Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3558 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. III, 13/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 13/02/2020), n.3558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12563-2018 proposto da:

I.U., in proprio e nella qualità di amministratore unico

e legale rappresentante della società M.I. E FIGLI SRL,

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO MARIA

RUSSO;

– ricorrente –

contro

N.R., I.V., FALLIMENTO (OMISSIS) SAS,

G.A., I.P., SIGAL SOCIETA’ ITALIANA GESTIONE ALBERGHI SRL;

– intimati –

Nonchè da:

FALLIMENTO (OMISSIS) SAS, I.V., Socio accomandatario, in

persona del Curatore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE ROSA,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO MAIELLA;

– ricorrenti incidentali –

contro

I.U.;

– intimato –

Nonchè da:

I.P., G.A., domiciliati ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato MASSIMO VILLA;

– ricorrenti incidentali –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SAS, I.V., N.R.,

I.U.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 766/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale con assorbimento dei ricorsi incidentali; rigetto di

tutti i ricorsi;

udito l’Avvocato LONGOBARDI ROSSANA;

udito l’Avvocato MAIELLA ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.G. ha stipulato, nell’ottobre 2010, con il fratello I.U. un atto di cessione di quote di una società che i due germani avevano in comune, atto dal quale G. ha ritenuto residuare a suo favore un credito di 2.754.530,00, per il quale ha iniziato una controversia giudiziaria.

Nelle more di tale lite, egli ha però agito sia in simulazione che, in subordine, per la revocatoria, di due atti di disposizione compiuti dal fratello U., suo asserito debitore, ritenuti da G. come finalizzati ad eludere le garanzie del credito.

I due atti oggetto di azione di simulazione e di revocatoria consistevano rispettivamente nella costituzione di un fondo patrimoniale da parte di I.U., unitamente alla moglie, nel quale confluivano tutti gli immobili di proprietà del disponente, perfezionato con atto del 28.6.2011; una cessione di quote che il fratello U. aveva fatto alla moglie ed al figlio, perfezionata con atto dell’8.3.2012.

Il giudice di primo grado ha rigettato le domande di simulazione di questi due atti di disposizione, accogliendo la revocatoria solo della cessione delle quote societarie e non già dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale.

Nelle more del giudizio di primo grado è deceduto l’attore, ossia I.G., e gli sono succeduti nel processo i figli, suoi eredi, uno dei quali, I.V., era stato dichiarato fallito però già prima di succedere nel processo, con conseguente intervento in appello della curatela.

Sempre nelle more, uno degli eredi dell’attore, ossia I.M., ha transatto la lite con i convenuti.

Cosi che la corte di appello ha dichiarato cessata la materia del contendere quanto alle domande di I.M., ed, in riforma della decisione di primo grado, che aveva accolto la sola revocatoria della cessione di quote, ha altresì dichiarato l’inefficacia della costituzione del fondo patrimoniale, ritenendo però inammissibile l’intervento in causa del fallimento.

2.- Ricorre in Cassazione I.U., sia in proprio, che nella qualità di amministratore della società interessata dalla cessione di quote, con cinque motivi.

3.- V’è costituzione del Fallimento di I.V. che spiega ricorso incidentale condizionato, ed anche incidentale non condizionato.

V’è altresì costituzione di A.G. e I.P., moglie e figlio di I.U., ossia dei danti causa di costui che aderiscono al ricorso principale, e, nel contempo, propongono negli stessi termini di quest’ultimo, un loro ricorso incidentale.

4.- V’è controricorso anche degli altri eredi di I.G., ossia L. e I.V.. Deposita memorie il ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La sentenza impugnata, nel confermare la revocatoria della cessione di quote, ritiene elusiva altresì la costituzione del fondo patrimoniale.

La ratio di questa decisione è nella circostanza che la costituzione di quel fondo è atto a titolo gratuito, e che, ai fini della revocatoria, è sufficiente una modificazione anche qualitativa del patrimonio del debitore.

