Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3551 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 11/02/2011), n.3551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 921/2010 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, nonchè

mandatario della S.C.C.I. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARITATO Lelio, ANTONINO SGROI,

LUIGI CALIULO, giusta mandato speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

O.T. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato COGLITORE Emanuele,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BELEFFI MASSIMO,

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

EQUITALIA ROMAGNA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 287/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

29/04/08, depositata il 03/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’01/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato Manzi Federica, (delega avvocato Coglitore

Emanuele), difensore del controricorrente che si riporta agli

scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex art. 380 bis.

La Corte d’appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, e provvedendo in ordine ad un’opposizione a cartella esattoriale, riteneva non applicabile lo speciale minimale contributivo previsto per il settore edile dal D.L. n. 244 del 1995, art. 29, comma 1 (convertito dalla L. n. 341 del 1995, con riferimento a sospensioni dei rapporti di lavoro concesse dal datore di lavoro a seguito di specifiche richieste dei dipendenti. Faceva applicazione del principio secondo cui il venir meno dell’obbligo retributivo implica l’inesistenza anche dell’obbligo contributivo.

L’Inps ricorre per cassazione. L’intimato O.T. resiste con controricorso.

Il primo motivo – corredato di conclusivo principio di diritto, che risulta chiaro, esauriente e formulato con riferimento alla fattispecie accertata in sede di merito, denunciando violazione e falsa applicazione del D.L. n. 244 del 1995, art. 29, comma 1, convertito nella L. n. 341 del 1995, lamenta in sostanza che sia stato considerato idoneo ad esonerare dal minimale contributivo un mero accordo di sospensione della prestazione lavorativa.

Il secondo motivo – anch’esso corredato da idoneo quesito di diritto -, denunciando violazione della medesima disposizione, e deduce che quanto meno è mancata la necessaria verifica della previa comunicazione agli enti previdenziali dell’accordo di sospensione della prestazione lavorativa.

I due motivi, che devono essere esaminati congiuntamente stante la loro connessione, sono manifestamente fondati, nei termini di seguito precisati, alla luce della giurisprudenza di questa Corte in materia, rappresentata non solo da Cass. n. 21700/2009 (massimata nei seguenti termini: “In tema di contribuzione dovuta dai datori di lavoro esercenti attività edile, il D.L. n. 244 del 1995, art. 29, convertito nella L. n. 341 del 1995, nel determinare la misura dell’obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di una varietà di assenze, tra di loro accomunate dal fatto che vengono in considerazione situazioni in cui è la legge ad imporre al datore di lavoro di sospendere il rapporto. Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo retributivo (recte:

contributivo), dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di “ratio” tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica, e ciò tanto più che la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali”), ma anche dalle precedenti pronunce n. 12624/2008 e 1301/2006, che non sono in contrasto con la successiva per quanto rileva nella presente sede. In particolare Cass. 12624/2008, se si fa riferimento alla ampia motivazione, e non alla massima ufficiale che appare imprecisa, riconferma in termini generali l’orientamento, già enunciato da precedenti pronunce, sulla tassatività dei casi previsti dall’art. 29 del citato decreto legge di inapplicabilità del minimale impositivo in questione – che è correlato all’orario di lavoro settimanale previsto dalla contrattazione collettiva -, e opera una sorta di interpretazione estensiva della disposizione, per esigenze di adeguamento al principio costituzionale di uguaglianza, solo con riferimento alle sospensioni collettive del lavoro disposte nelle piccole aziende, escluse da determinate discipline della cassa integrazione, alla condizione – prevista anche dalla successiva sentenza n. 12624/2008 – della preventiva comunicazione della prevista sospensione all’istituto previdenziale, ai fini della esercitabilità degli opportuni controlli. Ed infatti il principio di diritto enunciato espressamente dalla sentenza, recita: “Tra le ipotesi di esenzione dall’obbligo del minimale contributivo in edilizia, elencate dal D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29 convertito in L. 8 agosto 1995, n. 341 e dal D.M. 16 dicembre 1996, vanno ricomprese anche le sospensioni di attività aziendale senza intervento della CIG, preventivamente comunicate agli enti previdenziali,, in modo da consentirne gli opportuni controlli”.

Ai fini della presente controversia deve rilevarsi, che, come ricordato nel controricorso, il D.M. 16 dicembre 1996, emanato in forza del richiamato D.L. n. 244 del 1995, art. 29, al fine di identificare ulteriori “eventi” comportanti l’esclusione della contribuzione, prevede al n. 1) i “permessi individuali non retribuiti nel limite massimo di 40 ore annue”.

La nozione di “permesso individuale” è identificabile chiaramente, stante la sua utilizzazione nell’ambito legislativo e della contrattazione collettiva, con l’ipotesi di assenze dal lavoro autorizzate dal datore di lavoro, con il riconoscimento o meno della retribuzione, per esigenze personali del lavoratore e su sua richiesta. Nella specie il giudice di merito ha accertato la fattispecie con riferimento al solo dato formale della sospensione dei rapporti concessa dal datore di lavoro su richiesta dei lavoratori. Si tratta di ipotesi che potrebbe coincidere con quella legale. Manca però la verifica sul piano sostanziale che tali interruzioni della prestazione lavorativa siano avvenute effettivamente nell’interesse dei lavoratori, al di là del dato formale della presenza di una loro richiesta, che potrebbe essere stata sollecitata dal datore di lavoro a fronte di esigenze aziendali (per non parlare dell’ipotesi della formazione di documentazione del tutto fittizia). Invece tale verifica sul piano sostanziale deve ritenersi necessaria, visto che si tratta di applicare una normativa su rapporti pubblicistici coinvolgenti terzi (gli istituti previdenziali) e, come precisato nella sentenza n. 21700/2009, avente finalità antielusiva.

Resta da osservare che non può darsi utile rilievo al richiamo, contenuto nel controricorso, della disposizione del c.c.n.l. per le piccole imprese edili artigiane – contratto che si assume essere quello che regolava i rapporti di lavoro in questione – che prevederebbe la facoltà del datore di lavoro di concedere periodi di aspettativa senza retribuzione, perchè non risulta la deduzione di tale previsione in sede di merito, la stessa neanche può considerarsi adeguatamente introdotta nel giudizio di cassazione, e, peraltro, non ne risulta la rilevanza (maggiore di quella già ipotizzata) alla stregua delle fonti legali e regolamentari.

Nei termini precedentemente indicati il ricorso deve ritenersi fondato. Consegue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Il giudice di rinvio si atterrà al seguente principio di diritto:

“Con riferimento alla speciale disciplina del minimale contributivo previsto per il settore delle imprese edili dal D.L. n. 244 del 1995, art. 29, convertito nella L. n. 341 del 1995, e alla causa di inapplicabilità del minimale prevista dal n. 1) del D.M. 16 dicembre 1996 (emanato in forza del richiamato D.L. n. 244 del 1995, art. 29) rappresentata dalla concessione di “permessi individuali non retribuiti nel limite massimo di 40 ore annue”, la nozione di “permesso individuale” deve essere identificata con l’ipotesi di assenze dal lavoro autorizzate dal datore di lavoro per esigenze personali del singolo lavoratore e su sua richiesta e, considerata la natura della disciplina normativa, caratterizzata da rilievo pubblicistico e finalità antielusiva, il datore di lavoro, in caso di contestazione, deve fornire adeguata prova della effettiva finalizzazione della sospensione delle prestazioni lavorative all’interesse del lavoratore, al di là del dato meramente formale della presenza di una richiesta del medesimo”.

Al giudice di rinvio si demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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