Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3571 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25007-2005 proposto da:

MARTE 85 S.R.L. in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI MONTI PARIOLI 48 presso lo

studio dell’Avvocato MARINI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO ROMA (OMISSIS), COMMITAL

S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, P.F.;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 12/2005 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA,

depositata il 22/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/01/2010 dal

Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato RENATO MARINI, per delega

Avvocato Giuseppe MARINI depositata in udienza, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato DIANA RANUCCI, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con scrittura privata intitolata “cessione di ramo di azienda” del (OMISSIS), registrata il (OMISSIS), la società Commital S.p.A. concedeva alla società Marte 85 s.r.l. il diritto d’uso esclusivo del marchio registrato “Kennedy” su prodotti elettrici, unitamente alla cessione di disegni, progetti e modelli dei prodotti elettrici ed elettronici di cui al marchio. Il prezzo complessivo riportato in atto era di L. 110.000.000.

L’Ufficio del registro di Roma rettificava con avviso di accertamento, notificato il 10.10. 1988, il valore da L. 110.000.000 a L. 4.226.000.000, sul presupposto che fosse intervenuta una cessione di ramo di azienda comprendendo nella valutazione l’avviamento commerciale, le merci, gli arredi e gli stigli. Avverso detto atto la società Marte 85, acquirente, la società Commital e il dott. P.F. proponevano ricorso innanzi alla C.T. di primo grado di Roma, eccependo che l’ufficio aveva errato nella qualificazione del contratto (trasferimento del marchio) e che l’intitolazione del contratto, quale cessione di azienda, a fronte del chiaro contenuto di esso non poteva consentire all’Ufficio tale immotivata pretesa. In subordine, contestavano l’incongruità del valore attribuito all’avviamento e la pretesa di presumere la cessione di merci, gli arredi e stigli espressamente esclusi.

La C.T.P. accoglieva parzialmente i ricorsi, riducendo il valore accertato a L. 1.575.000.000, ma omettendo di pronunciarsi sui motivi principali dedotti dalla società Marte 85.

Proponeva appello la società e la C.T.R. rigettava il gravame, confermando la sentenza di primo grado.

Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione la società Marte 85, sulla base di due motivi. Sono presenti in giudizio con semplice atto di costituzione il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate.

Diritto

Con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51e 52, e art. 20 stesso D.P.R., l’omessa pronuncia, nonchè la carente, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, per non avere la C.T.R. risposto ai motivi dedotti con i quali si lamentava la mancata interpretazione del contenuto del contratto, onde applicare l’imposta al significato sostanziale dello stesso e non alla formale qualificazione, di per sè insufficiente a motivare l’accertamento di maggior valore ai sensi degli articoli sopraccitati. La C.T.R., infatti, nell’avvallare l’operato dell’Ufficio, avrebbe fatto erronea applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51e 52ad una fattispecie (trasferimento del marchio)non rientrante nella loro sfera di applicazione, motivando, inoltre, in modo contraddittorio riferendosi sempre al marchio e mai all’azienda ritenuta ceduta.

Con la seconda censura, svolta in via subordinata, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51e 52nonchè la carente, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, per non avere la C.T.R. considerato l’illegittimità dell’accertamento che aveva fatto riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, dal momento che oggetto della cessione era stato solo il marchio, essendo stati espressamente esclusi ogni altro elemento costituente l’azienda.

Occorre preliminarmente dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto avverso il Ministero dell’economia e delle finanze in quanto lo stesso nel presente procedimento è privo di legittimazione processuale, non essendo stato parte nel giudizio di appello dal quale deve intendersi tacitamente estromesso (cass. civ. sentt. nn. 9004/2007,22889/2006), come è dato rilevare anche dall’epigrafe della sentenza impugnata, ove il gravame risulta proposto contro la sola l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Roma (OMISSIS), in data 6.5.2003.

