Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3550 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3550 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 11917-2011 proposto da:
BANDINU LUCIANNA (c.f. BNDLNN40P55A895F), BANDINU
MELCHIORRE RAIMONDO (c.f. BNDMCH41S18A895X),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PORTUENSE

Data pubblicazione: 14/02/2014

104, presso la sig.ra DE ANGELIS ANTONIA,
rappresentati e difesi dall’avvocato CORDA PIETRO,
2014

giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –

35

contro

COMUNE DI OLBIA;

1

- intimato –

Nonché da:
COMUNE DI OLBIA (C.F. 91008330903), in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso la sig.ra ANTONIA

FILIGHEDDU ARRIGO, giusta procura a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

BANDINU LUCIANNA, BANDINU MELCHIORRE RAIMONDO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 156/2010 della CORTE
D’APPELLO DI CAGLIARI – SEZIONE DISTACCATA DI
SASSARI, depositata il 10/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato CORDA che ha

DE ANGELIS, rappresentato e difeso dall’avvocato

chiesto l’accoglimento;
udito,

per

il

controricorrente e

ricorrente

incidentale, l’Avvocato FILIGHEDDU che ha chiesto
il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il

2

rigetto del ricorso principale ed incidentale, assorbito
quello incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10 marzo 2010 la Corte di appello di

Cagliari, sezione distaccata di Sassari, condannava il
Comune di Olbia al pagamento, in favore di Luciana
Bandinu e Melchiorre Raimondo Bandinu, della somma di e
359.300,85=, oltre interessi dal 27 luglio 1983 (data di
pubblicazione della sentenza n. 223/1983 della Corte
costituzionale), a titolo di conguaglio per la cessione
volontaria – intercorsa tra Diego e Daniele Bandinu,
danti causa degli attori, ed il Comune – di alcuni
terreni, della superfice complessiva di mq. 49.756,
ubicati in località “Paule Longa”. In particolare, per
quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava
che: l) l’atto pubblico del 6 giugno 1982, con cui i
danti causa degli attori avevano ceduto i terreni de
quibus

al Comune, si inseriva nell’ambito di un

procedimento espropriativo e, pertanto, l’importo
corrisposto di lire 78.701.553 era soggetto a conguaglio
ai sensi dell’art. l della legge n. 385/1980
espressamente richiamato nell’atto; 2) a seguito della
declaratoria di incostituzionalità dell’art. 5 bis, primo
e secondo comma, del d.l. n. 333/1992 (Corte. cost. n.
348/2007) nella fattispecie non poteva applicarsi l’art.
.

3

2, comma 89 della legge n. 244/2007, in quanto tale
disposizione, modificando l’art. 37 del d.p.r. n.
327/2001, poteva applicarsi, ai sensi dell’art. 55 dello
stesso d.p.r., soltanto ai procedimenti espropriativi per

i quali la dichiarazione di pubblica utilità era
intervenuta prima del 30 giugno 2003; si doveva,
pertanto, applicare l’art. 39 della legge n. 2359/1865,
abrogato solo con riferimento alle procedure alle quali è
applicabile il citato d.p.r.; 3) applicando il criterio
analitico-ricostruttivo il valore dell’area poteva
determinarsi in lire 29.546 al mq. con riferimento al
1982. A questo risultato si poteva pervenire sulla base
degli elementi non contestati risultanti dalla consulenza
tecnica e precisamente tenendo conto che si trattava di
area edificabile ai sensi della legge n. 167/1962; che
l’area aveva una superfice di mq. 49.756; che l’indice
territoriale della zona era di 1,37 mc./mq sicchè si
poteva realizzare una volumetria di 68.162,72 mc. cui
corrispondevano mq. 22.721; che il costo di costruzione
per l’edilizia residenziale era di lire 620.000 al mq.,
secondo quanto previsto per il centro-sud dal d.p.r. n.
494/1983, emanato ai sensi dell’art. 22 della legge n.
392/1978; che il valore dell’area doveva ritenersi
incidente nella misura del 17,5%, considerata l’assenza,
all’epoca,

dei

servizi pubblici e commerciali e
4

l’ampiezza della superfice; che dal valore dell’area
doveva detrarsi il costo di urbanizzazione (le cui opere
non risultava fossero state realizzate dai cedenti) in
ragione di lire 20.000 al mq., come stimato dal c.t.u.;

