Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3551 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3551 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 7947-2011 proposto da:
CUPELLI MARIA (c.f. CPLMRA42E50F730S), elettivamente
domiciliata in ROMA, LARGO DEI LOMBARDI 4, presso
l’avvocato TURCO ALESSANDRO, rappresentata e difesa

Data pubblicazione: 14/02/2014

dall’avvocato VICICONTE GAETANO, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –

2014
36

contro

CONSORZIO PER LO SVILUPPO DELLA PROVINCIA DI RIETI;
– intimato –

1

Nonché da:
CONSORZIO PER LO SVILUPPO DELLA PROVINCIA DI RIETI,
in persona del Presidente pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso
l’avvocato CARBONE BENEDETTO GIOVANNI, che lo

controricorso e ricorso incidentale;
– controri corrente e ricorrente incidentale contro

CUPELLI MARIA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 3799/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/09/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. SERGIO
DI AMATO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Catia Pratini,
con delega, che ha chiesto l’accoglimento;
udito,

per

il

controricorrente

e

ricorrente

rappresenta e difende, giusta procura a margine del

incidentale, l’Avvocato CARBONE che ha chiesto il
rigetto del ricorso principale, accoglimento
dell’incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso

2

principale, rigetto dell’incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 27 settembre 2010 la Corte di appello
di Roma rigettava l’opposizione alla stima proposta da

Maria Cupelli in relazione all’indennità per
l’espropriazione di un terreno di mq 160.000 da parte del
Consorzio per lo sviluppo industriale della Provincia di
Rieti. In particolare, la Corte di appello osservava che:
l) il terreno de

quo

doveva ritenersi edificabile in

quanto la destinazione agricola, prevista dal P.R.G. del
Comune di Fara Sabina con l’inserimento dell’area nella
zona El agricola, era rimasta superata dall’apposizione
del vincolo preordinato all’esproprio previsto dal piano
regolatore consortile, approvato dalla Regione Lazio con
delibera n. 171/2004 e recepito dal Comune di Fara Sabina
con delibera n. 50/2004; tale vincolo, che individuava le
zone da destinare a sviluppo industriale, aveva
un’implicita natura conformativa; 2) indipendentemente
dalla eventuale tardività della eccezione, formulata dal
Consorzio solo in sede di memoria

ex art. 183, sesto

comma, c.p.c., poteva rilevarsi d’ufficio il valore
dichiarato dalla espropriata, ai fini della
determinazione dell’ICI per l’anno 2007; ne conseguiva,
ai sensi dell’art. 37, settimo comma, del t.u. n.
327/2001, il rigetto dell’opposizione poiché il valore
3

dichiarato era di gran lunga inferiore all’importo
dell’indennità determinata in via amministrativa.
Maria Cupelli propone ricorso per cassazione,
deducendo sei motivi. Il Consorzio per lo sviluppo

industriale della Provincia di Rieti resiste con
controricorso e propone ricorso incidentale affidato a
due motivi. Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi cinque motivi la ricorrente principale
deduce, sotto vari profili, la violazione dell’art. 37,
settimo comma, del t.u. n. 327/2001, lamentando che la
determinazione dell’indennità di espropriazione era stata
assoggettata al limite derivante dal valore indicato
nella dichiarazione ICI.
I motivi devono ritenersi fondati alla stregua della
sopravvenienza della sentenza n. 338/2011, con cui la
Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
dell’art. 16 del d. lgs. n. 504/1992 e dell’art. 37,
comma settimo, del d.p.r. n. 327/2001. L’accoglimento dei
motivi prescinde dalla pertinenza delle specifiche
censure di violazione di legge proposte avverso la
decisione che dell’art. 37, settimo comma, cit. ha fatto
applicazione. Invero, la presenza di censure sulla
liquidazione dell’indennità, sia con riguardo al criterio
limitativo applicato sia in relazione al

