulla cui scorta ha inteso
imputarle a titolo di colpa grave la condotta ascrittale.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
5, cod. proc. civ. l’omesso esame di fatto decisivo; ai sensi dell’art. 360, 1° co.,
n. 4, cod. proc. civ. la violazione degli artt. 132, 2° co., n. 4, cod. proc. civ. e
111, 6° co., Cost..
Deduce che la corte di merito, allorché ha reputato che i dati previsionali
disponibili al 14.1.2013 fossero sufficientemente precisi, non ha per nulla
considerato che il procedimento di definizione del margine operativo del progetto
denominato “BS 171”, relativo alla costruzione di una stazione di pompaggio gas
in Kuwait ed all’epoca in corso di esecuzione, si è concluso in data 21.1.2013;
che dunque alla data del 14.1.2013 i dati previsionali 2012 ed il budget 2013 non
potevano considerarsi “precisi” e non potevano esser qualificati in guisa di
“informazione privilegiata”.
Il sesto ed il settimo motivo di ricorso presentano significativi profili di
connessione.
Ne è opportuno perciò l’esame simultaneo.

civ. l’omesso esame di fatti decisivi.

Entrambi i mezzi di impugnazione comunque vanno respinti.
Alla luce dell’insegnamento n. 8855/2017 di questo Giudice in precedenza
menzionato è da disconoscere che la sanzione inflitta abbia natura penale.
Conseguentemente va ribadita l’elaborazione ricostruttiva di questa Corte.
Ossia che il principio posto dall’art. 3 della legge 24.11.1981, n. 689, secondo

volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, deve essere
inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la
concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una
presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia
commesso, riservando poi a quest’ultimo l’onere di provare di aver agito
incolpevolmente (cfr. Cass. sez. lav. 7.9.2006, n. 19242; cfr. Cass. 8.2.2016, n.
2406; cfr. Cass. sez. un. 30.9.2009, 20930, secondo cui, in tema di sanzioni
amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, l’art. 190 del dec. Igs. 24.2.1998, n. 58, individuando una serie di
fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni
ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere
doveroso, àncora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al
dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo
dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, con la
conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la
fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di
colpa posta dall’art. 3 della legge n. 24.11.1981, n. 689, l’onere di provare di
aver agito in assenza di colpevolezza).
D’altro canto, la corte distrettuale ha esplicitamente dato riscontro della
gravità della colpa, siccome “chiaramente e univocamente desumibile dalla

4

18

cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e

anticipata conoscenza delle informazioni non tempestivamente comunicate” (così
decreto impugnato, pagg. 5 – 6).
In ogni caso ambedue i motivi in disamina si qualificano in relazione alla
previsione del n. 5 del 1° co. dell’art. 360 cod. proc. civ..
Con i mezzi de quibus “Saipem” similmente censura il giudizio “di fatto” cui la

ritenere che nel periodo tra il 14 ed il 25 gennaio 2013 la struttura societaria non
sia rimasta in uno stato di inerzia colposa”: così ricorso, pag. 75; la corte
d’appello ha trascurato “il progetto in corso di esecuzione denominato
(…)”: così ricorso, pag. 77).
Ovviamente i pretesi vizi motivazionali rilevano nei limiti della novella
formulazione del n. 5 del 1° co. dell’art. 360 cod. proc. civ. e nei termini di cui
alla già citata pronuncia n. 8053 del 7.4.2014.
In quest’ottica esplicano valenza i rilievi tutti svolti in sede di esame
specificamente del quinto motivo di ricorso.
Cosicché pur in partis quibus è

da escludere e qualsivoglia “anomalia

motivazionale” e la mancata disamina del fatto decisivo caratterizzante la res
litigiosa.
Analogamente dunque l’iter motivazionale risulta ineccepibile, congruo ed
esaustivo.
Ciò viepiù alla luce del rilievo per cui la ricorrente censura l’asserita distorta
ed erronea valutazione delle risultanze di causa

(“dalle risultanze probatorie

risultano (…) una serie di elementi indicatori di assenza di colpa, del tutto
trascurate (…)”: così ricorso, pag. 74).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non
legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con

corte territoriale ha atteso (“tutti questi elementi conducono univocamente a

il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360,
10 co., n. 5, cod. proc. civ., né in quello del precedente n. 4, disposizione che per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente
all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

proc. civ. questa Corte spiegava che, ai fini di una corretta decisione, il giudice
del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali,
né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo
invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli
elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella
valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo
quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000,
n. 6023).
Non riveste perciò precipua valenza la circostanza secondo cui la corte di
merito avrebbe trascurato l’ “aspetto (…) illustrato nelle due memorie difensive
prodotte da Saipem nel corso del procedimento sanzionatorio” (così ricorso, pag.
78) ovvero l’elemento riguardante la “costruzione da parte di Saipem di una
stazione di pompaggio gas in Kuwait” (così ricorso, pag. 77).
Si giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
Riveste significato a tal proposito l’assoluta novità della questione – in questa
sede delibata – concernente l’esegesi della locuzione “senza indugio” figurante
nel testo del 10 co. dell’art. 114 t.u.f..
Si dà atto che il ricorso è datato 15.4.2015.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002, n. 115, si dà atto
altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della

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Al contempo, di già nel vigore dell’abrogato n. 5 del 10 co. dell’art. 360 cod.

ricorrente “Saipem” s.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1
bis, d.p.r. cit. (l’obbligo di pagamento dell’ulteriore contributo unificato sussiste
anche ove le spese vengano compensate: cfr. Cass. (ord.) 9.6.2014, n. 12936;
Cass. 7.5.2015, n. 9241).

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente le spese del presente
giudizio di legittimità; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. n. 115/2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente “Saipem” s.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1
bis, cit..
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte
Suprema di Cassazione, il 7 novembre 2017.
Il presidente

Il consi liere estensore

dott . Stefano Petitti

dott.

ak_

nano Giudizi**

ia NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

14 FEB. 2018

P.Q.M.

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