Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3564 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 31050 R.G. proposto da:

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro

p.t., e Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t.,

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che li rappresenta e difende secondo la legge;

– ricorrenti –

contro

Fallimento Grandi Orizzonti s.r.l., in persona del curatore,

elettivamente domiciliato in Roma, via Chinotto, n. 1, presso

l’Avvocato Giulio Celebrano, rappresentato e difeso dall’Avvocato

Giuseppe Taranto per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/39/04 della Commissione tributaria

regionale del

Lazio, Sezione staccata di Latina, depositata il 13.10.2004.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 19.1.2010 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Udito, per i ricorrenti, l’Avvocato dello Stato Letizia Guida e, per

il fallimento controricorrente, l’Avvocato Giuseppe Taranto;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Fedeli Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, per

quanto di ragione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- Il ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate ricorrono, con due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, accoglie l’appello proposto dalla ditta Grandi Orizzonti s.r.l., poi fallita, operante nel commercio all’ingrosso delle carni, e quindi riforma la sentenza n. 40/07/2002 della commissione tributaria provinciale di Latina, che aveva respinto il ricorso proposto dalla medesima contribuente, per asserite illegittimità ed infondatezza dell’atto impositivo, contro l’avviso di rettifica della dichiarazione IVA concernente l’anno 1995; atto con cui il locale ufficio IVA recuperava l’imposta evasa, per l’importo complessivo di L. 911,785.000, ed applicava le corrispondenti sanzioni, avendo rilevato, a seguito d’indagini svolte dalla guardia di finanza, che la ditta sopra citata aveva operato detrazioni d’imposta asseritamente indebite, mediante la reiterata utilizzazione di fatture ritenute soggettivamente inesistenti, emesse da fornitori nazionali fittiziamente interposti nel traffico transfrontaliero delle carni, il cui vero ed unico destinatario commerciale era la società Grandi Orizzonti.

1.2.- Il fallimento della nominata ditta contribuente resiste mediante controricorso.

2.- Questione pregiudiziale.

2.1.- Il ricorso proposto dal ministero dell’economia e delle finanze deve essere dichiarato inammissibile d’ufficio, per difetto di legittimazione processuale, dal momento che esso ministero – cui è succeduta l’agenzia delle entrate a far data dal 1.1.2001, anteriore a quella di deposito dell’atto d’appello (31.5.2002) – deve intendersi tacitamente estromesso dal giudizio svoltosi, davanti alla commissione tributaria regionale, nei soli confronti dell’agenzia delle entrate, ufficio di Latina (Cass. n. 9004/2007).

2.2.- Le relative spese di giudizio debbono essere interamente compensate fra le parti, essendosi consolidato il criterio interpretativo richiamato, espresso nella giurisprudenza sopra citata, in epoca successiva alla proposizione del presente ricorso.

3.- Motivi del ricorso.

3.1.- L’agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata.

3.1.1.- col primo motivo, per omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la commissione regionale ritenuto non validi, senza adeguata motivazione, gli elementi indiziari offerti dall’amministrazione, rappresentati da circostanze di fatto non contestate e idonei a sostenere la presunzione che la contribuente aveva evaso l’imposta, profittando di un sistema d’interposizione fittizia che le consentiva di far apparire la merce – in realtà importata da essa medesima – come acquisita all’estero e rivenduta in Italia da altre società che “non avevano nè struttura nè patrimonio e risultavano amministrate o possedute da soggetti nullatenenti di comodo… e che hanno avuto vita breve a causa di successivi fallimenti”; interposizione destinata a creare un debito d’imposta a carico della società “filtro” (debito da essa non assolto) ed un credito, sostanzialmente inesistente, a favore dell’odierna resistente;

3.1.2.- col secondo motivo, per violazione dell’art. 654 c.p.p. e art. 207 norme att. e coord. c.p.p., o quanto meno per omessa motivazione, avendo la commissione regionale fondato la propria decisione sull’avvenuta archiviazione del procedimento penale instaurato nei confronti dell’amministratore unico della società contribuente, senza spiegare le ragioni per cui “lo riteneva idoneo a superare il corredo di indizi diffusamente richiamato dall’Ufficio”.

4.- Decisione.

4.1.- Tutte le censure sopra sintetizzate, proposte dall’agenzia delle entrate, sono fondate; il ricorso, pertanto, deve essere accolto e, previa cassazione della sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio, che giudicherà uniformandosi ai principi di diritto indicati ai par. 5.1.2, 5.1.7; e provvederà a regolare fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

5.- Motivi della decisione.

5.1.- I due motivi di ricorso (par. 3,1.1 e 3.1.2), esaminati congiuntamente perchè strettamente correlati, sono fondati per le seguenti ragioni.

5.1.1.- La commissione regionale dichiara “di condividere le argomentazioni esposte dalla parte in sede di appello”, innanzitutto perchè “l’accertamento non trova sostegno su validi elementi probatori bensì su semplici presunzioni ed elementi indiziari che non appaiono peraltro nè gravi nè precisi nè concordanti”.

