Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 356 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 10/01/2011), n.356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30831/2006 proposto da:

D.L.A., (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 77, presso lo studio

dell’avvocato DEL BUFALO PAOLO, che Io rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SCOPSI CLAUDIO;

– ricorrente –

contro

D.L.L. (OMISSIS), T.I.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SANTA

CATERINA DA SIENA 46, presso lo studio dell’avvocato GRECO GIUSEPPE,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato STOLZI CARLO;

– controricorrenti –

e contro

B.A., D.F., B.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1049/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato Tornabuoni Filippo con delega depositata in udienza

dell’Avv. Del Bufalo Paolo difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Cerulo Mario con delega depositata in udienza dell’Avv.

Greco Giuseppe difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI MAURIZIO, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 2/5.8.2000 T.I. e D.L.L., rispettive madre e sorella di D.L. L., deceduta nubile in data (OMISSIS), lasciando un testamento olografo del 5.11.99,con il quale aveva nominato suo erede universale D.L.A., figlio di un proprio cugino, e legatari D.R., D.F., B.A. e B.M., figli di altri cugini, convennero tutti i suddetti al giudizio del locale Tribunale al fine di sentir pronunziare l’invalidità del menzionato testamento,per incapacità d’intendere e di volere della testatrice, in subordine chiedendo la riduzione delle disposizioni testamentarie fino a concorrenza delle rispettive quote loro riservate quali legittimane.

Costituitisi i convenuti, ad eccezione di D.R. rimasta contumace, resistevano alla domanda principale, sostenendo che il testamento era stato redatto dalla de cuius, un’insegnante laureata ed ancora in servizio, nel pieno possesso delle facoltà cognitive e volitive.

La suddetta causa venne poi riunita per connessione ad altra, successivamente proposta dal suddetto erede testamentario contro la T. e la D.L., per il recupero di beni compresi nell’eredità.

All’esito dell’istruttoria, nel corso della quale erano state espletate la prova testimoniale e due consulenze tecniche, una medico- legale, di tipo psichiatrico, l’altra contabile, adito Tribunale, con sentenza del 13.11.03 pronunziava l’annullamento del testamento impugnato, per incapacità d’intendere e di volere della testatrice al momento della sua redazione,in quanto ritenuta affetta da una sindrome delirante cronica.

Tale sentenza, disattesi gli appelli, principale di D.L. A., incidentale di D.F., A. e B. M., resistiti dalle appellate, nella contumacia di D. R., veniva confermata dalla Corte di Firenze, con sentenza del 3.3-8.5.06, con condanna degli appellanti alle spese del grado.

Quest’ultima decisione si basava essenzialmente sulla considerazione, corredata da argomentazioni di carattere generale e comparativo sulla natura e manifestazioni della malattia, nonchè a dalla specifica menzione di gravi e significative anomalie di comportamento, in concreto, della de cuius, emerse dall’espletata istruttoria, secondo cui il delirio paranoideo era ben compatibile sia con le condizioni di lucidità che la suddetta apparentemente manifestava,sia con la “forma scorrevole” ed il “lessico ineccepibile” con cui era stato redatto, conformemente al grado culturale, il testamento, trattandosi di infermità cronica, che pur non impedendo di “connettere mentalmente, parlare e scrivere”, tuttavia menomava gravemente “la capacità del soggetto di relazionarsi in modo normale con il prossimo, di valutare in maniera idonea i comportamenti e di adattare risposte adeguate”.

Avverso tale sentenza D.L.A. ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unito motivo.

Hanno resistito, con comune controricorso, T.I. e D.L.L..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensive.

E’ stata infine depositata una memoria illustrativa per i resistenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 591 c.c. ed omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo.

