Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3559 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2010, (ud. 18/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TNT Global Express s.p.a., con sede in (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante sig. S.G.C.

R., rappresentata e difesa per procura a margine del ricorso

dagli Avvocati Prof. Falzea Paolo e Simonetta Fiore Marochetti,

elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via

Angelo Brunetti n. 24;

– ricorrente –

contro

Ministero delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in persona

rispettivamente del Ministro e del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 32/12/05 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 21.2.2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

gennaio 2010 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. FUZIO Riccardo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 14.7.2005, la TNT Global Express s.p.a.

ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 32/12/05 del 21.2.2005 con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il suo ricorso avverso gli avvisi di accertamento che, per le annualità 1994 e 1995, le avevano contestato, a fini irpeg ed ilor, l’indebita deduzione di costi. In particolare, il giudice di secondo grado, dopo avere accolto il motivo di appello relativo al diniego dal parte del primo giudice della richiesta di trattazione del ricorso in pubblica udienza, motivò la propria decisione di conferma della pronuncia impugnata osservando che la parte non aveva fornito la prova dell’effettività dei costi dichiarati, non avendo prodotto per intero il verbale della Guardia di Finanza di cui aveva rilevato contraddizioni e essendosi limitata, con riferimento alla spesa di L. 5.200.000.000 per un contratto di consulenza aziendale, a produrre un decreto di archiviazione del giudice penale ed alcune sentenze tributarie non definitive vertenti sul medesimo oggetto di per sè prive di efficacia vincolante nel presente giudizio.

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 59 e 33 lamentando che la Commissione regionale, dopo aver dichiarato illegittimo il diniego del primo giudice di dar luogo alla trattazione del ricorso in pubblica udienza, non abbia annullato la sentenza appellata per violazione del principio del contraddittorio e quindi rimesso la causa dinanzi al giudice di primo grado.

Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che la trattazione del ricorso in camera di consiglio in luogo che alla pubblica udienza, in presenza di una istanza in tal senso di una delle parti, costituisca una nullità processuale che travolge, per violazione del diritto di difesa, la sentenza successiva (Cass. n. 10678 del 2009; Cass. n. 20852 del 2005). La predetta nullità, una volta dedotta e rilevata in appello, non determina tuttavia la retrocessione del processo al primo grado. In tal senso depone, da un lato, il carattere dell’appello, che anche nel processo tributario costituisce un gravame generale a carattere sostitutivo, che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia e, dall’altro, la regola ormai consolidata che i casi previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59 di nullità verificatesi in primo grado che comportano la rimessione del processo al primo giudice sono tassativi (Cass. n. 17127 del 2007) e che tra essi non rientra l’ipotesi in esame. Sul punto si è anche precisato, sia pure con riferimento alla norma omologa dell’art. 354 cod. proc. civ. dettata per il processo civile, che tale interpretazione non è in contrasto nè con il principio del doppio grado di giurisdizione, che, com’è noto, non è coperto da garanzia costituzionale, nè con il diritto di difesa, che appare ampiamente salvaguardato dalla previsione del potere dovere del giudice di appello di decidere la causa nel merito (Cass. n. 8993 del 2003).

Il secondo motivo di ricorso, denunziando “Violazione per falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3” censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo di appello che contestava l’affermazione del giudice di primo grado di difetto di prova del ricorso per mancata produzione, da parte della contribuente, del verbale integrale della Guardia di Finanza recepito dagli avvisi di accertamento opposti. Sostiene al riguardo la ricorrente che la motivazione fornita dalla Commissione regionale sul punto, secondo la quale nel processo tributario l’onere della prova spetta al contribuente, è giuridicamente errata, dovendo, al contrario, l’Amministrazione fiscale dimostrare la fondatezza della propria pretesa.

Il motivo è inammissibile ed anche infondato.