5.1.2.- Tale affermazione, assolutamente generica, è passibile di censura, in primo luogo, poichè omette di esporre le ragioni del convincimento, rendendo impossibile il controllo di legittimità sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento che ha condotto il giudicante a quo, dopo “attento esame”, a considerare i numerosi elementi indiziari offerti dall’amministrazione del tutto privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (cfr. Cass. nn. 1756/2006, 890/2006); in secondo luogo, perchè non spiega sufficientemente quale significato attribuisca all’espressione “validi elementi probatori”, per giustificare la distinzione dalle “semplici presunzioni”; distinzione altrimenti arbitraria sul piano logico-giuridico, dato che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 1, u.p., consente all’ufficio di procedere all’accertamento anche in base a presunzioni semplici che, se fondate su indizi gravi, precisi e concordanti, hanno comunque l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. nn. 3590/2009, 15299/2008 ed altre); la quale prova contraria non può, logicamente, ritenersi assolta per il solo fatto “che le forniture risultano pagate”, dal momento che la presente controversia riguarda diverso argomento (evasione o elusione dell’IVA), e che il regolare pagamento della merce può essere utilizzato come elemento di prova contraria soltanto a condizione che siano spiegate le ragioni per cui, a giudizio della commissione, tale circostanza si porrebbe in contrasto con gl’indizi dedotti dall’amministrazione.

5.1.3.- Tanto premesso, circa la fondatezza delle censure di vizio della motivazione, dev’essere accolta anche quella formulata per violazione di legge, con riferimento all’incidenza, nel processo tributario, delle decisioni assunte dal giudice penale in merito alle ipotesi di reato emergenti dall’accertamento.

5.1.4.- La sentenza impugnata si basa, fra l’altro, “sull’esito favorevole del procedimento penale”, avendo dichiaratamente tenuto conto del fatto “che l’aspetto penale della vicenda non è risultato fondato nei confronti della parte alla luce del procedimento penale archiviato”.

I profili di vizio della motivazione, inerenti a simile affermazione da cui non traspaiono il destinatario ed il contenuto del provvedimento penale, sono assorbiti dalla preminente considerazione – valida anche riguardo a sentenze penali eventualmente pronunziate a seguito di dibattimento – che essa si pone in contrasto con le norme di legge indicate al par. 3.1.2, secondo la costante interpretazione datane da questa suprema corte.

5.1.5.- In effetti, il D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, comma 1, convertito in L. 7 agosto 1982, n. 516 – che regolava l’efficacia nel processo tributario del giudicato penale su reati fiscali -, è stato abrogato prima implicitamente dall’art. 654 nuovo c.p.p., poi espressamente dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, lett. d), (Cass. nn. 19481/2004, 11272/2001, 9410/2000).

5.1.6.- L’art. 654 c.p.p. – norma applicabile anche ai procedimenti per reati previsti da leggi speciali, come quelle penali tributarie (art. 207 disp. att. c.p.p.) -, non diversamente da quanto disponeva l’abrogato art. 12 (cfr. Cass. n. 586/2006), attribuisce autorità di cosa giudicata nel processo tributario, secondo le condizioni ed i limiti in esso stabiliti, alla “sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento”;

quindi simile autorità non può legittimamente riconoscersi ad un decreto di archiviazione. Più in generale, e quindi anche con riferimento a sentenze penali pronunziate a seguito di dibattimento, si ritiene che – in conseguenza del mutato quadro normativo, caratterizzato specialmente dalla disposizione per cui l’efficacia della sentenza penale in altri giudizi è subordinata alla circostanza che “la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa” (art. 654 cit., u.p.) – nessuna automatica autorità di cosa giudicata possa più attribuirsi nel giudizio tributario (neppure) alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, con rilievo probatorio in materia di determinazione dell’IVA, anche presunzioni semplici (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54), di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (Cass. nn. 9109/2002, 6337/2002,3961/2002, 889/2002, 15207/2001,3421/2001). Di modo che l’imputato assolto in sede penale, anche con piena formula (per non aver commesso il fatto o perchè il fato non sussiste), potrebbe tuttavia essere responsabile fiscalmente, qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria da parte dello stesso contribuente, a giustificare in tutto o in parte il debito tributario.

5.1.7.- In conclusione, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di un provvedimento penale favorevole al contribuente, assumendone automaticamente gli effetti nel giudizio di sua competenza, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificare e spiegare congruamente in motivazione le ragioni per cui ritiene che gli elementi concreti accertati dal giudice penale abbiano rilevanza per la soluzione del caso sottoposto al suo esame.

5.2.- Segue la decisione, nei termini indicati al par. 4.1..

6.- Dispositivo:

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal ministero dell’economia e delle finanze e compensa integralmente fra le parti le relative spese; accoglie il ricorso dell’agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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