Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3557 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. III, 13/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 13/02/2020), n.3557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 27514 del ruolo generale dell’anno

2018 proposto da:

C.M.V., (C.F.: (OMISSIS)) C.L.D.

(C.F.: (OMISSIS)), D.O.C. (C.F.: (OMISSIS))

rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso, dagli

avvocati Alessandro Gracis (C.F.: GRCLSN58H21L407U) e Giorgio de

Arcangelis (C.F.: DRCGRG53C14A433V);

– ricorrenti – contro ricorrenti al ricorso incidentale –

nei confronti di:

GENERALI ITALIA S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona dei

rappresentanti per procura P.M. e B.L.,

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso,

dall’avvocato Michele Roma (C.F.: RMOMHL58M23G749L);

– controricorrente – ricorrente in via incidentale –

nonchè

COMUNE D’ALPAGO, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco, legale

rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta procura a

margine del controricorso, dall’avvocato Gianfranco Tandura di

Feltre (C.F.: TNDGFR35B05E429B);

ENEL PRODUZIONE S.p.A. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

rappresentante per procura M.T.M.G.,

rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso,

dall’avvocato Gianfranco Tandura di Feltre (C.F.: TNDGFR35B05E429B);

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

5240/2017, pubblicata in data 2 agosto 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 12

novembre 2019 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.M.V., C.L.D. e D.O.C. hanno agito in giudizio nei confronti di Enel Produzione S.p.A., del Comune di Farra d’Alpago e di T.P. per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso del loro congiunto C.E., avvenuto per annegamento nel lago di (OMISSIS). Il comune convenuto ha chiamato in giudizio la propria compagnia assicuratrice della responsabilità civile, Assitalia le Assicurazioni d’Italia S.p.A., per essere garantito.

La domanda è stata accolta dal Tribunale di Roma, che ha condannato il Comune di Farra d’Alpago e Enel Produzione S.p.A., in solido, a pagare l’importo di Euro 417.575,00 in favore di C.M.V., l’importo di Euro 126.054,00 in favore di C.L.D. e l’importo di Euro 169.034,00 in favore di D.O.C., oltre accessori; Assitalia le Assicurazioni d’Italia S.p.A. è stata condannata a tenere indenne il comune di quanto pagato in base alla sentenza, nei limiti del massimale di polizza.

La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accertato un concorso del fatto colposo del creditore nella determinazione del danno, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, in misura pari al 20%, ha confermato la corresponsabilità del Comune di Farra d’Alpago e di Enel Produzione S.p.A. nella misura del 40% ciascuno ed ha, di conseguenza, ridotto la condanna in favore degli attori, rideterminandola nella misura di Euro 309.061,00 in favore di C.M.V., di Euro 113.449,00 in favore di C.L.D. e di Euro 135.228,00 in favore di D.O.C., oltre accessori.

Ricorrono C.M.V., C.L.D. e D.O.C., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso Generali Italia S.p.A., che propone a sua volta ricorso incidentale, sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso i ricorrenti in via principale.

Resistono altresì al ricorso principale, con distinti controricorsi, il Comune d’Alpago ed Enel Produzione S.p.A..

Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. C.M.V., C.L.D. e D.O.C., nonchè Generali Italia S.p.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sono inammissibili sia il controricorso ed il ricorso incidentale di Generali Italia S.p.A., sia il controricorso di Enel Produzione S.p.A.: tali società risultano entrambe costituite a mezzo di procuratori speciali (rispettivamente: P.M. e B.L., per la prima, M.T.M.G., per la seconda), ma non hanno prodotto gli atti di procura che legittimerebbero detti soggetti a rappresentarle (rispettivamente: procura per notaio dell’Armi di Treviso del 18 dicembre 2014; procura per notaio A. di Roma del 6 novembre 2018).