quantum
4

dell’indennizzo,
dell’espropriato

rende

contestata

detta

consente, provvedendo sul ricorso,

da

parte

statuizione
di

e

determinare

l’indennizzo prescindendo dal valore dichiarato ai fini

dell’ICI.
Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione
dell’art. 37, comma primo, del t.u. n. 327/2001,
lamentando che la Corte di appello non aveva determinato
il valore di mercato del terreno secondo i criteri della
stima analitica o della stima comparativa.
Il motivo è inammissibile in quanto relativo a
questioni rimaste assorbite e perciò non esaminate dalla
Corte di appello.
Con il primo motivo del ricorso incidentale il
Consorzio deduce la violazione degli artt. 32 e 37, comma
settimo, del t.u. n. 327/2001, dell’art. 38 della legge
n. 1150/1942, dell’art. 51 del d.p.r. n. 218/1978,
dell’art. 7, comma terzo, della legge della Regione Lazio
n. 13/1997, dell’art. 2 lett. b) del d. lgs. n. 504/1992,
nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte
di appello: a) aveva preso in considerazione aumenti di
valore derivanti dal recepimento della destinazione
industriale prevista dal piano regolatore consortile (o
piano A.S.I. – area di sviluppo industriale) e perciò da
uno strumento urbanistico che implicava necessariamente
5

una espropriazione generalizzata, che incideva perciò
direttamente sulle proprietà interessate ed al quale,
pertanto, non poteva riconoscersi una valenza meramente
conformativa; b) aveva omesso di considerare che la

destinazione edificatoria non corrispondeva allo stato di
fatto esistente e presupponeva imponenti opere di
livellamento dei terreni e di urbanizzazione.
Il motivo è infondato. Le possibilità edificatorie,
legali ed effettive, da considerare ai fini della
determinazione dell’indennità di espropriazione, devono
essere valutate con riferimento «al momento
dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio»,
come previsto dall’art. 5

bis,

comma 3, del d.l. n.

333/1992. Tuttavia, una interpretazione meramente
letterale di tale disposizione comporterebbe la
retrodatazione della qualificazione dell’area oggetto
dell’ablazione al più tardi al momento della
dichiarazione di p.u. dell’opera, che è il provvedimento
con cui in ogni caso è imposto il vincolo preordinato
all’espropriazione; ne conseguirebbe l’impossibilità di
valutare le modificazioni della disciplina urbanistica
intervenute tra tale momento e quello della vicenda
ablatoria vera e propria, con l’esposizione della norma
ad una declaratoria di illegittimità costituzionale
[Corte cost. 442/1993: «un criterio astratto (e tale
6

sarebbe quello che, senza alcun correttivo, tenesse conto
delle pregresse, e non più attuali, caratteristiche
dell’area) è di per sè in contrasto con il precetto del
terzo comma dell’art. 42, terzo comma, Cost., il quale

esige che tendenzialmente l’indennizzo espropriativo sia
quantificato tenendo conto delle caratteristiche
dell’area espropriata nel momento in cui il proprietario
ne è privato»]. È perciò prevalsa nella giurisprudenza di
questa Corte, come ritenuto possibile dalla Consulta e
proprio al fine di non penalizzare oltre misura i
proprietari e privarli dei vantaggi derivanti da una
disciplina urbanistica più attuale e contestuale al
procedimento ablativo, una interpretazione logicosistematica, costituzionalmente orientata, in base alla
quale con la riferita espressione la norma ha inteso non
già spostare il dato temporale da tener presente per la
determinazione del valore del bene espropriato, ma solo
riaffermare il principio della irrilevanza del vincolo
espropriativo ai fini dell’accertamento del valore del
bene; la disposizione, pertanto, non ha inciso sul
principio giurisprudenziale del tutto consolidato che
richiede la ricognizione delle possibilità legali ed
effettive di edificazione sussistenti al momento del
verificarsi della vicenda ablatoria piuttosto che a
quello antecedente di apposizione del vincolo preordinato
7

all’esproprio, del quale, peraltro, non deve tenersi
. conto nella valutazione del bene espropriato. Siffatto
momento deve essere quindi identificato, ai fini della
determinazione dell’indennità di espropriazione, in
(e plurimis Cass.

