Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3557 del 12/02/2011

Cassazione civile sez. III, 12/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 12/02/2011), n.3557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR 10, presso il proprio studio, rappresentato e

difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI URURI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4/2009 del TRIBUNALE di LARINO, depositata il

08/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. PRATIS PIERFELICE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, Letti gli atti depositati osserva:

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 31 marzo 2009 C.C. ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 5 febbraio 2009, depositata in data 8 gennaio 2009 dal Tribunale di Larino, confermativa della sentenza del Giudice di Pace che aveva rigettato l’opposizione avverso l’avviso di pagamento per consumo e depurazione acque emessa a suo carico dal Comune di Ururi.

L’intimato non ha espletato attivita’ difensiva.

2 – I tre (rectius: quattro) motivi del ricorso risultano inammissibili, poiche’ la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, e’ ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che e’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimita’, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 Formula il seguente quesito di diritto: dica la Corte se una causa avente ad oggetto la contestazione di un avviso di pagamento emesso dall’ente comunale per consumo idrico possa essere decisa mediante l’applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23. Un quesito siffatto frustra le finalita’ perseguite dall’art. 366 bis c.p.c. Infatti esso non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulla norma indicata che sia decisivo per il giudizio e, nel contempo, di applicabilita’ generalizzata, ma chiede una verifica della correttezza giuridica della decisione impugnata con riferimento ad una norma di cui essa non discute e che si riferisce essere stata applicata dal primo giudice.

E’ appena il caso di aggiungere che, ove il ricorrente avesse inteso censurare l’omessa risposta ad un proprio motivo di appello, avrebbe dovuto denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c. facendola valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, avrebbe dovuto riferire le pertinenti parti del proprio atto di appello.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 c.p.c. per violazioni delle norme sulla competenza. Il quesito finale (dica la Corte se la disposizione di cui all’art. 38 c.p.c., comma 1 sia applicabile ad un giudizio qualificato e diretto dal giudice secondo la normativa di cui alla L. n. 669 del 1981, art. 23) prescinde totalmente dalla norma (art. 7 c.p.c.) di cui e’ stata denunciata la violazione e falsa applicazione e si rivela astratto poiche’ prescinde totalmente dai necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata.

Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per irragionevolezza in punto alla mancata detrazione delle somme riconosciute come non dovute. Al termine dell’esposizione delle argomentazioni a sostegno formula non un momento di sintesi idoneo a circoscrivere il fatto controverso e a specificare le ragioni della addotta irragionevolezza della sentenza, ma un quesito di diritto (dica la Corte se l’opposizione ad un avviso di pagamento per canone acqua, rigettata dal giudice di pace senza dare corso a verifiche di merito per erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, precluda di contestare in sede di appello la spettanza di alcune somme che concorrono a formare il totale richiesto nell’avviso) incongruo rispetto al vizio denunciato.

Il quarto motivo lamenta il mancato mutamento del rito in appello.

Non viene denunciata alcuna violazione di norme di diritto ma la censura pecca di autosufficienza in relazione alla formulazione dell’istanza avanti al Tribunale e il quesito finale risulta astratto per le ragioni in precedenza indicate.

La relazione e’ stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Con atto in data 12 gennaio 2011 il procuratore del ricorrente ha dichiarato di rinunciare al ricorso;

5.- Ritenuto:

che, non essendovi altri ricorsi avverso la medesima sentenza, il giudizio vada dichiarato estinto; nulla spese;

visti gli artt. 380-bis, 390 e 391 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso estinto per rinuncia.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2011

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