Va in proposito ribadito che, in caso di proposizione del ricorso (e/o del controricorso) a mezzo di procuratore speciale, ai sensi dell’art. 77 c.p.c., la produzione del relativo documento che contenga la procura è indispensabile per la verifica del corretto conferimento dei poteri, sostanziali e processuali, al procuratore, a norma dell’art. 77 c.p.c. e, in mancanza, il ricorso (o il controricorso) è inammissibile; il vizio è sempre rilevabile di ufficio (diversamente da quanto avviene in caso di costituzione del legale rappresentante dell’ente o di soggetto al quale il potere di rappresentanza deriva direttamente dall’atto costitutivo o dallo Statuto) e non basta che colui che si qualifica come rappresentante dell’ente in forza di una procura notarile ne indichi gli estremi, in quanto, se l’atto non è stato prodotto, resta ferma l’impossibilità di verificare il potere rappresentativo del soggetto (giurisprudenza costante di questa Corte; cfr. Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11898 del 07/05/2019, Rv. 653802 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 4924 del 27/02/2017, Rv. 643163 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21803 del 28/10/2016, Rv. 642963 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16274 del 31/07/2015, Rv. 636620 – 01; Sez. L, Sentenza n. 23786 del 21/10/2013, Rv. 628512 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 1345 del 21/01/2013, Rv. 624765 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 9091 del 05/06/2012, Rv. 622651 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13207 del 26/07/2012, non massimata; Sez. 1, Sentenza n. 22009 del 19/10/2007, Rv. 599237 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10122 del 02/05/2007, Rv. 597012 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11285 del 27/05/2005, Rv. 582413 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11188 del 26/05/2005, Rv. 582325 – 01).

2. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia “violazione/falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″.

Con il secondo motivo si denunzia violazione dell'”art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”.

I primi due motivi del ricorso principale riguardano entrambi la questione del concorso colposo del creditore nella determinazione dell’evento dannoso, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1.

Le censure avanzate con i predetti motivi di ricorso sono logicamente connesse e possono essere esaminate congiuntamente.

Esse risultano solo in parte fondate.

2.1 La questione giuridica di fondo posta dai ricorrenti riguarda l’applicabilità dell’art. 1227 c.c., comma 1 (disposizione che disciplina il concorso colposo del creditore nella determinazione del danno contrattuale ed opera anche per la responsabilità extracontrattuale in virtù del richiamo di cui all’art. 2056 c.c.), in caso di danneggiato incapace di intendere e di volere (in particolare, di un minore), nonchè la valutazione a tal fine necessaria.

Il tribunale, in primo grado, ha espressamente escluso che ricorressero i presupposti di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, per la riduzione del risarcimento, valutando insussistente sia un concorso di colpa del minore, sia un concorso di colpa della madre di questi, per culpa in vigilando, nella causazione dell’incidente che aveva determinato la morte del piccolo C.E.. La decisione è stata oggetto di appello in relazione al profilo del concorso di colpa della madre per culpa in vigilando e la corte di appello ha accolto il gravame sotto tale specifico profilo.

Secondo i ricorrenti, peraltro, ai fini dell’applicazione della disposizione di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, in caso di danno subito da un soggetto incapace di intendere e di volere (in particolare, di un minore), non avrebbe alcun rilievo la condotta del soggetto tenuto alla sorveglianza sul medesimo, ma dovrebbe essere presa in considerazione esclusivamente la condotta dello stesso incapace, sul piano oggettivo.

La decisione della corte di appello – che ha considerato la condotta della madre del minore, e quindi la sua culpa in vigilando – non sarebbe pertanto conforme a diritto.

D’altronde, sempre secondo la prospettazione dei ricorrenti, vi sarebbe un giudicato interno sull’assenza di concorso colposo alla determinazione dell’evento dannoso della vittima primaria (e cioè del minore), avendo il tribunale escluso tale concorso e non essendo stata la decisione di primo grado impugnata sotto tale specifico profilo. Di conseguenza, poichè la condotta della madre sarebbe in realtà irrilevante ai fini dell’art. 1227 c.c., comma 1, si dovrebbe riconoscere in loro favore il risarcimento per intero, senza ulteriori accertamenti.

La censura in diritto avanzata dai ricorrenti sulle modalità di applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, in caso di danneggiato incapace di intendere e di volere (in particolare, di un minore), è fondata, sul piano sostanziale.

Non altrettanto può dirsi delle conseguenze processuali che essi ne vorrebbero trarre.

