Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 355 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2017, (ud. 11/11/2016, dep.10/01/2017),  n. 355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28263-2015 proposto da:

AUTOSTRADE PER L’ITALIA SPA, in persona del Direttore e legale

rappresentante pro tempore e procuratore speciale, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SALARLA 95, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA GALVANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCO PELLIZZER giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

VERDERIVA SRL, in persona dell’amministratore legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUV BORSI 4,

presso lo studio dell’avvocato MAZZEO LUCA, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUCA LANDUZZI giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 827/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

14/04/2015, depositata il 29/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LAMORGESE Antonio

Pietro;

udito l’Avvocato Luca Landuzzi difensore della controricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Relatore ha depositato la seguente proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 29 aprile 2015, ha rigettato l’opposizione di Autostrade per l’Italia avverso la determinazione, operata dalla competente commissione, delle indennità di esproprio e occupazione di un terreno di proprietà della società Verderiva, utilizzato per il potenziamento del sistema tangenziale autostradale di (OMISSIS). La Corte ha ritenuto che, pur trattandosi di area inedificabile, in guanto ubicata in fascia di rispetto stradale, sin dagli anni sessanta non era utilizzata per attività agricole, ma per attività commerciali (e, nel caso della Verderiva, per la rivendita di automobili), essendo presenti capannoni, impianti sportivi, parcheggi ecc.; pertanto, correttamente, suo avviso, l’indennità era stata determinata in relazione al valore di mercato del bene, anzichè al solo valore agricolo invocato dall’opponente.

Autostrade per l’Italia ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito la Verderiva.

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, comma 1, in relazione al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 16, D.P.R. n. 495 del 1992, art. 26, L. n. 729 del 1961, art. 9, L. n. 765 del 1967 e D.M. 1 aprile 1968, n. 1404: si imputa alla Corte di merito di avere determinato il valore del bene senza considerare che era legalmente inedificabile (essendo inserito in fascia di rispetto stradale), circostanza che avrebbe dovuto indurla ad applicare il criterio del valore agricolo, a norma del D.P.R. del 2001, art. 40, comma 1, prescindendo dalle possibili o effettive utilizzazioni diverse da quella agricola che invece erroneamente aveva valorizzato. La tesi della ricorente è che la sentenza della Corte cost. n. 181 del 2011, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio dei beni non edificabili fondato sui cd. VAM (D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, commi 2 e 3, e D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis conv. in L. n. 359 del 1992, in relazione alla L. n. 865 del 1971, art. 15, comma 1, secondo periodo, e art. 16, commi 5 e 6), non avendo investito il D.P.R. del 2001, art. 40, comma 1 avrebbe lasciato integro il criterio del valore agricolo per i terreni inedificabili, con la conseguenza che non sarebbe consentito valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da quella agricola.

Il motivo è manifestamente infondato.

Come puntualizzato dalla Corte cost. (sent. n. 181/2011, al p. 8 del considerato in diritto) e puntualmente obiettato dalla controricorrente, il citato art. 40, comma 1 “concerne l’esproprio di un’area non edificabile ma coltivata (il caso di area non coltivata è previsto dal comma 2)”, in relazione alla quale il criterio del valore agricolo è stato ritenuto conforme a Costituzione in ragione della mancata previsione del valore agricolo medio e della concretezza del riferimento normativo alle colture effettivamente praticate sul fondo e al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola.

Premesso che, quando il bene espropriato non sia effettivamente coltivato (come è pacifico nel caso in esame), trattandosi di area adibita (legittimamente) ad attività commerciale, siamo evidentemente fuori dall’ambito applicativo del primo comma, è opportuno puntualizzare che il riferimento al “valore agricolo” dei terreni coltivati fotografa nient’altro che il concreto valore di mercato di una determinata tipologia di beni (quelli agricoli o inedificabili coltivati), ma non reintroduce in alcun modo un criterio astratto e diverso da quello del valore di mercato il quale è l’unico applicabile (v. Cass. n. 18434/2013). E’ significativa contenuta nella citata sentenza p. 6, secondo cui lo scrutinio costituzionale ha riguardato sia la precisazione, n. 181/2011, al di legittimità i suoli agricoli sia quelli non edificabili. Se finirebbe, altrimenti, per reintrodurre un criterio astratto basato sul valore agricolo per beni non utilizzati come tali, cioè non coltivati, in violazione della ratio ispiratrice della giurisprudenza costituzionale.

Il secondo motivo denuncia omessa o apparente motivazione in ordine ai criteri di determinazione del valore del bene espropriato, contestando le conclusioni del c.t.u.

Il motivo è inammissibile, essendo strumentale alla revisione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito, la cui censurabilità non è più riferibile alla mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione, a norma del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014). La doglianza secondo la quale nella determinazione del valore del bene sarebbe stata erroneamente valutata un’attività di mostra e parcheggio svolta senza autorizzazione, introduce una questione di fatto non riesaminabile in questa sede.

Il Collegio condivide la predetta relazione.

La ricorrente ha presentato una memoria in senso critico nella quale ha dedotto l’omessa considerazione del carattere abusivo, già evidenziato nel giudizio di merito, dell’attività di mostra e parcheggio. Si tratta, tuttavia, di una questione di fatto che avrebbe dovuto essere non solo allegata ma dimostrata nel giudizio di merito, atteso che l’inedificabilità legale non comporta di per sè il divieto di svolgimento di qualsiasi attività e neppure di quelle commerciali.

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Sussistono i presupposti per il pagamento da parte del ricorrente dell’ulteriore contributo previsto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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