4) sul conseguente credito a conguaglio di lire
1.391.406.947 (pari ad C 718.601,71) spettante agli
attori in ragione della metà, in quanto comproprietari
dell’area al 50%, erano dovuti gli interessi dal 27
luglio 1983, data di pubblicazione della sentenza che n.
223/1983 con cui la Corte costituzionale aveva dichiarato
l’illegittimità dell’art. 1 della legge n. 385/1980.
Luciana Bandinu e Melchiorre Raimondo Bandinu
propongono ricorso per cassazione, deducendo tre motivi,
illustrati anche con memoria. Il Comune di Olbia resiste
con controricorso e propone ricorso incidentale affidato
a due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono
la violazione dell’art. 39 della legge n. 2359/1865,
dell’art. 22 della legge n. 392/1978, dell’art. 2 del
d.p.r. n. 494/1983 e dello strumento urbanistico generale
del Comune di Olbia nonché il vizio di motivazione,
lamentando che la Corte di appello non aveva determinato
correttamente il valore di mercato dell’area perché: A)
l’area ceduta rientrava, secondo le previsioni del
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Programma di fabbricazione di Olbia, approvato nel 1977,
in zona B2 (ristrutturazione e completamento del centro
urbano) e in zona D1 (servizi di quartiere) con un indice
fondiario di 2 mc/mq ed un indice territoriale di 1,73

(rectius 1,37) mc/mq e, comunque, rientrava in zona già
urbanizzata (dalla relazione del c.t.u. risultava la
presenza di strade e di condotta fognaria comunale), con
conseguente erronea detrazione del costo delle opere di
urbanizzazione; B) l’area ceduta, pertanto, riguardava
per mq 42.805 lotti fondiari con un indice di
edificabilità di 2 mc/mq; C) non era stata considerata la
possibilità di realizzare uno o più piani interrati e
seminterrati per almeno un lato (non rientranti nel
computo dei volumi realizzabili); D) l’area non era
destinata per intero ad edilizia economica e popolare,
come era risultato dalla utilizzazione di una superfice
di mq. 25.056 per la costruzione di un edificio
scolastico e di mq. 7.129 per quella di una palestra; E)
gli oneri di urbanizzazione – secondo quanto previsto dal
d.p.r. n. 494/1983 emanato in applicazione dell’art. 22
della legge n. 392/1978 e tenuto presente dalla Corte di
appello per stabilire il costo di costruzione

costituivano un costo ulteriore e diverso rispetto a
quello dell’area edificabile; F) il metodo del c.d. costo
di trasformazione era stato applicato utilizzando
6

l’astratto parametro del costo di trasformazione di lire
620.000 per metro quadro di edilizia residenziale
(previsto dal d.p.r. n. 494/1983 ai fini del calcolo
dell’equo canone) anziché il prezzo di mercato di lire

650.000 al mq. ed il costo di costruzione di lire 346.000
al mq. concretamente individuati dal c.t.u.
Il motivo è fondato limitatamente al profilo sub E).
Invero, la scelta della Corte di appello di seguire il
metodo analitico-ricostruttivo e di tenere presente «il
costo base di produzione a metro quadrato» fissato con il
d.p.r. n. 494/1983 (ai sensi dell’art. 22 della legge n.
392/1978, c.d. legge sull’equo canone) comportava la
necessità di adeguarsi ai criteri con i quali tale costo
era stato determinato. In particolare, risulta dal citato
art. 22 la separata considerazione «del costo dell’area,
che non potrà essere superiore al 25 per cento del costo
di produzione», «dell’incidenza del contributo di
concessione» e «degli oneri di urbanizzazione che gravano
sul costruttore».

