Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3569 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. un., 14/02/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente agg. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di Sezione –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, iscritto al

n. 15571 del Ruolo Generale degli affari civili del 2010, proposto

da:

COMUNE DI MELITO PORTO SALVO, in persona del sindaco in carica,

autorizzato a stare in giudizio da Delib. G.M. 13 maggio 2010, n. 85

ed elettivamente domiciliato in Roma presso la Cancelleria della

Suprema Corte, rappresentato e difeso, per procura a margine del

ricorso, dall’avv. Dattola Fortunato, del foro di Reggio Calabria.

– ricorrente –

contro

S.C., elettivamente domiciliato in Roma alla Via Monte

delle Gioie n. 13, int. 8, presso l’avv. Valensise Carolina, che

unitamente e disgiuntamente con l’avv. Scaglione Francesco, lo

rappresenta e difende, per procura a margine del controricorso.

– controricorrente –

nella causa iniziata con atto di citazione notificato il 13 marzo

2008 dal S. al Comune di Melito Porto Salvo, per ottenere la

condanna del convenuto a restituire il terreno illecitamente occupato

dall’ente locale e a risarcire la perdita da distruzione della

recinzione dello stesso ovvero alternativamente a risarcire il danno

ragguagliato al valore del bene occupato alla data della sentenza,

con accessori di legge.

Udita all’adunanza del 18 gennaio 2011 l’avv. Valensise Carolina per

il controricorrente.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata nella Cancelleria di queste Sezioni Unite la seguente relazione del giudice designato dal primo presidente aggiunto, ai sensi degli artt. 376 e 380 ter c.p.c.: “Con ricorso ex art. 41 c.p.c. notificato il 28 maggio 2010 a S.C., il Comune di Melito di Porto Salvo (R.C.) propone regolamento preventivo di giurisdizione nel processo civile pendente con il n. 46 dell’anno 2008 presso il Tribunale di Reggio Calabria, iniziato con citazione notificata all’ente locale nello stesso anno dal S., per ottenere la condanna del convenuto al risarcimento del danno per la irreversibile trasformazione d’una parte del suo giardino di mq. 1520 in territorio comunale, utilizzato per la costruzione del Lungomare cittadino.

Il S., nel procedimento principale, ha dedotto con la citazione che, con Delib. consiglio Comunale 30 luglio 1986, n. 209, era stato approvato il progetto del Lungomare, con tacita dichiarazione di pubblica utilità dell’opera mancante dei termini di completamento della costruzione della strada e di quelli di conclusione della procedura espropriativa, deducendo che dopo l’occupazione preordinata all’esproprio deliberata il 28 aprile 1987 e iniziata con immissione in possesso dell’espropriante del 13 luglio successivo, durata per cinque anni fino al 13 luglio 1992, l’opera in progetto era stata ultimata il 22 dicembre 1992.

Nel gennaio dello stesso anno, il Comune di Melito Porto Salvo aveva offerto un’indennità provvisoria di L. 830 a mq. rifiutata dall’espropriando, che aveva sollecitato la liquidazione alla Commissione provinciale espropri, la quale, nel luglio successivo, aveva comunicato quella definitiva di L. 15.000 a mq. al S., che si era opposto a tale determinazione, ai sensi della L. n. 865 del 1971, artt. 18 e 20, evocando in causa il Comune di cui sopra, con citazione dell’8 ottobre 1992, dinanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria. La Corte adita, accertata la mancata emissione del decreto di esproprio, con sentenza del 30 giugno 2007 n. 198, dichiarava precluse le domande di liquidazione delle indennità di occupazione e di espropriazione, in difetto di regolare procedura amministrativa ablatoria e affermava la propria incompetenza funzionale sulla domanda di risarcimento del danno.

Il S., ritenuta nulla o tamquam non esset la dichiarazione di pubblica utilità tacita di cui alla delibera di approvazione del progetto, per la mancanza dei termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13, ha proposto domanda di risarcimento del danno per occupazione usurpativa dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, convenendo in giudizio l’ente locale nel 2008 e chiedendo il risarcimento del danno per la occupazione permanente illecita del suo fondo, da qualificare priva di causa di pubblica utilità; con l’atto introduttivo ha chiesto la reintegrazione in forma specifica o quella per equivalente del suo diritto di proprietà.