Inoltre, entrambi gli atti, la costituzione del fondo e la cessione delle quote sociali, sono stati posti in essere dopo che il credito è sorto, ed in sequenza tale da manifestare una finalità elusiva.

2.- Il ricorso principale di I.U., ossia del debitore che ha posto in essere gli atti di disposizione (fondo patrimoniale e cessione di quote) oggetto di revocatoria, può essere esaminato unitamente al ricorso cosiddetto incidentale dei suoi danti causa, ossi il figlio e la moglie, beneficiari della cessione delle quote sociali, e, la sola moglie, soggetto attivo anche essa della costituzione del fondo patrimoniale.

Infatti, il controricorso di questi ultimi aderisce ai motivi del ricorso principale, che fa propri, anche quanto alla domanda di cassazione della sentenza, oggetto del ricorso incidentale. In sostanza, gli aventi causa del ricorrente (moglie e figlio) propongono ricorso incidentale alla sentenza di appello, aderendo alle ragioni fatte valere dal loro dante causa, cosi che l’esame di queste vale anche per loro.

3.- Due motivi attengono a questioni processuali e sono di preliminare valutazione.

3.1- Con il primo motivo il ricorrente principale e i controricorrenti suoi aventi causa, lamentano violazione dell’art. 345 c.p.c..

Già in appello avevano denunciato l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dagli eredi di I.G., quindi dai creditori, sostenendo che non era individuato il capo di sentenza oggetto di impugnazione, nè era proposta una ricostruzione alternativa dei fatti, o delle ragioni, rispetto alla ricostruzione fatta dalla sentenza impugnata.

La corte di appello ha rigettato questa eccezione richiamando la giurisprudenza di questa corte secondo cui il requisito della specificità è soddisfatto senza necessità che si adottino particolari formalità, solo che sia possibile individuare il capo di sentenza impugnato e gli argomenti su cui l’appello si regge.

Questa regola va confermata.

In particolare, va ribadito che l’art. 342 c.p.c., comma 1, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), non esige lo svolgimento di un “progetto alternativo di sentenza”, nè una determinata forma, nè la trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata, ma impone all’appellante di individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il “quantum appellatum”, formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell’indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate ovvero, per le doglianze afferenti questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o dell’interpretazione preferibile, nonchè, in relazione a denunciati “errores in procedendo”, nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere (Cass. 10961/2017; Cass. sez. U n. 27199 del 2017).

Ciò, senza tacere del fatto che il motivo di ricorso è lui, si, aspecifico, nel senso che non riporta i punti della impugnazione avversaria che conterrebbero la carenza denunciata.

3.2.- L’altro motivo su questione processuale è il secondo, con il quale si denuncia omesso esame di un fatto decisivo, nonchè violazione degli artt. 42 e 46 L. Fall..

In sostanza, parte attrice nel giudizio di revocatoria era I.G., il quale è deceduto in corso di causa.

Al suo decesso sono subentrati i figli eredi, e, tra questi, I.V., che, al momento della successione nel processo, era dichiarato fallito.

Secondo il ricorrente (alle cui argomentazioni aderiscono i suoi aventi causa, con incidentale), il processo avrebbe dovuto essere dichiarato interrotto per intervenuto fallimento, e, non essendovi stata una dichiarazione in tale senso, che andava fatta in primo grado, nel corso del quale è intervenuto il decesso, la sentenza deve ritenersi nulla.

Alla corte di appello, oltre che di non aver ritenuto tale nullità, è attribuito di aver male inteso le norme sul fallimento, e precisamente quelle che attribuiscono la legittimazione al curatore, ed a tal fine impongono l’interruzione del processo in caso di intervenuto fallimento.

Nel decidere in senso contrario, la corte di appello non avrebbe tenuto in considerazione un fatto, decisivo e controverso emerso nel giudizio: ossia che al momento della successione processuale, chi subentrava (l’erede della parte attrice) era già dichiarato fallito.