Ne consegue che una volta determinato

il valore dell’area nella misura del 17,5% del costo di
produzione non si poteva detrarre da tale valore il costo
delle opere di urbanizzazione, considerato dal d.p.r.
separatamente nell’ambito del costo di produzione. Il
profilo

sub

A), relativo anch’esso agli oneri di

urbanizzazione, resta assorbito.
7

Quanto al profilo

sub

B), l’adozione del metodo

analitico-ricostruttivo comporta che l’accertamento dei
volumi realizzabili sull’area non possa basarsi
sull’indice fondiario di edificabilità, bensì su quello

che individua la densità territoriale della zona,
soltanto questo includendo nel calcolo la percentuale
degli spazi all’uopo riservati ad infrastrutture e
servizi a carattere generale; inoltre, deve tener conto
anche delle spese di urbanizzazione relative alle opere
che, poste in essere dall’amministrazione, assicurano
l’immediata utilizzazione edificatoria dell’area (Cass.
24 aprile 2007, n. 9891; Cass. 16 maggio 2006, n. 11477;
Cass. 4 giugno 2001, n. 7518). Pertanto, gli indici
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territoriali; so tanto se, al momento dell’esproprio, già
vi è stata la completa urbanizzazione della zona nella
quale ricade l’area espropriata. Tale circostanza è stata
esclusa dalla sentenza impugnata (pagg. 8-9: «il c.t.u.
ha posto in risalto che in esito alla cessione il Comune
ha dato corso alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione») e non è stata adeguatamente censurata
dai ricorrenti che hanno riprodotto una tabella elaborata
dal c.t.u. per evidenziare la non retrocedibilità delle
aree, secondo la situazione venuta in essere dopo la
cessione.
8

Quanto al profilo

sub

C), è del tutto nuova la

questione, ai fini della determinazione del valore
dell’area, della realizzabilità di uno o più piani
interrati e seminterrati per almeno un lato

(quest’ultima, peraltro, da escludere rispetto ad un’area
pianeggiante, così come descritta a pag. 13 del ricorso);
tale questione, che presuppone accertamenti di fatto in
ordine alla natura del terreno ed ai relativi costi, non
può pertanto essere introdotta in questa sede.
Quanto al profilo

sub

D), la Corte di appello ha

desunto la destinazione dell’area da quanto emergeva dal
decreto di occupazione d’urgenza e dall’atto di cessione.
Tale accertamento non è stato adeguatamente censurato,
poiché i ricorrenti si sono limitati al mero riferimento
al Piano di fabbricazione del 1977, senza la descrizione
delle successive vicende.
Quanto, infine, al profilo sub F) il riferimento al
costo di produzione stabilito dal d.p.r. 494/1983 per
l’Italia centrale e meridionale appare del tutto congruo
e la relativa censura è generica poiché non espone
neppure come il diverso costo di costruzione sia stato
individuato dal c.t.u. e per quali ragioni non poteva
essere disatteso dalla Corte di merito.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la
violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 39 della
9

legge n. 2359/1985 lamentando che la Corte di appello non
si era pronunziata sulla richiesta di rivalutazione del
corrispettivo dovuto dal Comune di Olbia.
Il motivo è infondato. Il debito avente ad oggetto il

prezzo di cessione volontaria è, infatti, un debito di
valuta; ne consegue che la rivalutazione monetaria deve
essere oggetto di una specifica domanda di risarcimento
del maggior danno

ex art. 1224 c.c., che i ricorrenti

neppure hanno dedotto di avere proposto.
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art.
1499 c.c. ed il vizio di motivazione lamentando che
erroneamente gli interessi non erano stati fatti
decorrere dal giugno 1982 e cioè dal momento in cui
.