2.2 Il contrasto interpretativo sulla questione dell’applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, in caso di danneggiato incapace di intendere e di volere (in particolare, di un minore) è stato da tempo composto dalle SS.UU. di questa Corte, essendosi affermato che “quando un soggetto incapace d’intendere e di volere, per minore età o per altra causa, subisca un evento di danno, in conseguenza del fatto illecito altrui in concorso causale con il proprio fatto colposo, l’indagine deve essere limitata all’esistenza della causa concorrente alla produzione dell’evento dannoso, prescindendo dall’imputabilità del fatto all’incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 351 del 17/02/1964, Rv. 300434 – 01).

In particolare, si è, anche successivamente, precisato che “in ipotesi che, in un incidente da circolazione stradale, un minore incapace patisca un danno ed il giudice di merito escluda che si sia verificato od abbia concorso a causare l’evento qualsiasi inosservanza di norme legislative o regolamentari o di comuni precetti di prudenza da parte del minore, non può essere valutata, in pregiudizio del minore stesso, ed ai fini dell’art. 1227 c.c., un’eventuale imprudenza nel comportamento dei genitori esercenti sul minore la patria potestà, per averlo esposto (permettendogli, nella specie, di circolare in bicicletta sulla via pubblica) alle insidie ed ai pericoli del comportamento colposo altrui” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1753 del 15/06/1973, Rv. 364706 – 01) e che “il principio di cui all’art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c.) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni “iure proprio”, restando, peraltro, esclusa – ove essi avessero avuto sull’incapace un potere di vigilanza – la possibilità di far luogo ad una ulteriore riduzione del danno risarcibile sulla base di un loro concorso nella sua causazione per “culpa in educando” o “in vigilando”” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2704 del 10/02/2005, Rv. 580012 – 01; risultano sostanzialmente conformi alle decisioni fin qui richiamate, altresì: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 630 del 11/02/1978, Rv. 389946 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1736 del 12/04/1978, Rv. 391149 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4691 del 16/04/1992, Rv. 476851 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4332 del 05/05/1994, Rv. 486491 – 01).

Anche più di recente si è poi ribadito che “in tema di responsabilità civile, se la vittima di un fatto illecito ha concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l’obbligo risarcitorio del responsabile si riduce proporzionalmente ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, anche nel caso in cui la vittima (minore di età) sia incapace di intendere e di volere al tempo del fatto; ciò in quanto l’espressione “fatto colposo” che compare nel citato art. 1227 c.c., non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2483 del 01/02/2018, Rv. 648247 – 01).

La ricostruzione sistematica di cui sopra ha positivamente superato anche il vaglio di legittimità costituzionale: (cfr. Corte Cost., Ord. n. 14 del 1985).

In base all’esposto indirizzo, al quale la Corte intende dare piena continuità, poichè l’accertamento richiesto dall’art. 1227 c.c., comma 1, riguarda il nesso di causalità materiale, l’accertamento sull’eventuale contributo causale della vittima all’evento dannoso è di tipo oggettivo e prescinde dall’imputabilità della condotta colposa sul piano soggettivo; l’eventuale condotta della vittima, anche se incapace, deve pertanto essere valutata alla stregua dello standard ordinario di comportamento diligente dell’uomo medio, senza tener conto della sua incapacità di intendere e di volere. Una siffatta valutazione “oggettiva” della condotta della vittima incapace, in sostanza, assorbe poi ogni rilievo (almeno con riguardo al piano in esame, cioè quello del contributo causale di cui all’art. 1227 c.c., comma 1) della condotta del soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace, sotto il profilo di una sua eventuale culpa in vigilando e/o in educando, in quanto quest’ultima resta di fatto assorbita e superata proprio dal fatto che la valutazione della condotta della vittima incapace viene effettuata secondo un criterio che non tiene conto della sua incapacità, ma opera su un piano esclusivamente oggettivo e materiale (in tal senso, si vedano, in particolare, le precisazioni contenute nella motivazione della già richiamata Cass. 2704 del 2005, secondo cui: “una volta stabilito, infatti, che il concorso della condotta concorrente della vittima deve essere preso in considerazione ai fini della proporzionale riduzione del risarcimento dei danni reclamati iure proprio dai genitori, l’ulteriore accertamento, di cui la società denuncia l’omissione – cioè quello della culpa in vigilando dei genitori: N.D.R. – diviene irrilevante, dato che l’eventuale culpa in educando ovvero in vigilando verrebbe a coprire, per altro verso, quel medesimo ambito di irrisarcibilità già derivante dall’applicazione dell’art. 1227 c.c., nell’interpretazione che se ne deve dare”).

