Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3570 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3079-2005 proposto da:

SER.CO. GENERAL CONTRACTOR S.R.L. IN LIQUIDAZIONE in persona del

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TACITO 64 presso lo studio dell’Avvocato CARLETTI DANIELA, che la

rappresenta e difende unitamente all’Avvocato ALLEGRO ENRICO giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO IVA DI COMO in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 47/2003 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di MILANO, depositata il 15/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2

0/01/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso e in subordine per il rigetto dello stesso.

Fatto

A seguito di indagini penali, svolte dalla Guardia di finanza – N.R.P.T. di Milano presso la società Valma S.p.A., emergevano rapporti relativi ad emissioni di fatture per operazioni inesistenti tra detto ente e la società CNS General Contractor s.r.l. (ora SER.CO.) per cui tali fatti venivano segnalati all’Ufficio I.V.A. di Como che rilevava un’indebita detrazione d’imposta da parte della società SER.CO per emissione di fatture relativa ad operazioni inesistenti nella dichiarazione annuale del 1992 per un importo di L. 49.699.000. Conseguentemente veniva notificato avviso di rettifica n. (OMISSIS) con le relative sanzioni e successivamente anche la relativa cartella di pagamento.

Tali atti venivano impugnati con distinti ricorsi innanzi alla C.T.P. di Como, lamentando per il primo la carenza di motivazione e che l’accertamento fosse basato solo su presunzioni.

La C.T.P., riuniti i ricorsi, li respingeva con sentenza n. 37/6/99 e, a seguito di gravame della società, la C.T.R. della Lombardia respingeva l’appello proposto, confermando la decisione di primo grado, che aveva ritenuto inattendibili le fatturazioni eseguite in conseguenza di una supposta intermediazione della SNIAI s.r.l. per l’aggiudicazione di una commessa di circa 10 miliardi in un contesto di palese carenza organizzativa tale da consentirle l’assolvimento dell’assunto scopo sociale, in assenza, peraltro, di puntuale documentazione che attestasse i termini del rapporto anche in merito all’ammontare del corrispettivo per la collaborazione pattuita.

Avverso detta decisione la società SER.CO. attualmente in liquidazione, in persona del liquidatore M.L., propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resistono con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate.

Diritto

Con il primo motivo si denuncia la falsa applicazione di legge nonchè l’erronea interpretazione e valutazione delle prove, per avere la C.T.R. avallato la pretesa fiscale avanzata dall’Ufficio I.V.A. anche nei confronti di M.L. solo perchè liquidatore al momento della notifica dell’avviso di rettifica mentre lo stesso all’epoca dei fatti ((OMISSIS)) non rivestiva alcuna carica nella società, essendo divenuto amministratore unico solo nel 1994 ed essendo estraneo alla vicenda penale. Conseguentemente la pretesa fiscale de qua avrebbe dovuto essere ritenuta ultronea rispetto all’attuale liquidatore in quanto carente di legittimazione passiva tributaria e nei suoi confronti non dovrebbe essere fatta valere alcuna ripresa fiscale nè a titolo d’imposta nè a titolo di sanzione.

Con la seconda censura si deduce la falsa ed erronea interpretazione di legge in relazione al D.L. n. 269 del 2003, art. 7 convertito in L. n. 326 del 2003, sostenendo che l’atto impugnato è nullo sia nei confronti della società ricorrente che del suo legale rappresentante in quanto il citato art. 7, comma 1 stabilisce che le sanzioni amministrative relative a rapporti propri della società ed enti con personalità giuridica “sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.

Conseguentemente nessuna responsabilità per le sanzioni irrogate può essere addebitata al liquidatore per eventuali illeciti fiscali della società.

Nè rileva il fatto che la norma invocata sia entrata in vigore in epoca successiva ai fatti de quibus in forza del principio dell’applicazione della legge più favorevole sancito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, e richiamato dall’art. 25, comma 2, stesso Decreto e dallo Statuto del contribuente. Detto principio è applicabile anche ai giudizi in corso come nella specie.