Questo motivo è innanzitutto inammissibile, oltre che infondato.

Entrambi i profili però (inammissibilità e infondatezza) vanno esposti in quanto sul merito ha proposto ricorso incidentale condizionato il Fallimento di I.V..

Il motivo è inammissibile per diverse ragioni: intanto lo è, in quanto la nullità della sentenza di primo grado, per via della mancata interruzione del processo, andava comunque fatta valere in appello con apposito motivo. Il ricorrente (ed i suoi aventi causa, ricorrenti incidentali) non dimostrano di averlo fatto, ed anzi, parrebbe il contrario.

Con la conseguenza che il motivo, proposto per la prima volta in Cassazione, è inammissibile.

Inoltre, la perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto – e per essa al curatore – è consentito eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte e il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l’eccezione, nè il giudice può rilevare d’ufficio il difetto di capacità, e il processo continua validamente tra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale (Cass. 5226/2011; Cass. 22295/2012; Cass. 614/ 2016).

Infine, è da rilevare che il fallimento, al momento della successione nel processo era già stata dichiarato da tempo, e sin da prima che la causa iniziasse, con la conseguenza che, sia pure in ipotesi, non ricorre qui la fattispecie invocata dal ricorrente di interruzione del procedimento per sopravvenuto fallimento della parte.

Nel merito, la corte di appello ha fatto applicazione di una giurisprudenza affermata da questa corte per via della quale in ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili (art. 147 L. Fall.), il curatore del fallimento sociale non ha legittimazione processuale nelle controversie coinvolgenti la massa attiva personale del fallimento del socio che abbia ad oggetto diritti che già spettavano al fallito (Cass. 22279/ 2017; Cass. 22629/ 2006; Cass. 17675/ 2010).

Soluzione che vale a rendere infondato il ricorso incidentale condizionato, il quale mira invece ad affermare la legittimazione ad impugnare del fallimento nella ipotesi in cui fosse ritenuta inesistente quella del fallito in proprio (ossia I.V.).

Il secondo motivo contiene poi un “sotto motivo” con il quale si censura la sentenza, attribuendole violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c. sotto un preciso profilo: quello di aver ritenuto esistente un credito, posto a giustificazione della revocatoria, che invece era meramente eventuale e litigioso.

In sostanza, I.G. avrebbe agito in revocatoria per cautelare un credito che non era certo, ma che egli sperava gli venisse riconosciuto all’esito di un distinto giudizio civile che lo vedeva opposto al fratello U., qui ricorrente.

Il motivo è infondato posto che l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicchè anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che sì tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (Cass. 5619/2016; Cass. 23208/2016). Nè v’è pregiudizialità tra le due cause, ed è da escludere dunque la sospensione necessaria della revocatoria in attesa che si decida dell’esistenza del credito in altro e diverso processo (Cass. 3369/2019).

3.3. Queste ultime notazioni rendono infondato altresì il quarto motivo di ricorso, in base al quale la corte di merito avrebbe omesso di pronunciare su un punto decisivo della controversia violando peraltro gli artt. 39 e 40 c.p.c..

In pratica, con l’appello incidentale, il ricorrente aveva posto la questione che, decidendo di accogliere la revocatoria e dunque riconoscendo l’esistenza del credito di riferimento, la corte implicitamente ha delibato la sussistenza di quel credito “interferendo” con il giudizio nel quale propriamente si discute della sua esistenza.

Il motivo è evidentemente infondato.

Infatti, il giudice della revocatoria che ritenga giustificata l’azione dalla esistenza di un credito, sia pure litigioso, non compie, per ciò stesso, e neanche implicitamente un accertamento di quel credito (che è fatto oggetto di altro e separato giudizio) ma si limita ad applicare la regola per cui, come anzi detto, a giustificare una revocatoria è sufficiente che la parte creditrice vanti un credito, ancorchè sub judice, ossia oggetto di un accertamento in corso.

