Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3562 del 10/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 10/02/2017, (ud. 01/12/2015, dep.10/02/2017),  n. 3562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – rel. Presidente –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4815-2014 proposto da:

BENNET SPA, GALLERIE COMMERCIALI BENNET SPA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA

SALARIA 259, presso lo studio dell’avvocato BONELLI EREDE

PAPPALARDO, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA SILVESTRI

giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 91/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 05/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2015 dal Presidente e Relatore Dott. CICALA MARIO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SILVESTRI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato FRIGIDI che si riporta al

controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Oggetto: registro applicazione del D.P.R. N. 131 del 1986, art. 20;

RICORRENTE: Bennet spa;

Resistente: AGENZIA ENTRATE;

1. La Bennet spa ricorre per cassazione deducendo due motivi avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia 91/31/13 del 5 luglio 2013 che, ha rigettato l’appello della contribuente avverso la sentenza di prime cure che aveva respinto il ricorso avverso avviso di liquidazione imposta di registro per operazioni societarie.

2. La Agenzia si è costituita in giudizio con controricorso.

3. Il ricorso deve essere rigettato.

4. La ricorrente deduce 1. Violazione c/o falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, (Testo unico dell’Imposta di Registro) in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 176, comma 3, (Testo unico delle Imposte sui Redditi), rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): un’operazione positivamente sottratta al vaglio di elusività in ambito dell’imposizione diretta non può qualificarsi elusiva in un distinto contesto impositivo (Registro). 2. Violazione e/o falsa applicazione del disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, (Testo unico dell’Imposta di Registro), anche in relazione agli art. 23, 41 e 53 Cost., rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): difformità di effetti giuridici tra conferimento e cessione quote – da un lato – e cessione azienda – dall’altro;

5. La ricorrente non contrasta la interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, secondo cui: l’imposta di registro ha per oggetto il negozio giuridico e non l’atto documentale, essa richiede perciò l’interpretazione unitaria del negozio, anche se frazionata in atti distinti. La prevalenza della natura intrinseca dell’atto e dei suoi effetti giuridici sul suo titolo e sulla sua forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, comporta la necessità di verificare se sia configurabile il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali. Quindi l’incorporazione in un solo documento di una sola dichiarazione negoziale ad effetto giuridico unico, l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano. Nè si può argomentare, in senso contrario, dalla natura d’imposta d’atto del tributo di registro, dovendo essere tale espressione intesa, nel senso della necessità della commisurazione del tributo agli effetti giuridici degli atti sottoposti a registrazione (così ex pluribus la sentenza n. 2636 del 10 febbraio 2016).

La ricorrente sottolinea però il regime particolare previsto per il conferimento di aziende dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 176, che nel terzo comma esplicitamente afferma: “non rileva ai fini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 – bis il conferimento dell’azienda secondo i regimi di continuità dei valori fiscali riconosciuti o di imposizione sostitutiva di cui al presente articolo e la successiva cessione della partecipazione ricevuta”. E ne trae la conclusione secondo cui sarebbe illogico qualificare il conferimento di azienda attuato attraverso la cessione di partecipazioni societarie, come (possibile) operazione elusiva ai fini dell’imposta di registro, e invece come operazione esclusa dall’ambito dell’elusione ai fini delle imposte dirette.

Il ragionamento prende le mosse da un’opinione che non trova riscontro nella giurisprudenza della Corte, cioè dalla convinzione secondo cui 1′ Agenzia delle Entrate di Como abbia evidenziato una operazione antielusiva ovvero un abuso di diritto quando ha applicato l’imposta di registro, come cessione di ramo d’azienda, ad atti aventi ad oggetto partecipazioni sociali; in quanto tali atti avevano indirettamente determinato il predetto trasferimento.

Invece la giurisprudenza della Corte è pacifica nel ritenere che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non è disposizione predisposta al recupero di imposte “eluse”, perchè l’istituto dell'”abuso del diritto” ora disciplinato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 bis,m presuppone una mancanza di “causa economica” che non è invece prevista per l’applicazione del D.P.R. n. 131 cit., art. 20. Norma che semplicemente impone, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, di qualificare l’atto o il “collegamento” negoziale in ragione del loro “intrinseco”. E cioè in ragione degli effetti “oggettivamente” raggiunti dal negozio o dal “collegamento” negoziale, come per es. può avvenire con il conferimento di beni in una Società e la cessione di quote della stessa che se “collegati” potrebbero essere senz’altro idonei a realizzare “oggettivamente” gli effetti della vendita e cioè il trasferimento di cose dietro corrispettivo del pagamento del prezzo. E la fattispecie regolata dal D.P.R. n. 131 cit., art. 20, nemmeno ha a che fare con l’istituto della simulazione, atteso che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel “collegamento” negoziale e questo appunto perchè ciò che conta sono gli effetti “oggettivamente” prodottisi (così le sentenze n. 9582 del 11 maggio 2016; n. 10211 del 18 maggio 2016; n. 9573 del 11 maggio 2016, tutte emesse il 21 aprile 2016 ed ancora la sentenza n. 18454 del 21 settembre 2016; n. 2050 del 27 gennaio 2017).

Se dunque la tassazione dell’imposta di registro in misura proporzionale non deriva dalla individuazione di un “abuso di diritto” non vi è ragione per estendere alle imposte indirette una disposizione dettata per le imposte dirette, e relativa alla applicazione dell’istituto della “plusvalenza” (che opera esclusivamente nelle imposte dirette): ed è irrilevante che la legge escluda, in riferimento alle imposte dirette la sussistenza dell'”abuso” in riferimento a determinate operazioni economiche.

La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 115 del 2002. art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 1 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017

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