Il ricorso è inammissibile.

La società contribuente ha dedotto due motivi d’impugnazione, l’uno relativo alla prospettata carenza di legittimazione passiva di M.L., attuale liquidatore della società ma che all’epoca dei fatti non rivestiva in seno a detto ente alcuna carica per cui non poteva essere avanzata alcuna pretesa fiscale nei suoi confronti, e, l’altro, in ordine alla falsa ed erronea interpretazione di legge in relazione al D.L. n. 269 del 2003, art. 7 convertito in L. n. 326 del 2003, da parte della C.T.R. con la sentenza impugnata,con il quale si insiste sulla riferibilità della sanzione irrogata unicamente alla persona giuridica.

Detti motivi non investono in alcun modo le rationes decidendi dell’impugnata sentenza la quale, come sopra evidenziato, ha basato la propria pronuncia sulla mancata produzione di elementi probatori sui pretesi rapporti di collaborazione esistenti tra le due società e sul ruolo svolto dalla SNIAI in ordine all’aggiudicazione della commessa nella prospettiva di rendere plausibile un compenso di duecento milioni, donde aveva ritenuto la piena legittimità della cartella esattoriale relativa all’avviso di rettifica.

Tutto ciò premesso i motivi del ricorso devono essere dichiarati inammissibili.

Peraltro, occorre, anche sottolineare ulteriori profili di inammissibilità del ricorso per essere state le questioni, oggetto dell’attuale impugnativa, sollevate per la prima volta in sede di legittimità e per avere sostenuto l’esistenza della pretesa fiscale anche nei confronti del liquidatore della società, mentre costui, per come si rileva dal controricorso, è stato destinatario dell’avviso di rettifica impugnato nella sua qualità di rappresentante legale pro tempore della società contribuente e non quale persona fisica destinataria in proprio e quale responsabile in solido delle sanzioni irrogate alla SER.CO General Contractor s.r.l..

Su quest’ultima incombe invece la responsabilità, come ritenuto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato: “La L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 12 in tema di repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, con riguardo alle infrazioni che comportano soprattassa o pena pecuniaria, commesse da persone fisiche che abbiano la rappresentanza di enti privati forniti di personalità giuridica, prevede la responsabilità solidale dell’ente, in aggiunta a quella dell’autore dell’illecito, mentre non contempla l’ipotesi inversa, con la conseguenza che, alla stregua della predetta disposizione, in caso di infrazioni direttamente imputabili all’ente quale soggetto passivo del rapporto tributario (nella specie, in materia di IVA), sia pure in forza di atti o comportamenti del suo organo, resta esclusa la possibilità di affermare la responsabilità del rappresentante in solido con quella del rappresentato principio della identificazione del trasgressore, soggetto passivo della sanzione, con l’autore materiale della violazione risulta, invece, accolto più di recente dal legislatore con il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, abrogativo, tra l’altro, della descritta normativa, che, all’art. 2, comma 2, considera la persona fisica che ha posto in essere il comportamento trasgressivo come unico centro d’imputazione della sanzione, e, all’art. 11, ha poi esteso la responsabilità dell’autore della violazione, in via solidale, al contribuente, che ben può essere un ente, con o senza personalità giuridica. Tale disciplina, peraltro, non è applicabile retroattivamente, in virtù del principio fissato dall’art. 3 dello stesso D.Lgs., che, al primo 1, esclude – analogamente a quanto previsto per le sanzioni penali e per quelle amministrative rispettivamente dall’art. 25 Cost. e art. 2 cod. pen., e dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1 – la retroattività della norma che introduce nuove sanzioni o aggrava quelle già previste”. (cfr., per tutte, Cass. civ. sentt. n. 13998 del 2001 e 17223 del 2006).

Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte soccombente al pagamento delle spese che si liquidano in Euro 2.000, di cui Euro 1.800 per onorari oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, sezione tributaria, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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