A nulla rileva che nella specie non sia direttamente l’incapace danneggiato a chiedere il risarcimento, essendo questi deceduto ed avendo agito in giudizio i suoi familiari per ottenere il risarcimento della perdita del relativo rapporto parentale.

In realtà, ipotizzare una diversa rilevanza della condotta del soggetto tenuto alla sorveglianza sull’incapace, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, a seconda che questi agisca in proprio ovvero quale legale rappresentante del minore danneggiato (ovvero anche iure successionis, per i diritti di quest’ultimo) non sarebbe coerente con le premesse logiche e sistematiche dell’indirizzo qui accolto sulla rilevanza oggettiva della condotta della vittima del danno ai fini del contributo causale alla determinazione del fatto, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1.

Poichè la previsione di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, riguarda il rapporto oggettivo di causalità materiale nella causazione dell’evento dannoso (e cioè il nesso di causa tra la cosa o la condotta del danneggiante e il danno subito dal minore o incapace: il cd. nesso di causalità materiale), ne consegue che, per accertare l’eventuale “concorso di colpa” del danneggiato nella causazione dell’evento lesivo (rectius: il suo contributo causale al fatto lesivo), cioè la fattispecie prevista dall’art. 1227 c.c., comma 1, si deve applicare il medesimo principio (e cioè quello per cui va valutata la condotta della vittima primaria sul piano oggettivo e materiale, senza tener conto della sua incapacità di intendere e di volere) sia nel caso in cui l’azione sia proposta per ottenere il risarcimento del danno subito dall’incapace, sia nel caso in cui l’azione sia proposta per ottenere il risarcimento dei danni subiti da altri soggetti, pur sempre in conseguenza del medesimo fatto dannoso.

In altri termini, se il contributo causale alla determinazione del fatto di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, è questione relativa al nesso di causalità materiale tra fatto ed evento lesivo, che prescinde dall’imputabilità della colpa, tanto che si deve a tal fine valutare la condotta della vittima incapace sul piano “astratto e oggettivo”, come se si trattasse di un soggetto capace, con la conseguenza che non ha rilievo l’eventuale condotta dei soggetti che avevano l’obbligo di vigilanza su di lui, allora la disposizione che limita il risarcimento non può che operare in maniera oggettiva per tutte le conseguenze derivate dall’evento lesivo sul piano giuridico. Quindi, se da una parte la sussistenza di un tale contributo causale determinerà una riduzione del risarcimento dovuto per tutti i danneggiati (anche quelli che non sono la cd. vittima primaria), dall’altra parte le eventuali condotte di tali ulteriori danneggiati ad essi imputabili sul piano soggettivo potranno avere eventualmente rilievo solo in relazione ad altri fini (ad es. per la liquidazione dei danni subiti da ciascuno di essi, cioè sul piano del nesso di causalità giuridica, e pertanto, eventualmente, solo ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, oppure in caso di azione proposta direttamente dai danneggiati contro il sorvegliante o, al più, in caso di domanda di rivalsa del danneggiante nei rapporti interni, tutte ipotesi che comunque non ricorrono nel caso di specie, in cui è pacifico che si discute esclusivamente della sussistenza del contributo causale della vittima al fatto ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 e che quindi non vanno approfondite in questa sede).