Dedotto che l’azione di determinazione della indennità aveva comunque interrotto la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, l’attore ha chiesto di valutare il pregiudizio nella perdita di valore del suo terreno a seguito della occupazione solo parziale dello stesso. Il Comune si è costituito ed ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, data la natura appropriativa dell’occupazione che, all’esito del quinquennio per cui era stata autorizzata, aveva determinato l’acquisizione del terreno il 13 luglio 1992, costituente data di consumazione dell’illecito.

Anche a qualificare come usurpativa l’occupazione, il convenuto ha eccepito l’usucapione dal Comune del bene di controparte, domandando in riconvenzionale di dichiarare tale tipo di acquisto a titolo originario. Con il presente ricorso, il Comune afferma che, a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004 e n. 191 dell’11 maggio 2006, nella fattispecie, assumono rilievo comportamenti illegittimi della P.A. comunque connessi e collegati, anche mediatamente, all’esercizio di pubblici poteri della stessa, espressi nella delibera del comune del 30 luglio 1986 n. 209 di approvazione del progetto dell’opera pubblica, con tacita dichiarazione di pubblica utilità, da ritenere invalida per la mancanza degli elementi costitutivi dei termini per iniziare a costruire e completare la procedura ablatoria di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13.

Ad avviso del ricorrente non costituisce quindi causa petendi della domanda introduttiva del giudizio principale un mero comportamento materiale o di fatto del Comune, ma sono tali condotte collegate direttamente ad atti autoritativi invalidi, e pertanto la domanda, nella fattispecie, alla data in cui è stata proposta (2008) doveva essere conosciuta dal giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, comma 1, lett. b.

Il S., costituitosi nel presente procedimento incidentale, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, che non contiene in primo luogo il nome delle parti, come imposto dall’art. 366 c.p.c., non apparendo il suo nome nè nell’epigrafe nè nella conclusione della istanza di regolamento e opponendosi nel merito alle deduzioni del Comune che, a suo avviso, rilevano solo per i procedimenti espropriativi nei quali la procedura ablativa sia iniziata successivamente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, ai sensi dell’art. 57 di tale nuovo T.U. sulle espropriazioni per pubblica utilità. Ha chiesto quindi di affermare nella fattispecie la giurisdizione dell’A.G.O..

DIRITTO. Il relatore ritiene che l’istanza di regolamento sia ammissibile e fondata.

In ordine alla ammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c. da applicare per l’espresso rinvio ad esso dell’art. 41 c.p.c., non è esatta l’affermazione per la quale non risulterebbe dal ricorso il nome delle parti in causa, emergendo dalla intestazione che istante del regolamento è l’ente locale più volte indicato e che nel giudizio di merito il S. è l’attore che ha agito nei confronti del ricorrente, come risulta dalla indicazione del suo cognome e delle sue generalità complete nel corpo del ricorso per regolamento in cui è riprodotta pure la citazione introduttiva del processo principale con tali generalità.

Deve quindi ritenersi che nell’atto vi è l’indicazione delle parti e che sia rispettato il n. 1, art. 366 c.p.c., con conseguente ammissibilità del presente regolamento. E’ irrilevante, ai fini della pronuncia sulla giurisdizione, l’applicabilità del D.P.R. n. 327 del 2001 che certamente incide solo sulle procedure espropriative iniziate dopo la sua entrata in vigore e quindi non in questa sede.

Nel caso si tratta però di stabilire se, alla data della domanda di risarcimento del danno, cioè nel 2008, l’azione prospettata dovesse farsi rientrare o meno tra quelle riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ferma restando la cognizione della Corte di appello in ordine alla determinazione delle indennità prevista nello stesso D.Lgs. n. 80 del 1998. Anche a denegare che nella fattispecie vi sia una domanda di risarcimento del danno da illecita occupazione per una causa di pubblica utilità, cioè che oggetto della domanda sia una occupazione appropriativa, comunque la richiesta risarcitoria sia collegata all’esercizio di poteri autoritativi del Comune di Mileto Porto Salvo in materia urbanistica ed edilizia, manifestatisi nella valida approvazione del progetto del Lungomare, per il quale s’è proceduto alla occupazione illegittima solo perchè, nella tacita dichiarazione di pubblica utilità, mancavano gli elementi costitutivi del termine di compimento delle opere e di quello di conclusione della procedura ablativa.

