Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3572 del 04/02/2022
Cassazione civile sez. un., 04/02/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 04/02/2022), n.3572
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –
Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –
Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22882-2020 proposto da:
G.A., Z.P.F., elettivamente domiciliati
in ROMA, presso la CANCELLERA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall’avvocato RAFFAELE SODDU;
– ricorrenti –
contro
C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato GIUSEPPE ANDREOZZI;
C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUNIO
BAZZONI 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ASCIANO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI M. LAURO;
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato GABRIELE SPANO;
CO.SA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ORAZIO 31,
presso lo studio dell’avvocato COSTANTINO MURGIA, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato STEFANO MONNI;
S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PRESSO LA
cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli
avvocati FRANCESCO BALLERO, e BENEDETTO BALLERO;
REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA, in persona del Presidente
pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
D.G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIANFRANCO CARBONI;
P.A., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
DEGLI SCIPIONI 281, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO FRENI,
che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA ROMANO;
– controricorrenti –
nonché contro
UFFICIO ELETTORALE CENTRALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI,
UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE PRESSO IL TRIBUNALE DI CAGLIARI,
CA.SA., O.M.L., L.D., R.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2305/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata
il 06/04/2020;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, con sentenza n. 546 del 2019, ha rigettato il ricorso proposto da G.A., Z.P.F. e altri contro la proclamazione del Presidente della Regione Sardegna e degli eletti in Consiglio regionale, all’esito delle elezioni regionali del (OMISSIS).
I ricorrenti avevano dedotto che alcune liste erano state illegittimamente ammesse alla competizione elettorale, in violazione della L.R. statutaria Sardegna 12 novembre 2013, n. 1 il cui art. 21, comma 3 non richiede sottoscrizioni per la presentazione di liste di candidati che siano espressione di partiti o gruppi o movimenti politici di carattere nazionale o regionale “ai quali, con dichiarazione formale, aderisca almeno un consigliere regionale in carica alla data di indizione dei comizi elettorali”. La tesi è che le (sette) liste contestate erano state ammesse sulla base di “comunicazioni” e/o “dichiarazioni di rappresentanza politica”, rese da consiglieri uscenti, prive dei requisiti di cui al predetto art. 21, comma 3, in quanto non accompagnate ad una effettiva adesione al partito, movimento o gruppo del quale quelle liste erano espressione, né all’abbandono o all’espulsione dal partito o gruppo di originaria appartenenza, avendo i consiglieri di cui si tratta, al contrario, tenuto un comportamento antitetico a quello dell’adesione al nuovo partito.
Il gravame di G.A., Ci.Ma. e Z.P.F. è stato rigettato dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 2305 del 2020, secondo la quale, in sostanza, il requisito dell’adesione del consigliere regionale in carica va inteso non come necessità di iscrizione o appartenenza politica alla nuova lista, ma come idoneità del supporto o sostegno della stessa o collegamento tra le liste.
Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione G.A. e Z.P.F., resistito con autonomi controricorsi dal Consiglio Regionale della Sardegna, da C.L., Co.Sa., S.F., D.G.V., C.R. e, con unico controricorso, da S.P., P.A., Ca.Sa., Pa.Mi., M.A., Gi.Da., Ma.Ig. e E.M.. Sono state presentate memorie.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con un unico complesso motivo i ricorrenti denunciano eccesso di potere giurisdizionale per superamento dei limiti esterni della giurisdizione e usurpazione della funzione legislativa, per avere la sentenza impugnata radicalmente stravolto il significato della L.R. statutaria della Sardegna 12 novembre 2013, n. 1, art. 21, comma 3, creando una nuova ipotesi (jus singolare) derogatoria alla raccolta delle firme per la presentazione delle liste alle elezioni regionali della Sardegna, costituita dalla mera dichiarazione del consigliere regionale uscente di voler supportare una nuova lista, non accompagnata dalla adesione al partito, movimento o gruppo del quale la nuova lista è espressione.
In altri termini, il legislatore sardo del 2013 avrebbe introdotto il requisito della “adesione” – modificando in senso restrittivo la normativa precedente che consentiva l’esonero dalla raccolta delle firme alle liste aventi “propri rappresentanti in Consiglio regionale” (L. 6 marzo 1979, n. 7, art. 12, comma 2) – al fine di evitare che la deroga possa operare in presenza di mere “comunicazioni di rappresentanza politica”, essendo l’adesione espressione di contestuale appartenenza politica, cioè di una scelta di campo effettiva e non astratta o virtuale o di generico supporto esterno alla nuova lista, come invece accaduto nella specie, ove alcuni consiglieri autori delle predette comunicazioni non si erano candidati in alcuna lista, altri non avevano abbandonato la formazione politica di appartenenza o avevano presentato formale dichiarazione di accettazione della candidatura in liste diverse.