E’ di tutta evidenza che l’accertamento del giudice della revocatoria ha ad oggetto la mera allegazione del credito, sia pure contestato, mentre l’altro giudizio ha ad oggetto l’accertamento della fondatezza del credito, con cui il giudice della revocatoria ovviamente non interferisce.

4.- Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia omessa pronuncia e violazione degli artt. 2901 e 2967 c.c..

In sostanza, la questione è la seguente.

Secondo il ricorrente la corte avrebbe omesso di decidere su una questione espressamente posta con l’appello incidentale, vale a dire che non vi fosse prova nè della consapevolezza della elusività della vendita, nè che essa produceva un danno per il creditore, nè infine che il suo prezzo fosse irrisorio.

Invero alle pagine 20-21 la sentenza cita la regola giurisprudenziale per cui è sufficiente anche un mutamento qualitativo del patrimonio del debitore ad integrare danno per il creditore, e ritiene insito sia nella gratuità della costituzione del fondo che nella stessa successione degli eventi l’elemento oggettivo e quello soggettivo della revocatoria, cosi decidendo sul motivo di appello incidentale.

5.- Il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.c.c..

Secondo il ricorrente la corte di appello avrebbe errato nel condannarlo integralmente alle spese del secondo grado, a fronte di una decisione di primo grado che invece lo condannava solo parzialmente (due terzi).

Ciò considerando che il giudice di appello aveva solo in parte riformato la sentenza precedente.

Anche questo motivo è infondato.

Infatti, a seguito della riforma del primo grado, il ricorrente è diventato soccombente su tutto.

Lo era in primo grado solo rispetto alla revocatoria della vendita delle quote, mentre era vincitore quanto alla costituzione del fondo patrimoniale. La riforma della sentenza di primo grado su questo punto ha comportato soccombenza totale del ricorrente, e conseguente fondatezza della sua condanna integrale al pagamento delle spese.

6.- La curatela del fallimento come si è detto, oltre al ricorso incidentale condizionato, ha proposto un ricorso incidentale non condizionato, quanto al regime delle spese.

Si duole del fatto che la corte di merito le abbia compensate, dopo aver ritenuto inammissibile l’intervento della stessa curatela, cosi violando il disposto degli artt. 91 e 932 c.p.c..

In particolare, la corte non avrebbe considerato che alcune delle parti, e precisamente gli aventi causa del debitore (ossia moglie e figlio) e lo stesso I.V. (che, ricordiamo, è figlio di G., creditore, defunto nel corso del primo grado, ed a questi dunque succeduto nel processo) avevano resistito alla chiamata della curatela, fatta dagli eredi del creditore.

La ratio della decisione è nel fatto che la curatela, nel costituirsi per essere stata chiamata dagli eredi del creditore, non ha eccepito l’inammissibilità della sua chiamata, ma ha fatto proprie le difese dei chiamanti.

La corte di merito, secondo la curatela, avrebbe dovuto invece non compensare rispetto agli altri, ossia agli aventi causa del creditore, che pure avevano resistito all’intervento.

A prescindere da tale ratio, che appare fondata, in realtà non v’è soccombenza delle altre parti rispetto alla curatela, posto che la decisione è di inammissibilità della chiamata e non di fondatezza nel merito delle tesi della curatela stessa. Il fatto poi che quest’ultima abbia implicitamente ritenuto di essere stata chiamata in giudizio a buona ragione, e di conseguenza si è comportata, rende giusta la compensazione nei confronti invece dei chiamanti.

Va dunque rigettato il ricorso principale, quello “incidentale adesivo”, quello incidentale condizionato e quello non condizionato della curatela.

PQM

La corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato. Rigetta il ricorso incidentale non condizionato della curatela. Condanna i ricorrenti U., P., A.G. al pagamento delle spese, solo nei confronti di L. e I.V., nella misura di 13 mila Euro complessive. Compensa integralmente le spese tra tutte le altre parti. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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