Nel senso appena chiarito devono pertanto intendersi anche le affermazioni, contenute in diverse decisioni di questa stessa Corte, secondo cui la condotta del sorvegliante ha rilievo per la determinazione del risarcimento, se questi agisce iure proprio, le quali, comunque, sembrerebbero postulare una diversa rilevanza della culpa in vigilando del sorvegliante, a seconda che questi agisca per danni subiti in proprio o per il risarcimento dei danni subiti dall’incapace, quale legale rappresentante dello stesso o iure successionis (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2239 del 13/08/1966, Rv. 324368 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2549 del 11/04/1986, Rv. 445643 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5619 del 09/06/1994, Rv. 486982 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4633 del 24/05/1997, Rv. 504667 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11241 del 18/07/2003, Rv. 565247 – 01). Tali affermazioni stanno cioè a significare che la condotta dei danneggiati ulteriori rispetto alla vittima primaria può avere rilievo, ma solo eventualmente ai fini del giudizio relativo alla possibilità di limitare i danni conseguenti all’evento lesivo, cioè sul piano del cd. nesso di causalità giuridica di cui all’art. 1227 c.c., comma 2 (non, quindi, ai fini dell’art. 1227 c.c., comma 1, unica disposizione rilevante nel presente giudizio). Deve di conseguenza tenersi fermo che l’accertamento di un eventuale contributo causale della vittima nella determinazione dell’evento lesivo riguarda comunque esclusivamente la condotta della vittima primaria, indipendentemente dalla circostanza che vi siano altri soggetti danneggiati dall’evento che agiscano in giudizio, mentre la condotta di questi ultimi – a prescindere dal rilievo che possa avere ad altri fini – certamente non ha rilievo ai sensi della disposizione di cui dell’art. 1227 c.c., comma 1, l’unica rilevante nella presente controversia.

2.3 Orbene, la decisione impugnata effettivamente non è conforme, in diritto, ai principi fin qui esposti, in quanto la corte di appello ha preso in considerazione, per decidere in ordine al dedotto concorso di responsabilità della vittima nella produzione dell’evento, ai sensi dell’art. 1227 c.p.c., comma 1, esclusivamente la condotta della madre della vittima, sotto il profilo della culpa in vigilando, e non quella oggettiva del minore deceduto.

Essa va pertanto cassata, in accoglimento delle censure avanzate dai ricorrenti.

2.4 La conseguenza della cassazione della decisione impugnata non può peraltro ritenersi essere quella invocata dai ricorrenti stessi.

Secondo questi ultimi, come anticipato, vi sarebbe un giudicato interno sull’assenza di concorso colposo nella determinazione dell’evento dannoso, da parte della vittima primaria (e cioè del minore), avendo il tribunale escluso tale concorso e non essendo stata la decisione di primo grado impugnata sotto tale specifico profilo. Di conseguenza, poichè la condotta della madre sarebbe in realtà irrilevante ai fini dell’art. 1227 c.c., comma 1, si dovrebbe riconoscere in loro favore il risarcimento per intero, senza ulteriori accertamenti.

In realtà l’errore in diritto commesso dai giudici di merito è di avere falsamente applicato l’art. 1227 c.p.c., comma 1, ai fini della decisione sulla sussistenza di un contributo causale della vittima alla determinazione dell’evento dannoso. L’errore si è concretizzato nel fatto che essi non hanno preso in considerazione, a tal fine, esclusivamente il comportamento “oggettivo” della vittima primaria incapace (e valutato tale comportamento in base ai criteri di condotta esigibili da un soggetto capace), ma (anche o esclusivamente) quella del soggetto che ne aveva la sorveglianza, quale soggetto al quale sarebbe imputabile una effettiva “colpa” (nella specie, in vigilando).

Si tratta di un errore di diritto che si risolve necessariamente nella non corretta individuazione dei fatti rilevanti da accertare per l’integrazione della fattispecie astratta.

Se infatti (come è avvenuto nella specie) si parte dall’errato presupposto di diritto che si debba valutare, oltre alla condotta dell’incapace, anche (o addirittura solo) quella del sorvegliante (presupposto fondato necessariamente sulla ricerca di una “colpa soggettiva imputabile”), è inevitabile che la valutazione della condotta dell’incapace sia effettuata considerando lo stato personale della vittima, e non sul piano “oggettivo”, come se si trattasse di un soggetto capace. Se tale condotta venisse valutata con quest’ultimo criterio, non avrebbe invece alcun senso valutare quella “soggettiva” del sorvegliante capace.