2.- Nella sentenza impugnata il Consiglio di Stato (ai p. 6 e 7) ha osservato che “il requisito che la norma (art. 21, comma 3) pone per la modalità di presentazione considerata è duplice: che vi sia una formale adesione alla lista di un consigliere regionale, e che costui sia in carica alla data di indizione dei comizi elettorali (…) poiché la partecipazione alla competizione elettorale implica un radicamento sociale della lista, o comunque del partito o movimento politico di riferimento, la prova di tale radicamento può ottenersi o attraverso la raccolta delle sottoscrizioni dei cittadini (art. 21, comma 1), ovvero attraverso la modalità contemplata dal citato art. 21, comma 3. Per valutazione discrezionale del legislatore regionale – si legge ancora nella sentenza – entrambe tali modalità, per come disciplinate dalle rispettive disposizioni, sono parimenti rappresentative dell’esistenza di un apprezzabile e significativo legame, comunque sufficiente a legittimare la partecipazione alla competizione elettorale, fra la lista, e la struttura o area politica di riferimento, e la società civile. Ne’ tale valutazione discrezionale si atteggia ad irragionevole, nella parte in cui limita il collegamento alla puntuale adesione, senza richiedere una coerenza diacronica dell’impegno politico del consigliere aderente”.
3.- Si deve ribadire che l’eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore, denunciabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, ex art. 111 Cost., comma 7, – per quanto interessa in questa sede, in disparte gli altri casi di eccesso – “come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito… alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore” (vd. Corte Cost. n. 6 del 2018).
Tale ipotesi, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, “e’ configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete. L’ipotesi non ricorre quando il Consiglio di Stato, nello svolgimento della sua attività di interpretazione della disciplina, abbia dato luogo ad un provvedimento abnorme o anomalo ovvero abbia determinato uno stravolgimento delle norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, tutt’al più, un “error in iudicando”, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale” (ex plurimis, SU n. 36899 del 2021).
Queste Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare che l’attività interpretativa è segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore, dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento, nell’ambito del quale la norma di volta in volta adegua il suo contenuto ad opera della giurisprudenza, in guisa da conformare il significato alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con i valori di rango superiore (cfr. SU n. 24413 del 2021, n. 27341 del 2014).
“Proprio detto limite, in definitiva, segna la distinzione dei piani sui quali operano, rispettivamente, il legislatore e il giudice” (cfr. SU del 2021 da ultimo citata). Il piano sul quale opera il giudice è quello dell’interpretazione mediante i plurimi canoni elaborati dalla scienza giuridica, tra i quali possono annoverarsi quelli dell’interpretazione letterale, teleologico e sistematico, storico-evolutiva. E tuttavia l’eccesso di potere giurisdizionale non è strumento per verificare se il Consiglio di Stato abbia fatto corretta applicazione dei predetti canoni interpretativi per la decisione del caso concreto, non configurandosi una violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice speciale solo per la presenza di errores in iudicando nella sentenza impugnata.
L’eccesso di potere giurisdizionale, idoneo ad essere denunciato per invasione della sfera del legislatore, rappresenta una “evenienza estrema e al contempo marginale nell’esperienza del diritto” (SU n. 38361 del 2021), ravvisabile nei soli casi in cui il giudice speciale abbia attribuito alla disposizione di legge un significato del tutto estraneo alle plausibilità di senso desumibili dal significante testuale, debordando dal limite di tolleranza ed elasticità della disposizione, con l’effetto di porsi quale “regola del caso” valevole anche per il futuro, assumendo in tal modo le sembianze di una (vera) disposizione di legge di fonte giurisdizionale. Tale ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame.
4.- Ai fini dell’esonero dalla raccolta delle firme per la presentazione delle liste alle elezioni regionali per la Regione Sardegna, il Consiglio di Stato (al p. 6) ha osservato che “la disposizione in esame (L.R. n. 1 del 2013, art. 21, comma 3) ha effettivamente richiesto, come sostengono gli appellanti, un quid pluris rispetto a quella previgente (art. 12 dell’abrogata L.R. n. 7 del 1979): il collegamento, prima qualificato come mera presenza della lista in Consiglio regionale (l’avere propri rappresentanti nel Consiglio uscente), deve ora consistere quanto meno nell’adesione di uno dei consiglieri uscenti alla nuova lista”.
Dall’esame delle liste contestate – consentito a questa Corte, in considerazione della tipologia del vizio prospettato come inerente alla giurisdizione – risulta che alcune di esse hanno beneficiato del predetto esonero in forza di “comunicazioni” e/o “dichiarazioni di rappresentanza politica” rese da consiglieri uscenti nei confronti delle nuove liste.