In sostanza, se era indubitabile sin dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998 che la cognizione dell’azione risarcitoria da occupazione appropriativa competeva in via esclusiva al giudice amministrativo (S.U. 23 dicembre 2008 n. 30254), allo stesso giudice è da riconoscere la cognizione di quelle domande di risarcimento per occupazione usurpativa non derivanti da meri comportamenti materiali della P.A., causa petendi dell’azione, ma da condotte connesse ad atti amministrativi espressione di poteri autoritativi, come la delibera di approvazione del progetto esecutivo, il cui esercizio ha inciso sulla invalidità della dichiarazione di pubblica utilità, per cui l’attività materiale lesiva del diritto è collegata a poteri autoritativi esercitati in modo illegittimo dalla pubblica amministrazione, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo (S.U. 9 luglio 2009 n. 16093, 9 marzo 2009 n. 5625 e ord. 20 marzo 2008 n. 7442) . In conclusione si chiede che, in rapporto alla manifesta fondatezza dell’istanza di regolamento del Comune di Mileto Porto Salvo, il primo Presidente voglia fissare l’adunanza in camera di consiglio delle sezioni unite, perchè sia dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda principale di S.C., proposta nei confronti dell’indicato comune nel processo pendente dinanzi al Tribunale ordinario di Reggio Calabria, ai sensi dell’art. 41 c.p.c., art. 375 c.p.c., comma 1, n. 4 e artt. 380 bis e ter c.p.c.”.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, in particolare la memoria del controricorrente depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e datata 17 novembre 2010, non condivide gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta, essendo il regolamento preventivo proposto dal Comune di Melito Portosalvo ammissibile e manifestamente infondato, per cui deve rigettarsi, dichiarandosi la giurisdizione del giudice ordinario.

2. La vicenda espropriativa, cui si riferisce la domanda di risarcimento del danno proposta dal S. dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria con citazione notificata il 13 marzo 2008 al Comune di Melito Porto Salvo, ha inizio con la Delib. Consiglio Comunale di questo ente locale 30 luglio 1986, n. 209 di approvazione del progetto del lungomare cittadino, equivalente, ai sensi della L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica progettata priva dei termini di inizio e compimento delle procedure espropriative e dei lavori, di cui alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13.

Se in ordine ai termini di cui a tale ultima norma, entro i quali dovevano “cominciarsi … le espropriazioni e i lavori”, non sussistono problemi di sorta, in quanto la stessa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare costituisce inizio della procedura ablatoria, in assenza di indicazioni diverse (L. n. 2359 del 1865, art. 2) e l’inizio dei lavori, come stabilito alla L. n. 1 del 1978, art. 1, comma 3, doveva avvenire entro tre anni dalla data di approvazione del progetto, ad avviso dell’attore del giudizio principale, la mancata indicazione dei termini finali della procedura espropriativa e dei lavori impone di qualificare come illecite le attività materiali di occupazione e trasformazione dei suoi terreni ad opera dell’ente locale e a base dell’azione risarcitoria.

L’occupazione delle aree, deliberata il 28 aprile 1987 ed iniziata nel trimestre successivo (13 luglio 1987) e la costruzione del lungomare cittadino nei cinque anni per i quali fu autorizzata e i pochi mesi successivi fino al dicembre 1992 in cui i lavori furono ultimati, sono la causa petendi della domanda del S. di risarcimento del danno, non essendosi emesso decreto di espropriazione delle aree in fatto divenute strada comunale. Nella domanda a base del processo principale si deduce che, in violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 13, nella delibera di approvazione del progetto del lungomare non vi erano i termini entro i quali dovevano “compiersi le espropriazioni ed i lavori”.

