Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3557 del 16/02/2010
Cassazione civile sez. trib., 16/02/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 16/02/2010), n.3557
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –
Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –
Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in
carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore Centrale
pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello
Stato, presso la stessa domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.
12;
– ricorrenti –
contro
Fallimento S.I.C.A.L.F. s.p.a. in liquidazione, in persona del
curatore avv. P.L., rappresentato e difeso dall’avv.
Musto Flavio Maria, presso di lui domiciliato in Roma, via Tembien n.
15, giusta procura a margine del ricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 105.23.02 della Commissione Tributaria
Regionale del Lazio, depositata in data 7.11.2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15
gennaio 2010 dal consigliere relatore dott. Sergio Bernardi.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di verifica fiscale condotta nei in una azienda di trasporti, veniva accertato che la stessa aveva emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti della s.p.a. SICALF. A carico di quest’ultima veniva quindi recuperata a tassazione la somma di L. 53.000.000, relativa ad inesistenti operazioni di acquisto. La contribuente ricorreva alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che annullava l’avviso. L’appello dell’Ufficio era respinto dalla CTR del Lazio. Questa osservava che le pur gravi irregolarità riscontrate nella contabilità dell’azienda di trasporti non dimostrava l’inesistenza delle operazioni fatturate, che la SICALF aveva regolarmente registrato nella propria contabilità e delle quali aveva dimostrato il pagamento mediante assegni bancari versati sul conto della fornitrice. “Nè costituiscono elementi probatori convincenti la sede modesta dell’azienda agricola, la mancanza di regolare assunzione di personale dipendente, di contratti di subappalto scritti e l’esistenza di automezzi di seconda mano.
Infatti l’Azienda avrebbe potuto, al fine di evadere ogni tributo, servirsi di personale, mezzi e collaboratori in nero. La dichiarazione fatta dal titolare circa la inesistenza delle operazioni contestate può ritenersi un estremo tentativo di coprire la propria evasione fiscale in sede di ispezione”.
L’Amministrazione finanziaria ricorre per la cassazione della decisione d’appello con due motivi. Il Fallimento della SICALF resiste con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso denuncia vizio di motivazione e violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. Osserva che quest’ultima disposizione consente la rettifica della dichiarazione del contribuente anche in presenza di contabilità regolare, e che la sentenza impugnata non esprime “l’iter logico in base al quale il Collegio giudicante abbia ritenuto di dover avvalorare la tesi della parte, già fatta propria dai giudici di prime cure, senza prendere in considerazione le censure mosse dalla parte pubblica”.
I motivi sono infondati.
Quello di violazione di legge non coglie la ratio della sentenza impugnata, che non ha contraddetto il principio di diritto affermato col ricorso (circa il potere degli uffici fiscali di rettificare le dichiarazioni dei contribuenti anche in presenza di una contabilità formalmente regolare). Ha espresso un giudizio di fatto relativo alla insufficienza degli elementi dedotti dall’amministrazione a sostegno della tesi che le operazioni contestate fossero inesistenti. Giudizio supportato da una motivazione della quale il motivo che ne denuncia la insufficienza critica il merito senza addurre argomenti che ne dimostrino l’incongruenza o la contraddittorietà con le risultanze processuali.
Va quindi respinto il ricorso, e condannate le parti ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010