Inammissibile in quanto, non osservando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che impone al ricorrente di non fermarsi alla denunzia di una violazione di legge, ma di illustrare gli antefatti processuali in grado di evidenziare come il vizio di illegittimità abbia in concreto inciso, condizionandola, sulla decisione di merito, al fine di consentire a questa Corte di pervenire alla cassazione del provvedimento – non espone gli esatti termini della questione sollevata, nè in quale modo e perchè il mancato esame del verbale di accertamento abbia condotto il giudice alla propria decisione ovvero che, al contrario, la sua considerazione lo avrebbe portato ad un diverso decisum. Nella specie, la ricorrente avrebbe dovuto pertanto indicare e riprodurre esattamente nel proprio atto di ricorso il testo del verbale della Guardia di Finanza da cui, a suo giudizio, emergerebbero le asserite contraddizioni o incongruente, evidenziando altresì che, se esse fossero state opportunamente valutate dal giudice di merito, avrebbero potuto ragionevolmente condurre ad una statuizione ad essa favorevole La censura è comunque anche infondata nel merito, per quanto concerne la ripartizione dell’onere della prova tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, dovendosi rilevare che, nel caso di specie, in cui il tema in discussione investiva il diritto alla detrazione dei costi d’impresa, la prova degli stessi, quali elementi riduttivi del reddito imponibile, non può che spettare al contribuente (Cass. n. 11205 del 2007).

Il terzo motivo di ricorso denunzia motivazione insufficiente, incongrua e contraddittoria su punti decisivi della controversia, lamentando che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto, senza nemmeno esaminarne il contenuto ed indicare le ragioni, nè del decreto del giudice penale che aveva disposto l’archiviazione con riferimento alla ritenuta simulazione, da parte dell’Ufficio finanziario, del contratto di consulenza aziendale, nè delle sentenze tributarie che, in relazione alla medesima vicenda, avevano accolto il ricorso della contribuente.

Il mezzo è infondato.

Premesso che tanto il decreto di archiviazione quanto le sentenze tributarie non definitive invocati dalla ricorrente non esplicano efficacia vincolante ai fini dell’accertamento dei fatti rilevanti per il giudizio, il vizio di motivazione nel caso di specie non sussiste, dovendosi ritenere, sulla base dei dati ed elementi forniti dalla ricorrente, congrua ed esauriente l’argomentazione svolta sul punto dalla Commissione regionale, secondo cui l’esame di tali documenti non è in grado di supplire alla mancanza di elementi probatori comprovanti la sussistenza dei fatti dedotti dalla ricorrente. Il ricorso, anche su questo punto, difetta invero del requisito di autosufficienza, omettendo di indicare i fatti accertati dai diversi giudici che, pur non avendo efficacia vincolante, apparivano comunque suscettibili di valutazione da parte del giudice a qua. La ricorrente si limita infatti a riprodurre soltanto la richiesta di archiviazione del P.M. non anche il decreto di archiviazione del g.i.p., che si ignora se, nelle argomentazioni, sia in tutto o solo in parte adesivo ovvero basato su una diversa motivazione, nonchè il mero decisum delle sentenze tributarie n. 199/26/02 e 200/26/02, senza nemmeno allegare i fatti che sarebbero stati positivamente accertati in tali provvedimenti in grado di dimostrare la fondatezza della propria tesi difensiva. In tale contesto, non si vede quale obbligo di valutazione e quindi di conseguente motivazione ricadesse sul giudice di appello, il quale correttamente si è limitato a rilevare l’impossibilità di poter fondare il proprio convincimento esclusivamente su tali provvedimenti. Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione di legge in riferimento all’art. 91 cod. proc. civ., assumendo che a seguito della cassazione della sentenza impugnata dovrà essere rivista anche la pronuncia del giudice di appello di compensazione delle spese di lite, al cui pagamento dovrà essere condannata la controparte.

Il motivo è manifestamente inammissibile, in quanto esso non sviluppa alcuna censura nei confronti della statuizione delle spese della sentenza impugnata, ma si limita a chiedere la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle stesse, richiesta che è meramente accessoria a quella principale di cassazione avanzata con il ricorso e che, pertanto, non necessita di essere formulata mediante specifico motivo.

In conclusione, il ricorso è respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida complessivamente in Euro 10.200, di cui Euro 10.000 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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