l’area era stata ceduta.
Il motivo è infondato. Questa corte ha già in più
occasioni chiarito che, in presenza di una cessione
volontaria del bene soggetto ad espropriazione, ai sensi
della L. n. 865 del 1971, art. 12, benché il prezzo di
cessione sia equiparabile all’indennità, l’eventuale
somma dovuta per conguaglio non può essere considerata,
per quanto concerne la decorrenza degli interessi, sul
medesimo piano dell’eventuale maggior somma riconosciuta
a titolo di indennità espropriativa in esito ad
opposizione alla stima. Infatti, alla cessione del bene


,

era connaturato sin da principio il meccanismo della
10

-

riscossione del credito in due tempi diversi, e ciò
impedisce di far risalire al momento stesso della
cessione la decorrenza degli interessi sulla somma dovuta
a conguaglio, se così non sia stato eventualmente

pattuito tra le parti dell’atto di cessione. D’altronde,
tali interessi hanno natura compensativa, e non
corrispettiva; e, pertanto, se essi non possono decorrere
dalla data della cessione, decorrono, ove prima della
determinazione del conguaglio sia intervenuta la sentenza
della Corte costituzionale n. 223 del 1983 (la quale,
dichiarando l’incostituzionalità del sistema dei
conguagli, ha determinato il maturare del credito al
residuo corrispettivo della cessione), dalla data della
pubblicazione di detta sentenza sulla Gazzetta Ufficiale,
ancorché il credito principale sia illiquido, in quanto
la liquidità costituisce presupposto per la decorrenza
degli interessi corrispettivi (ex art. 1282 c.c.), ma non
degli interessi compensativi (e plurimis Cass. 28 marzo
2007, n. 7645)
Con il primo motivo del ricorso incidentale il Comune
deduce la violazione dell’art. 39 della legge n.
2359/1865 ed il vizio di motivazione, lamentando che nel
computo degli oneri di urbanizzazione la Corte di
appello, indotta in errore da un refuso della consulenza
.
.

tecnica, aveva considerato l’importo di lire 20.000 a mq.
11

anziché quello realmente utilizzato dal c.t.u. di lire
20.000 a mc.; pertanto, applicando al procedimento
seguito dalla Corte di appello il corretto riferimento
dell’importo al mc anziché al mq, risultava un valore
dell’area di lire 1.101.914.100 ed un credito a

.

conguaglio di lire 1.023.212.547 (pari ad C 528.445,18)
anziché di lire 1.391.406.947 (pari ad E 718.601,71).
Il motivo è assorbito dall’accoglimento, sul punto,
del primo motivo del ricorso principale.
Con il secondo motivo condizionato il Comune contesta
la scelta della Corte di appello di avvalersi del metodo
sussidiario del costo di trasformazione anziché di quello
principale del valore di mercato, deducendo la violazione
dell’art. 39 della legge n. 2359/1865 ed il vizio di
motivazione.
Il motivo è inammissibile. La scelta del metodo
analitico ricostruttivo invece di quello sintetico
comparativo non può essere oggetto di per sé di censura,
ed è onere di chi contesta la scelta di dimostrare
l’illogicità o l’incongruenza dei risultati cui il metodo
conduce.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
questa Corte, decidendo nel merito, determina il
conguaglio dovuto dal Comune di Olbia in E 616.269,15=. A
tale importo si giunge: 1) partendo dal valore dell’area
12

accertato dalla Corte di appello e pari, senza detrazione
del costo delle opere di urbanizzazione,

a lire

2.465.228.500; 2) detraendo l’importo dell’acconto
corrisposto di lire 78.701.553; 3) computando la quota

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P . Q . M .
accoglie per quanto di ragione il primo motivo del
ricorso principale, che rigetta nel resto; rigetta il
ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, condanna il Comune di Olbia al
pagamento della somma di E 616.269,15=, oltre interessi
dal 27 luglio 1983; condanna il Comune di Olbia al
rimborso delle spese di lite liquidate, quanto al
giudizio di appello in E 8.800,00=, di cui 6.000,00 per
onorari e 800,00 per spese, oltre IVA, CP e spese
generali, e per il giudizio di cassazione in 12.2000,00=,
di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9
gennaio 2014.

del 50% spettante ai ricorrenti.

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