La sentenza impugnata si sofferma sulla questione se la adesione alla lista debba essere “dinamica” (cioè rimanere ferma nel tempo, onerando il consigliere che la fa di coerenza politica intesa come necessità di un reale impegno successivo per la lista verso cui è diretta) oppure statica (cioè riferita al momento in cui è espressa) e conclude in quest’ultimo senso (l’art. 21 L.R. sarda, comma 3 – osserva il Consiglio di Stato al par. 7 – “così come non richiede alcun requisito di ultrattività degli effetti della dichiarazione, non richiede neppure identità di appartenenza politica fra l’aderente e la lista”).
Altra e’, tuttavia, la censura proposta in questa sede, contestando i ricorrenti che una “adesione” vi sia mai stata (neppure statica) e che il risultato dell’operazione ermeneutica del Consiglio di Stato sia stato la creazione di una norma nuova, non desumibile in via interpretativa dalla disposizione applicabile, la quale richiede la “adesione” e non la mera “rappresentanza politica”, come invece consentito dalla precedente legge modificata nel 2013, o la mera dichiarazione di “supporto” o “sostegno” o il “collegamento” tra le liste.
5.- Occorre dunque valutare se la regola del caso utilizzata per la decisione abbia assunto le sembianze di una norma nuova, elaborata direttamente dal Consiglio di Stato mediante un’attività solo apparentemente interpretativa, ma in realtà surrogatoria del legislatore e quindi propriamente normativa, nel qual caso sarebbe configurabile un superamento dei limiti esterni della giurisdizione.
Ai fini del limitato controllo consentito alle Sezioni Unite non assume rilievo l’accento sul precedente richiamato dal Consiglio di Stato (sentenza dello stesso Consiglio n. 7633 del 2019, cfr. SU n. 12151 del 2021) – che, riguardando una legge regionale diversa, non richiede l’adesione ma che le liste interessate siano “espressione di gruppi presenti nel Consiglio regionale o nel Parlamento nazionale” (L.R. Abruzzo n. 9 del 2013, art. 12, comma 2) quanto invece l’affermazione del Consiglio (al p. 7) secondo cui “la disposizione E…) non richiede neppure identità di appartenenza politica fra l’aderente e la lista, posto che il dato che rileva è quello del collegamento fra presenza nel consiglio uscente e volontà di supportare la lista medesima”.
In quest’ultima affermazione è compendiato il nucleo dell’operazione ermeneutica svolta dal Consiglio di Stato, volta ad includere nella definizione normativa di “adesione” (del consigliere uscente alla nuova lista, ai fini dell’esonero dalla raccolta delle firme) comportamenti indicativi di mera “rappresentanza”, “supporto” o “sostegno” della nuova lista o anche “collegamento” tra le liste, senza necessità di una organica o esclusiva appartenenza alla nuova lista.
Si deve allora verificare se tale definizione sia del tutto estranea alle plausibilità di senso del significante testuale posto dalla disposizione in esame (L.R. n. 1 del 2013, art. 21, comma 3), indicativa in ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale o, al contrario, costituisca – come ritiene il Collegio – una delle interpretazioni rese possibili dalla elasticità della nozione di “adesione”, il cui significato va calato nel contesto (politico) al quale essa si riferisce.
Non è ravvisabile, in realtà, alcun superamento dei limiti esterni della giurisdizione da parte del Consiglio di Stato, il quale si è limitato ad esercitare la giurisdizione che gli spetta, avendo offerto della nozione di “adesione” un significato omogeneo a quello proprio di altre nozioni (“rappresentanza” e “collegamento”) utilizzate dalle normative elettorali per indicare le cause di esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni, nel tentativo di offrire una interpretazione sistematica e teleologica in senso unificante che non è possibile mettere in discussione in questa sede.
E’ significativo che l’art. 21, comma 3 L.R. sarda preveda l’ulteriore causa di esonero dalla raccolta delle firme “per la presentazione di liste di candidati con contrassegni tradizionalmente usati o ufficialmente riconosciuti dai partiti o gruppi o movimenti politici di carattere nazionale o regionale che abbiano avuto eletto (…) un proprio rappresentante nel Consiglio regionale…”, in aggiunta all’adesione (“…o ai quali, con dichiarazione formale, aderisca almeno un consigliere regionale in carica alla data di indizione dei comizi elettorali”). Al “collegamento” tra le liste come causa di esonero dalla raccolta delle firme, inoltre, fa riferimento anche la normativa nazionale (cfr. D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 18-bis, comma 2, in tema di elezioni per la Camera dei deputati).
In conclusione, non rientra nel sindacato sull’eccesso di potere giurisdizionale la verifica della esatta (o migliore) interpretazione della legge, neppure al cospetto di eventuali errores in iudicando compiuti dal giudice speciale ma non emendabili in questa sede, quali sono in realtà quelli prospettati dai ricorrenti, nel tentativo improprio di ottenere una nuova o migliore interpretazione delle norme applicabili sulle domande proposte nel giudizio amministrativo.
6.- Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ai fini del raddoppio del contributo, essendo il processo esente.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese, liquidate in Euro 4200,00.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2022