A seguito della riforma dell’Amministrazione finanziaria ai sensi delD.Lgs. n. 300 del 1999, sono state istituite le Agenzie fiscali e, pertanto, a partire dal 1 gennaio 2001 (data d’inizio dell’operatività di detti enti), la legittimazione processuale attiva e passiva nel contenzioso tributario compete a dette istituzioni, dotate di personalità giuridica, e non più al Ministero od agli uffici periferici dello stesso non più esistenti a seguito dell’intervenuta riforma.

Si compensano le relative spese, dato che la costituzione del Ministero non ha aggravato la difesa erariale e che la giurisprudenza citata si è consolidata in epoca successiva all’introduzione del presente ricorso.

Il ricorso è fondato.

Osserva la Corte che dalla sentenza impugnata si evince in modo indiscutibile che la C.T.R. non ha preso in alcuna considerazione i rilievi sollevati dalla società in ordine alla mancata interpretazione del contenuto del contratto, onde applicare l’imposta al significato sostanziale dello stesso e non alla formale qualificazione dell’atto intestato come: “cessione di ramo di azienda”. Detta intitolazione trova quale probabile giustificazione il fatto che il testo vigente, all’epoca della conclusione del contratto, dell’art. 2573 c.c.che disciplinava il trasferimento del marchio, permetteva l’alienazione di tale segno distintivo solo nell’ipotesi di contestuale cessione dell’azienda o di un ramo di essa, onde evitare frodi in danno del pubblico (cfr., cass. civ. sentt. nn. 665 del 1972 e6259 del 1982). Solo successivamente detto articolo è stato modificato dalD.Lgs. n. 80 del 1992, art. 83, “purchè in ogni caso dal trasferimento o dalla licenza non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico.” Tuttavia il fatto che nel 1986 il trasferimento di marchio non fosse legittimo per cui la violazione dell’art. 2573 c.c., nel testo previgente, costituiva motivo di nullità del contratto, non è assolutamente rilevante ai fini fiscali. Infatti, nelle norme che disciplinano l’imposta di registro non si rinviene alcuna disposizione in tal senso, anzi il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20intitolato “Interpretazione degli atti”, statuisce espressamente che:

“L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.” Per cui l’atto va sottoposto a tassazione applicando la tariffa più rispondente al contenuto del contratto ed alla volontà delle parti, non rilevando, nemmeno, nella ipotesi di impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta, perchè ritenuta non più dovuta in conseguenza di un’eventuale intervenuta declaratoria di nullità dell’atto con sentenza, il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della nullità di un contratto emessa a seguito di giudizio cui l’amministrazione finanziaria sia rimasta estranea, non svolgendo detto giudicato alcuna efficacia vincolante e non impedendo, quindi, all’amministrazione finanziaria stessa ed al giudice tributario di accertare l’effettiva natura del contratto stesso. (cfr., cass. civ. sent. n. 16083 del 2001).

Nella specie il Collegio ritiene, stante la chiara volontà delle parti di cedere unicamente il marchio, senza alcun trasferimento di azienda o di un ramo della stessa, di dovere applicare il consolidato e condivisibile principio della giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “Ai sensi dell’art. 8 della Legge di Registro (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269), corrispondente alD.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 19 ed al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, l’atto deve essere tassato in base alla sua intrinseca natura ed agli effetti (ancorchè non corrispondenti al titolo ed alla forma apparente) da individuare attraverso l’interpretazione dei patti negoziali secondo le regole generali di ermeneutica, con esclusione degli elementi desumibili aliunde in tale indagine non è precluso il ricorso al dato letterale, ove esso non risulti in contrasto con la sostanza del negozio, e neppure il collegamento fra più patti negoziali, ove siano espressione di un disegno unitario tale da evidenziare la effettiva portata dell’atto da tassare”.

L’accoglimento del primo motivo rende inutile l’esame del successivo, peraltro, proposto in via subordinata. Pertanto, dichiarata assorbita ogni altra censura, il ricorso deve essere accolto, e, cassata la sentenza impugnata, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso può essere deciso nel meritoex art. 384 c.p.c., accogliendo la domanda introduttiva.

Stanti le alterne vicende processuali, si ritiene equo statuire la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto avverso il Ministero dell’economia e delle finanze, compensando le relative spese. Accoglie quello svolto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, sezione tributaria, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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