Da tale assunto incontestato l’attore desume che il comportamento dell’ente locale era effetto di un vincolo per l’esproprio dei suoi terreni illegale e inefficace perchè senza limiti di tempo, per cui la condotta costituita dalla manipolazione dei suoi terreni ad opera del convenuto era un illecito lesivo della sua proprietà non collegabile in alcun modo all’esercizio di un potere pubblico dell’ente locale da negare nella fattispecie. La L. n. 2359 del 1865, citato art. 13, comma 3, applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevedeva espressamente che “trascorsi i termini, la dichiarazione di pubblica utilità diventa inefficace” così implicitamente affermando la inefficacia di essa, anche se i termini non vi erano, non potendo in tal caso “procedersi alle espropriazioni, se non in forza di una nuova dichiarazione ottenuta nelle forme prescritte dalla presente legge” (così il testo della norma). In tale contesto di diritto sostanziale, risulta chiaro che, per la procedura espropriativa cui si riferisce la domanda, come già detto nella relazione, nessun rilievo hanno le norme del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il cui art. 57 chiarisce che le stesse sono inapplicabili ai progetti per quali l’approvazione e la dichiarazione di pubblica utilità siano anteriori all’entrata in vigore del decreto stesso (30 giugno 2003).

Alla data dell’atto introduttivo del giudizio principale del 13 marzo 2008, per la vicenda descritta cui si riferisce la domanda principale, rilevava sul piano processuale, il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, solo art. 34, comma 1, come sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 5, art. 7, comma 1, che ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto “… i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia”, tra le quali avrebbero potuto rientrare anche le condotte costituite dalle occupazioni e trasformazioni delle aree del S. per realizzare il lungomare del Comune. La sentenza della Corte Costituzionale 5 luglio 2004 n. 204, analogamente a quella 11 maggio 2006 n. 191 relativa però al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53 in questa sede inapplicabile, ha chiarito il significato della parola “comportamenti” rilevante ai fini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34 come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, vigente alla data di proposizione della domanda di cui al processo principale, affermando che possono essere idonee a estendere la cognizione dei giudici amministrativi ad ogni tutela di qualsiasi situazione soggettiva nei confronti della P.A., in base all’art. 103 Cost., soltanto le condotte materiali dell’amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, indipendentemente dalla natura di diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione per cui è domandata tutela. In tale contesto normativo per le espropriazioni regolate dalle norme vigenti prima del nuovo D.P.R. n. 327 del 2001 con domande successive all’entrata in vigore della L. n. 205 del 2000 (10 agosto 2000), questa Corte ha costantemente affermato che, allorchè manchino i termini finali della procedura espropriativa e dei lavori, si versa in un caso di “inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità” da ritenere emessa in carenza ovvero in difetto assoluto di attribuzione del potere stesso, che comporta nullità del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità e degli atti conseguenti della procedura ablatoria, anche se all’autorità amministrativa che li ha emessi spetta in astratto per legge il potere di emetterli (in tal senso è la giurisprudenza unanime di questa Corte a sezioni unite, da S.U. ord. 20 dicembre 2006 n. 27192 fino a S.U. ord. 25 giugno 2010 n. 15319). Queste sezioni unite hanno infatti ritenuto che il potere della P.A. di vincolare per l’esproprio un area su cui deve edificarsi l’opera dichiarata di pubblica utilità, non è esercitato efficacemente quando manchino i termini di cui sopra che se iniziali provano l’indifferibilità e urgenza dell’opera e se finali impongono un limite temporale al vincolo per l’esproprio; l’assenza di tali termini comportava quindi un difetto assoluto di attribuzione, tanto che la stessa L. del 1865 escludeva gli effetti di siffatta dichiarazione di pubblica utilità, come espressione di un potere pubblico non attribuito in astratto dalla legge.

Questa Corte ha sempre affermato nella disciplina previgente della procedura ablatoria e nel vigore della L. n. 2359 del 1865, art. 13 che non poteva ritenersi efficace la dichiarazione di pubblica utilità senza termini finali, statuendo che le condotte della P.A. conseguenti a tale provvedimento non sono frutto solo di carenza concreta di potere nè costituiscono un mero vizio del provvedimento da considerare “abuso di potere”, come ritengono invece di regola i giudici amministrativi.

Questi ultimi, nella stessa fattispecie, affermano che nel caso vi è solo illegittimità e annullabilità dell’atto dichiarativo, con efficacia conseguente di esso ed esclusione del difetto assoluto di attribuzione riconosciuto dal giudice del riparto.

