Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3568 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in Roma piazzale Clodio 22

presso lo studio dell’avv. Cassiano Antonio e rappresentato e difeso

giusta procura speciale in calce al ricorso da quest’ultimo e

dall’avv. Alessandro Traversi del Foro di Firenze;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza 7/24/03, depositata in data 15 aprile 2003, della

Commissione tributaria regionale della Toscana;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20.1.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

sentita la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato per

conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia

delle Entrate, che ha concluso per il rigetto del ricorso con

vittoria di spese;

Udito il P.G., in persona del dr. Ennio Attilio Sepe che ha concluso

per il rigetto del ricorso con le pronunce consequenziali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Ufficio IVA di Firenze notificava a N.M. nonchè a C.G. e S.L. per gli anni dal 1986 al 1992 avvisi di accertamento fondati sulle risultanze di un p.v.c. della G. di F. secondo cui il N. aveva svolto attività commerciale clandestinamente insieme con il C. e S. con i quali aveva instaurato una società di fatto, come emergeva dai movimenti bancari sui conti correnti intestati ai due soci.

Il N., il C. e la S. presentavano distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, la quale li accoglieva. Proponeva appello l’ufficio, con esclusivo riferimento agli avvisi riguardanti il 1986 ed il 1987, chiedendo il riconoscimento della correttezza del proprio operato per i detti anni nei confronti del N. in qualità di titolare di omonima ditta individuale. La Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva il gravame compensando le spese di giudizio.

Avverso la detta sentenza N.M. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione di legge (artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. nonchè D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 55), il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la CTR ha posto a base della sua decisione la circostanza che il contribuente non avesse fornito la prova contraria atta a vincere la presunzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 trascurando in tal modo che la presunzione di riferibilità delle movimentazioni bancarie ad una attività imponibile ai fini IVA è applicabile soltanto nei confronti di soggetti che già esercitino formalmente attività di impresa, arte o professione mentre nel caso di specie manca il presupposto indispensabile costituito dal sicuro svolgimento di un’attività di impresa da parte del N..

Pertanto, la CTR avrebbe fondato il suo giudizio su una presunzione derivante da altra presunzione in violazione del divieto del praesumptum de praesumpto.

Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria – la C.T.R. non avrebbe fornito un’adeguata motivazione circa lo svolgimento di attività commerciale da parte del N.. Il giudice penale infine con sentenza definitiva aveva assolto con formula piena il N. nel processo penale scaturito dai medesimi fatti statuendo che non era rimasto provato che il N. negli anni in contestazione avesse svolto attività di imprenditore commerciale.

I motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo sostanzialmente la stessa questione o comunque profili di censura strettamente connessi essendo fondati sul comune presupposto del mancato svolgimento di attività di impresa da parte del ricorrente, A riguardo, premesso che occorre distinguere tra presunzioni semplici (di fatto o hominis), tali perchè sono lasciate alla prudenza del giudice, e presunzioni legali, tali in quanto stabilite dalla legge, giova chiarire che la ed praesumptio de presunto si attua quando si valorizza una presunzione semplice per derivarne un’altra presunzione semplice (Cass. 5045/02, 2612/01, 2413/95, 1044/95, 3306/83), per cui la violazione del divieto della praesumptio de praesunto è ravvisabile solo ed esclusivamente nel caso di concatenazione tra presunzioni semplici, non in quello in cui da un fatto noto si risale a un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale (tra le tante Cass., n. 2612/01).

La puntualizzazione torna pertanto utile nella misura in cui evidenzia l’infondatezza del primo profilo di censura formulato dalla ricorrente. Del resto, questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa; infatti i conti correnti possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività (cfr Cass. 2435/01, n. 9573/07).

Parimenti, è infondato anche il successivo profilo di doglianza. Ed invero, mette conto di sottolineare come la CTR sia pervenuta alla conclusione dello svolgimento dell’attività imprenditoriale, da parte del N., durante gli anni 1986-87, sia pure in modo sommerso, sulla base di vari elementi, di non poco rilievo, la cui sussistenza non era stata peraltro contestata dall’interessato, quali a) il ritrovamento in data (OMISSIS) presso un locale di sua proprietà di merci (articoli di pelletteria recanti marchi contraffatti di vari stilisti italiani e stranieri) di cui faceva commercio; b) l’emissione ed utilizzazione di bolle di accompagnamento alterate per il cui uso il N. era stato arrestato, insieme con due figli; c) la dichiarazione sottoscritta dello stesso N. di essere un imprenditore, fatta alla Cassa di risparmio di Prato al momento dell’accensione di un conto corrente.

Tali elementi – così prosegue la motivazione della sentenza – concorrevano a ritenere la fondatezza di presunzioni gravi, precise e concordanti in ordine al fatto che il N. avesse continuato a svolgere l’attività imprenditoriale sia pure clandestinamente. Alla considerazione dei predetti elementi andava aggiunta l’esistenza di conti correnti bancari, intestati a terzi, movimentati però dal solo N., che ne aveva la procura, in modo continuativo e per quantità ingente di denaro che non trovava corrispondenza nei redditi dichiarati dallo stesso (mediamente non superiori a L. 15.000.000). Tali movimentazioni, notevoli per numero ed importo ed il tipo di operazioni (oltre agli incassi ed emissioni di assegni, le operazioni riguardanti effetti messi all’incasso s.b.f. e quelle riguardanti effetti protestati) fornivano – così conclude la CTR – indizi concreti di un’attività commerciale svolta dal N. che lo stesso aveva cercato di nascondere dietro persone compiacenti, senza mai fornire alcuna diversa giustificazione.

Tutto ciò premesso e considerato, risulta con chiara evidenza come la Commissione regionale abbia argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè d’altra parte il motivo del ricorso in esame è riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione. Giova aggiungere inoltre che il controllo di iogicità del giudizio di fatto – consentito al Giudice di legittimità non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il Giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al Giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al Giudice di legittimità, (così Cass. n. 8808/08 in motivazione).

Nè merita di essere condiviso in senso ostativo il rilievo del ricorrente, fondato sulle diverse valutazioni del giudice penale, che ha con sentenza definitiva assolto con formula piena il N. nel processo penale scaturito dai medesimi fatti per difetto di prova certa in ordine al fatto che il N. negli anni in contestazione avesse svolto attività di imprenditore commerciale. Ed invero, deve sottolinearsi a riguardo che, così come ha correttamente rilevato la stessa CTR, “nel processo tributario il giudice può fondare il proprio convincimento anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione rispetto a quella del giudice penale” (Cass. n. 12041/08).

Ciò posto, ritenuto che è preclusa a questa Corte ogni ulteriore valutazione circa lo svolgimento dell’attività commerciale, da parte del N., sia pure in modo occulto, è appena il caso di osservare infine che in tema di accertamento dell’IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, pone a carico del contribuente una presunzione legate di carattere relativo, in virtù della quale le movimentazioni di denaro risultanti dai dati acquisiti dall’ufficio si presumono costituire conseguenza di operazioni imponibili e che, al fine di superare tale presunzione, occorre che sia il contribuente a fornire la prova liberatoria dimostrando la riferibilità di ogni singola movimentazione del conto ad attività estranee all’impresa commerciale, prova liberatoria che nella specie non è stata fornita dal N. ad onta della presunzione di legge.

Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato ed è esente dalle censure formulate, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 9.200/00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, in Camera di consiglio, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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