Dunque, se viene effettuata una valutazione congiunta o cumulativa delle due condotte (quella della vittima incapace e quella del sorvegliante capace), e/o comunque viene valutata la eventuale condotta colposa del sorvegliante, nell’ottica dell’art. 1227 c.c., comma 1, questo accertamento può e deve ritenersi corretto o erroneo nella sua globalità, a seconda del modello giuridico ritenuto preferibile (e si è già chiarito in precedenza che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, un siffatto accertamento è in realtà errato in diritto). Non può però in nessun caso scindersi la valutazione della condotta della vittima primaria e quella del sorvegliante, come se si trattasse di due accertamenti autonomi e indipendenti, dal momento che è lo stesso accertamento del contributo causale rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, che è e deve rimanere unico e unitario (lo dimostra, del resto, anche il fatto che esso vale per i danni risentiti da tutti i danneggiati dal fatto, non solo per quelli subiti dal “corresponsabile colpevole”). Sul piano processuale, inoltre, l’errore nella individuazione dei principi di diritto applicabili alla fattispecie risulta commesso, prima ancora che della corte di appello, già dal tribunale, il quale, come riferiscono espressamente gli stessi ricorrenti, aveva preso in considerazione e valutato – quindi aveva ritenuto rilevanti, in diritto – sia la condotta della madre che quella del minore, anche se era giunto alla conclusione, in fatto, che entrambi erano esenti da colpa. La corte di appello, persistendo nell’applicazione erronea di tali principi di diritto, ha poi ritenuto, sempre in fatto, che sussistesse culpa in vigilando della madre della vittima (in sostanza tale colpa è stata ritenuta sussistente per non avere la madre vietato al figlio di fare il bagno in un lago di montagna notoriamente pericoloso, anche considerato che il ragazzo non sapeva nuotare).

E’ evidente che l’erronea impostazione in diritto sulla condotta rilevante ai fini della valutazione della sussistenza del contributo causale della vittima alla determinazione dell’evento dannoso, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, inficia anche il relativo accertamento di fatto (basti considerare, sul piano puramente logico, che, se i giudici di merito avessero proceduto a valutare – come avrebbero dovuto – direttamente la condotta del minore incapace, applicando ad essa però i criteri applicabili ad un soggetto capace, invece che quella della madre sorvegliante capace, difficilmente avrebbero potuto giungere ad una diversa conclusione, con riguardo alla valutazione sul carattere “oggettivamente” incauto della decisione di fare il bagno in un lago notoriamente pericoloso, pur non sapendo nuotare).

Deve quindi affermarsi che, in caso di responsabilità extracontrattuale, la valutazione della “condotta del creditore” ai fini dell’art. 1227 c.c., comma 1, laddove la vittima primaria sia un incapace, implica un accertamento unitario e inscindibile che implica la valutazione della sola condotta imprudente, ovvero “oggettivamente colposa”, della vittima primaria, e non quella della condotta soggettivamente colposa della vittima primaria e/o di quella del sorvegliante. Non possono però essere separate le valutazioni di fatto relative alle condotte della vittima primaria incapace e del soggetto tenuto alla sorveglianza della stessa, se effettuate entrambe, in quanto la stessa valutazione congiunta o cumulativa costituisce un errore di diritto che si ripercuote sull’oggetto dell’accertamento di fatto. Di conseguenza, nella specie, poichè era stato certamente oggetto di gravame il capo della sentenza di primo grado relativo al dedotto “concorso di colpa del creditore” (sia pure sotto il profilo della “colpa soggettiva” della madre sorvegliante, profilo senz’altro rilevante nell’ottica giuridica erroneamente seguita prima dal tribunale e poi dalla corte di appello), in secondo grado era ancora in discussione, integralmente, tale questione, sotto ogni profilo (di fatto e di diritto), dovendo ritenersi a tal fine sufficiente, appunto, la censura relativa al capo della sentenza di primo grado sull’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1227 c.c., comma 1 (d’altra parte, se così non fosse, la conseguenza sarebbe eventualmente stata la formazione di un giudicato interno sulla applicabilità del criterio giuridico “della colpa soggettiva” nella valutazione del concorso colposo e sulla rilevanza a tal fine della condotta della madre sorvegliante, e cioè esattamente il contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti).

La sussistenza del dedotto concorso di colpa di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, doveva in realtà essere integralmente rivalutata dalla corte di appello, sia nei suoi presupposti giuridici che di fatto.

Essendo stata in proposito effettuata dalla corte di appello una valutazione errata in diritto, cioè essendo stato falsamente applicato l’art. 1227 c.c., comma 1 (il che inficia anche il conseguente accertamento in fatto), la fattispecie va integralmente rivalutata.