Ad avviso dei giudici amministrativi, costituisce mero abuso dell’amministrazione e non esercizio di un potere in astratto inefficace, il provvedimento espressamente o tacitamente dichiarativo della pubblica utilità dell’opera pubblica privo dei termini di completamento della procedura ablatoria.

Peraltro, nella disciplina che precede, deve confermarsi che la dichiarazione di pubblica utilità priva del termine di compimento della procedura espropriativa è inefficace, non solo per il dato testuale della L. del 1865 più volte richiamata, che tale inefficacia collega al decorso dei termini e quindi ancor più deve ritenersi sussista nella loro mancanza, ma anche perchè una dichiarazione con tali carenze contrasta con i valori costituzionali di cui all’art. 42 Cost., commi 2 e 3, e art. 97 Cost., comma 1, (così, S.U. ord. 7 febbraio 2007 n. 2688 e 19 aprile 2007 n. 9323).

Per i giudici amministrativi invece sussisteva nel caso soltanto una erronea modalità di applicazione delle norme di legge che comportava la mera illegittimità e annullabilità del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, che quindi era efficace, anche se invalido, a differenza di quanto affermava la Cassazione. Ad avviso degli organi della giurisdizione amministrativa la carenza in astratto del potere pubblico non si aveva quando all’organo che emetteva l’atto fosse stato attribuito da disposizioni di legge il potere di approvare il progetto e dichiarare di pubblica utilità l’opera oggetto di questo con i termini di cui sopra, con la conseguenza che l’assenza di alcuni o di tutti i termini indicati nel provvedimento, dava luogo solo ad abuso di potere con annullabilità dell’atto, impugnabile nei termini di legge al Tribunale amministrativo competente per territorio, che poteva annullare il provvedimento con decisione costitutiva, decidendo pure delle domande risarcitorie e restitutorie, oltre che di quelle demolitorie (C.d.S. 12 giugno 2009 n. 3677, 28 febbraio 2006 n. 891 e 23 settembre 2006 n. 5013 e Ad.plen. 30 luglio 2007 n. 9, tra altre). In tale ottica, solo una occupazione di aree private di mero fatto o successiva all’annullamento e sopravvenuta inefficacia della declaratoria di pubblica utilità dell’opera da realizzare o eseguita senza approvazione del progetto dell’opera da realizzare, è qualificabile come occupazione “usurpativa”, non collegabile ad alcun potere della P.A. (C.d.S. 3 agosto 2010 n. 5154), mentre ogni volta che si ha un provvedimento dichiarativo della pubblica utilità di un’opera, privo dei termini finali della procedura amministrativa o allorchè, in presenza di detti termini, i lavori siano iniziati dopo la scadenza di quello iniziale predisposto per l’avvio di essi ovvero proseguano in difetto di previsione della loro conclusione, si ha comunque un atto autoritativo della P.A. illegittimo ma efficace, espressione quindi di un potere pubblico cui è collegabile la condotta della immissione in possesso nelle aree dei privati, con giurisdizione esclusiva conseguente del giudice amministrativo (cfr. nel senso indicato la cit. Ad.plen. n. 9/08 e in senso opposto S.U. 6 luglio 2008 n. 19501). Questa Corte ritiene che la inefficacia del provvedimento amministrativo di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare, effetto della mancanza del termine finale della procedura ablatoria di cui alla L. n. 2659 del 1865, art. 13, comporta in ogni caso il difetto assoluto di attribuzione e la inefficacia dell’atto da qualificare tamquam non esset e, a differenza di quello solo annullabile ma efficace, non è attuativo di alcun potere pubblico o autoritativo della P.A., dovendosi negare l’esistenza in diritto di un potere di vincolare senza limiti temporali e senza indennizzo il diritto di proprietà dei privati, ai sensi dell’art. 42 Cost..

Diverso è il caso in cui vi sia una occupazione abusiva per illegittimità degli atti della procedura ablatoria ma connessa ad una pubblica utilità efficacemente dichiarata, anche se invalida, apparendo palese il legame di una siffatta controversia a poteri pubblici dalla Legge in astratto attribuiti all’amministrazione, pur se esercitati in modo illegittimo.