quello di adozione del decreto ablativo

3 aprile 2009, n. 8121; Cass. 14 febbraio 2006, n. 3146;
Cass. 21 marzo 2003, n. 4130).
Ciò posto, si deve anche escludere che l’apposizione
del vincolo preordinato all’espropriazione possa farsi
discendere dai piani regolatori generali delle aree di
sviluppo industriale. Al riguardo, è noto che
l’approvazione di detti piani non comporta di per sè sola
la dichiarazione di pubblica utilità, in quanto produce
gli effetti del piano territoriale di coordinamento di
cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 5 e 6. I

vincoli preordinati all’espropriazione nascono, invece,
dalla dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e
indifferibilità delle opere, emessa ai sensi dell’art.
53, primo comma, del d.p.r. n. 218/1978 ed in base alla
quale si procede all’emanazione del decreto di
espropriazione. Ne deriva che non può condividersi
l’affermazione, centrale nel ragionamento del consorzio,
che il vincolo destinato all’esproprio discenderebbe
direttamente dal piano regolatore dell’area industriale,
con la conseguenza che del piano regolatore medesimo non
8

potrebbe tenersi conto ai fini della determinazione
. dell’indennità di espropriazione. Vero è, invece, che, in
conformità dei principi generali, i piani regolatori,
adottati o modificati in relazione al piano per l’area di

sviluppo industriale con il procedimento disciplinato
dall’art. 51 del d.p.r. n. 218/1978 cit., possiedono
indubbia valenza conformativa della proprietà dei fondi
in essi inclusi e sono pienamente idonei a conferire ad
essi qualità edificatoria, ancorché, ovviamente, detta
qualità debba essere valutata con riferimento alla
specifica destinazione a zona industriale (Cass. 10
novembre 2006, n. 24041). La valenza conformativa della
disciplina urbanistica attribuita alla zona dal piano
regolatore generale, dopo il recepimento del piano di
sviluppo industriale, potrebbe negarsi soltanto in
mancanza dei caratteri di generalità ed astrattezza (e
plurimis Cass. 10 maggio 2013, n. 11236; Cass. 6 novembre

2008, n. 26615; Cass. 5 giugno 2006, n. 13199); il che è
escluso dallo stesso Comune che parla di una
generalizzata necessità di espropriazione per tutti i
terreni ricadenti nella zona destinata ad insediamenti
industriali.
Il motivo è infondato anche laddove deduce la mancata
considerazione della necessità di opere di trasformazione
e di urbanizzazione per realizzare la prevista
9

destinazione edificatoria. Tali profili, infatti, non
influiscono sulle possibilità edificatorie legali ed
effettive di un’area, ma solo sui costi per realizzare
dette possibilità e sul conseguente valore di mercato

Con il secondo motivo il Comune deduce il vizio di
motivazione in relazione alla mancata considerazione,
quanto alla natura agricola del fondo, della circostanza
che otto dei sedici ettari erano affittati a terzi ed
adibiti a coltivazione di frutta e verdura; tale
circostanza, inoltre, avrebbe escluso l’esenzione dalla
dichiarazione ICI prevista per i coltivatori diretti e
reso operativo il limite del valore dichiarato ai fini
ICI.
Il motivo è infondato. Quanto al rilievo della
dichiarazione ICI, lo stesso non può più predicarsi dopo
la ricordata sentenza n. 338/2011 con cui la Corte

\(/

costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art.
37, settimo comma, del t.u. n. 327/2001. Quanto al
rilievo della utilizzazione di parte o di tutta l’area
espropriata a fini agricoli, si deve escludere che ciò
comporti la classificazione dell’area come agricola in
sede di determinazione dell’indennità di espropriazione,
trattandosi di circostanza che non incide sulle
possibilità legali ed effettive di edificabilità
10

dell’area.

dell’area, ma eventualmente su elementi concorrenti da
considerare per valutarne il valore venale.
P . Q . M .
accoglie i primi cinque motivi del ricorso principale e

incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai
motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio
di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa
composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9
gennaio 2014.

dichiara inammissibile il sesto; rigetta il ricorso

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