2.5 La decisione impugnata deve in definitiva essere cassata affinchè, in sede di rinvio, siano applicati correttamente i principi di diritto in precedenza esposti e sia valutata, quindi, nuovamente la sussistenza del “concorso di colpa del creditore” ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 (recte: del contributo causale della vittima alla determinazione dell’evento lesivo), prendendo in esame esclusivamente la condotta della vittima primaria, ma utilizzando i criteri “oggettivi” di valutazione della sua condotta validi per un soggetto capace e ordinariamente diligente e cioè valutando esclusivamente se essa abbia tenuto o meno un “comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza”, a prescindere dalla sua età e dal suo stato di incapacità naturale, ed a prescindere altresì dalla condotta del soggetto che ne aveva la sorveglianza.

3. Il terzo e il quarto motivo del ricorso principale riguardano il cd. danno catastrofale, di cui è stato chiesto il risarcimento iure successionis dalla madre della vittima primaria.

Con il terzo motivo si denunzia, in particolare, “error in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, sostanzialmente deducendosi la violazione dell’art. 342 c.p.c..

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, ancor prima che infondato.

I ricorrenti sostengono che il gravame dei convenuti sulla questione del danno catastrofale non era sufficientemente specifico e avrebbe dovuto quindi essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ma non richiamano adeguatamente il contenuto degli atti di appello delle tre parti che lo avevano proposto in relazione a tale capo della sentenza di primo grado, in modo da consentire a questa Corte di valutare se effettivamente sussisteva il dedotto difetto di specificità.

D’altra parte, anche semplicemente sulla base di quanto è trascritto nel ricorso del contenuto dei suddetti atti di appello, emerge che il gravame proposto da tutti i convenuti era in realtà sufficientemente specifico sul punto in discussione.

4. Con il quarto motivo si denunzia “violazione da parte della sentenza anche degli artt. 1223,2056 e 2059 c.c., sull’integralità del risarcimento dei danni iure successionis (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Il motivo è fondato.

Secondo l’indirizzo di questa Corte, “in tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 21837 del 30/08/2019, Rv. 655085 – 01).

Nel valutare la domanda (avanzata da C.M.V., madre ed erede della vittima primaria, iure successionis) di risarcimento del danno subito dal piccolo C.E. in relazione alla sofferenza psichica derivante dalla lucida percezione dell’approssimarsi della morte, la corte di appello si è discostata da tali principi, in quanto ha escluso la sussistenza di tale danno, non avendo ravvisato il “decorso di un apprezzabile lasso di tempo (che è stato contenuto nell’ordine di alcuni minuti) tra l’inizio dell’evento lesivo e la morte”.

I giudici di merito hanno cioè erroneamente applicato un criterio di valutazione (quello della necessità di un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento lesivo ed il decesso) che rileva nell’ottica della liquidazione del danno biologico temporaneo subito dalla vittima deceduta poco dopo il sinistro (danno in realtà non richiesto dall’attrice), ma non ha alcun rilievo nell’ottica della liquidazione del cd. danno catastrofale, riconducibile alla sofferenza psichica derivante dalla lucida percezione dell’approssimarsi della morte, che era l’unico danno nella specie richiesto (a maggior ragione, poi, emerge l’indicato errore di diritto, dal momento che i giudici di secondo grado non hanno specificamente negato la circostanza di fatto, già accertata dal tribunale, secondo cui l’esperienza vissuta del piccolo C.E. era stata “terrificante, dal momento in cui aveva cominciato a sprofondare sott’acqua, cercando inutilmente di aggrapparsi al suo amico”, circostanza che sul piano logico appare difficilmente compatibile con l’assenza di coscienza dell’approssimarsi del pericolo di annegamento, mentre ha evidente rilievo ai fini della valutazione dell’intensità della relativa sofferenza).

Anche sotto tale profilo, pertanto, la decisione impugnata va cassata affinchè, in sede di rinvio, sia rivalutata la fattispecie, con l’applicazione dei corretti principi di diritto in tema di danno cd. catastrofale, sopra esposti.

5. Il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile.

Sono accolti i primi due motivi ed il quarto del ricorso principale, per quanto di ragione, rigettato il terzo.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, nei sensi di cui in motivazione, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (in relazione al solo ricorso incidentale).

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

– accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigettato il terzo; cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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