Anche nella presente fattispecie nella quale, dopo molto tempo dalla dichiarazione di pubblica utilità “inefficace” in base alla previsione della inefficacia sopravvenuta di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13 e in contrasto con il divieto costituzionale di ogni vincolo per l’esproprio a tempo indeterminato, da qualificare quindi come inapplicabile e non solo disapplicabile dal giudice ordinario, si è proceduto alla illecita manipolazione dei terreni del S. per costruire il lungomare nel territorio comunale della controparte.

Deve quindi riaffermarsi nella fattispecie il seguente principio di diritto:”il provvedimento contenente la dichiarazione di pubblica utilità priva dei termini per il compimento delle espropriazioni e dell’opera, di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13, rispondente alla necessità di rilievo costituzionale (art. 42 Cost., comma 3) di limitare il potere discrezionale della P.A. non esercitatile senza limiti temporali, è radicalmente nullo ed inefficace, con la conseguenza che ogni atto di “occupazione” delle aree oggetto della dichiarazione è da ritenere comportamento meramente materiale in alcun modo collegabile ad un esercizio anche abusivo dei poteri della P.A.” (con le ordinanze già citate di questa Corte a sezioni unite, cfr. anche Cass. 12 giugno 2009 n. 13756 e, in rapporto alla differenza tra occupazione appropriativa e usurpativa nell’azione risarcitoria conseguente a comportamenti della P.A., nel caso di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, la sentenza citata nella relazione, S.U. 20 dicembre 2008 n. 30254 e in caso di annullamento del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, S.U. 28 gennaio 2010 n. 1787).

Le sentenze richiamate nella relazione, a sostegno della soluzione proposta, non attengono specificamente alla occupazione seguita a dichiarazione di pubblica utilità senza i termini finali della L. n. 2359 del 1865, art. 13, riguardando invece lo “sconfinamento”, oltre i limiti delle aree oggetto del progetto approvato, la n. 16093 del 2009 e la n. 7442 del 2008 e l’annullamento retroattivo della requisizione la n. 5625 del 2009; esse sono quindi irrilevanti per la risoluzione della controversia, nella quale i principi ripetutamente enunciati da questa Corte impongono di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, cioè del Tribunale di Reggio Calabria, dinanzi al quale è in corso di svolgimento il processo principale.

Nella fattispecie mancava in astratto nel 1986 il potere pubblico di vincolare senza limiti di tempo all’esproprio l’area del S. e la occupazione di essa ha costituito quindi un comportamento non collegabile in alcun modo all’esercizio di poteri pubblici, da ritenere illecito perchè lesivo delle situazioni soggettive dei titolari delle aree in cui si è eseguita l’opera non qualificabile di pubblica utilità; di conseguenza si ha un mero comportamento illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. con l’occupazione da ritenere senza titolo, di cui deve conoscere il giudice ordinario, non vertendosi in una ipotesi di occupazione per causa di pubblica utilità e di giurisdizione esclusiva, in difetto di poteri pubblici esercitati anche invalidamente dall’ente locale, essendo inefficace come dichiarazione di pubblica utilità sin dall’origine il provvedimento di approvazione del progetto del lungomare di Melito Porto Salvo.

3. Il ricorso per regolamento di giurisdizione è pertanto manifestamente infondato e deve essere rigettato, dovendosi dichiarare, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 1, la giurisdizione del giudice ordinario, da identificare nel Tribunale di Reggio Calabria, dinanzi al quale le parti dovranno essere rimesse per la prosecuzione del processo principale già in corso.

Le incertezze giurisprudenziali evidenziate e in particolare i contrasti tra il giudice del riparto e i giudici amministrativi sul tema, consentono, in via eccezionale, di compensare interamente tra le parti le spese del presente procedimento incidentale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso del Comune di Melito Porto Salvo per regolamento di giurisdizione e dichiara la giurisdizione sulla causa principale del giudice ordinario, che individua nel Tribunale di Reggio Calabria, dinanzi al quale rimette le parti per la prosecuzione del giudizio.

Compensa interamente le spese del presente giudizio incidentale tra le parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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