Premesso che la capacità di testare costituisce, ai sensi dell’art. 591 c.c., comma 1, la regola e che, pertanto, l’onere di provarne l’insussistenza all’atto della redazione del testamento incombe su chi l’asserisce, si sostiene che nel caso di specie tale prova non sarebbe stata fornita, poichè le risultanze di causa avrebbero tutt’a più dimostrato che la D.L. era affetta da una malattia caratterizzata dall’intermittenza delle relative manifestazioni e pertanto non incidente permanentemente sulla capacità di intendere e di volere. Non solo tale prova non sarebbe stata fornita, ma i più significativi e decisivi elementi di segno contrario sarebbero stati inadeguatamente valutati dai giudici di merito, che non avrebbero considerato che i disturbi mentali erano tenuti sotto controllo e regredivano con l’assunzione di farmaci, che la de cuius aveva continuato a prestare servizio quale insegnante,che era stata in grado di amministrare,fino a pochi giorni prima della morte, le sostanze proprie e delle congiunte, odierne resistenti, che a dire del notaio, cui era stato consegnato il testamento, la medesima appariva “perfettamente lucida”, che infine, le stesse modalità di redazione dell’atto di ultima volontà, caratterizzate dall’impiego di locuzioni precise ed idonee ad esprimere in modo puntuale la volontà delle redattrice, sarebbero state sintomatiche della sua piena capacità.

Il mezzo d’impugnazione si conclude con la formulazione,in ritenuta ottemperanza all’art. 366 bis c.p.c. (nella specie ratione temporis applicabile),dei seguenti testuali quesiti:

1) “se in base al disposto di cui all’art. 591 c.c., n. 3, l’incapacità naturale del testatore, dovendo sussistere al momento della redazione del testamento, vada verificata in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle disposizioni ivi contenute”;

2) “se la sentenza impugnata è affetta dal vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,onde stabilire se D. L.L.,quando ha redatto il testamento, si trovasse in stato di incapacità naturale”.

Tanto premessoci collegio, condividendo le motivate conclusioni del P.G. e la conforme eccezione sollevata dalle resistenti nel controricorso, ridabita nella memoria illustrativa, rileva la palese inadeguatezza dei quesiti di diritto, che non ottemperando alla prescrizioni della norma sopra richiamata, si traducono nell’inammissibilità del mezzo d’impugnazione.

Premesso che la finalità perseguita dall’onere in questione è quella di far comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale momento di sintesi – logico giuridica delle censure esposte, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e la diversa regola, che si assume avrebbe dovuto il medesimo applicare al caso concreto (tra le altre v. Cass. 8643/09, 7179/09, S.U. 7433/09), evidente risulta l’inadeguatezza del primo quesito, per inconferenza e non esaustività in relazione alla fattispecie concreta, nella quale i giudici di merito hanno espressamente chiarito come le modalità di compilazione del testamento, ancorchè formalmente corrette e logicamente coerenti non fossero tuttavia incompatibili con, l’altrimenti accertata, incapacità di intendere e di volere della testatrice, desumibili da un complesso di elementi tali da denotare come il processo volitivo interno, che aveva condotto alla redazione di quell’atto, al di là della mera apparenza del dato esteriore, fosse compromesso nel suo processo di formazione dalla permanente infermità mentale. In tale contesto l’interrogativo posto a questa Corte non risulta funzionale alla denuncia. ex art. 360 c.p.c, n. 3, di una norma di diritto, nella specie dell’art. 591 c.p., comma 2, n. 3 (prevedente l’incapacità di testare per coloro che, per qualsiasi causa anche transitoria,si trovino in condizioni di incapacità di intendere o di volere al momento della redazione del testamento), ben sì alla mancata valorizzazione di un solo elemento che, ad avviso del ricorrente,avrebbe dovuto nella fattispecie indurre a ritenere sussistente la capacità della testatrice,ma che i giudici hanno invece motivatamente considerato non decisivo al riguardo.

Ancor più evidente è l’inadeguatezza del secondo quesito, relativo alla concorrente deduzione ex art. 360 c.p.c., n. 5 di vizi,per omissione,insufficienza o illogicità di motivazione, tenuto conto della palese genericità ed astrattezza dello stesso, nella cui formulazione non è dato cogliere,come richiesto dall’ormai costante giurisprudenza di questa Corte (v.,tra le altre, Cass. 4044/09,4556/09), quella esposizione chiara e sintetica del fatto decisivo e controverso in relazione ai quali la motivazione sarebbe stata omessa o comunque carente o contraddittoria.

La rilevata inammissibilità, in quanto derivante da un radicale ed originario vizio inficiante l’impugnazione, dispensa da ogni provvedimento in relazione alla non integrità del contraddittorio.

per la mancata notifica dell’impugnazione alla contraddittrice necessaria D.R., già parte,ancorchè contumace,in sede di merito.

Le spese, infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso alle resistenti delle spese del giudizio, che liquida in misura di complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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