Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 355 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 10/01/2011), n.355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13015-2005 proposto da:

M.C., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso lo studio dell’avvocato CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato MANTOVANI ANDREA;

– ricorrenti –

contro

M.R. C.F. (OMISSIS), M.C.

C.F.(OMISSIS), M.G. C.F. (OMISSIS),

M.O. C.F. (OMISSIS), M.D. C.F.

(OMISSIS), A.L. ved. M. C.F.

(OMISSIS), M.A., C.F. (OMISSIS), M.

A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA EUSTACHIO MANFREDI 17, presso lo studio dell’avvocato

MAZZA’ MARIO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

M.M., M.G., M.P., M.R.,

ME.MA., ME.Ma., M.T., M.

C., M.D., M.P., M.C.,

ME.CE., M.C., ME.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 11/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nel la pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Claudio Coggiatti con delega depositata in udienza

dell’Avv. Mantovani Andrea difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Susanna Mazze con delega depositata in udienza dell’Avv.

Mazza Mario difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.L., vedova di M.A. deceduto nel (OMISSIS), adiva il Pretore di Trento, sezione distaccata di Cles, per la dichiarazione di usucapione ai sensi della L. n. 346 del 1976 in relazione a varie particelle di terreno site in comune di (OMISSIS).

Avverso il decreto dichiarativo dell’avvenuta usucapione emesso l’1.2.1999, proponevano opposizione M., P., A., C., Cl. e M.G., i primi cinque figli e coeredi di M.C., la sesta figlia e coerede di M. O., e tutti nipoti ex figlio di M.A., intestatario tavolare dei beni, deducendo di essere compossessori iure ereditario degli immobili, e di non esserne mai stati estromessi dalla A..

Quest’ultima nel resistere all’opposizione contestava il dedotto compossesso, sostenendo di aver posseduto i beni in via esclusiva sin dalla morte del coniuge.

Integrato il contraddittorio nei confronti degli altri figli di M.A., o dei loro aventi causa, e cioè dei figli An., M. e Me.Gi., dei nipoti, T., G., A., Ce., ce., O. e R., figli di Me.At. e della stessa A.L., di D. e Me.Cl. e D.T., i primi due figli, insieme con G., già costituita, di M.O. e la terza moglie di quest’ultimo, nonchè di M.A.P. e Mi.Ro., il primo figlio, la seconda moglie di M. L., di M.M., figlia di Me.Ci. e sorella degli opponenti, e di Me.Ce., figlio scomparso di A., in persona del curatore speciale avv. Annarosa Molinari, il Tribunale di Trento (per competenza sopravvenuta ex D.Lgs. n. 51 del 1999) rigettava l’opposizione.

L’appello di M., P., A., C., Cl. e M.G. era respinto dalla Corte d’appello di Trento con sentenza n. 4 dell’11.1.2005, sulla base di una diversa motivazione.

Mentre, infatti, il giudice di primo grado aveva valorizzato la sufficienza delle prove raccolte al fine della dimostrazione del possesso esclusivo dell’ A. e dell’estromissione degli eredi di M.A., la Corte territoriale osservava che, incontestato in causa il dato storico della piena “disponibilità” da parte della A. degli immobili oggetti di causa, a decorrere dalla morte del marito di lei, avvenuta nel (OMISSIS), poteva prescindersi dalla questione relativa all’accettazione dell’eredità di M.A.. Infatti, osservava il giudice d’appello, una comunione sì era potuta strutturare esclusivamente tra i coeredi dello stesso e i loro aventi causa, tra cui non era possibile includere l’ An. in quanto la stessa non poteva annoverarsi tra i coeredi dei marito At. (figlio, s’è detto, di A.). Questi, infatti, era deceduto prima dell’entrata in vigore della L. n. 151 del 1975, di riforma del diritto di famiglia, con la conseguenza che alla An., in quanto coniuge, competeva soltanto l’usufrutto del patrimonio ereditario per la quota di un terzo. Pertanto, il possesso di lei non poteva essere giustificato nè da una situazione di compossesso connesso alla comunione ereditaria formatasi alla morte del suocero, nè dalla sua qualità di mera usufruttuaria dei beni del marito, dal momento che la quota spettante a quest’ultimo sull’eredità del padre non era stata materialmente individuata.

Di conseguenza, concludeva la Corte, la An. non era onerata della prova dell’interversio possessionis, essendo sufficiente il possesso pacifico e ininterrotto degli immobili in questione, esercitato “a titolo personale uti dominus”.

Nè, infine, aveva significato l’asserito riconoscimento di una situazione di compossesso contenuto negli scritti difensivi della An. in una vertenza del 1982 con il cognato ci., atteso che, nessuna comunione essendosi mai instaurata tra la stessa e gli eredi di M.A., eventuali ammissioni sarebbero state giuridicamente errate e irrilevanti.

Avverso detta sentenza C. e M.A. propongono ricorso per Cassazione con due motivi.

Resistono con controricorso An.Lu. e R., O., T., ce., An., G., e M.A..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1164 c.c. Partendo dall’esatto presupposto che An.Lu. fosse usufruttuaria per un terzo dei beni del marito, a sua volta erede dell’intestatario catastale degli immobili, la Corte d’appello ha, però, errato nel sostenere che il possesso esercitato dalla An. non potesse essere giustificato dalla qualità di mera usufruttuaria, di talchè ella non era onerata della prova di aver mutato il titolo del possesso stesso, perchè non ha considerato il disposto dell’art. 1164 c.c. e la relativa, costante interpretazione giurisprudenziale, per cui il titolare dello ius in re aliena il quale intenda provare di aver posseduto a fini utili per l’usucapione di un diverso diritto, ha l’onere di provare l’interversione del possesso, che deve esteriorizzarsi in modo inequivocabile e riconoscibile. I giudici d’appello, pertanto, avrebbero dovuto verificare in primis se dall’istruzione probatoria fosse emersa prova di tale manifestazione esteriore, cioè della sostituzione dell’animus detinendi dell’usufruttuario nell’animus rem sibi habendi, indispensabile per l’usucapione. Al contrario, la Corte trentina ha ritenuto che non fosse necessaria tale verifica, essendo sufficiente la prova del mero godimento dei beni. E con ragionamento di non agevole comprensione ha giustificato la propria decisione in base al rilievo che la quota di spettanza del coniuge defunto di An.Lu. non era stata materialmente individuata, il che impediva di identificare i beni posseduti a titolo di usufrutto. Per contro, è agevole replicare – prosegue parte ricorrente che l’usufrutto di quota indivisa grava sull’intero bene, avendosi in tal caso una comunione di godimento tra l’usufruttuario e gli altri comproprietari.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1165 e 2944 c.c.. Gli opponenti avevano in ogni caso eccepito l’interruzione del decorso dell’eventualepossessio adusucapionem per effetto del riconoscimento da parte della An. del loro diritto di proprietà sui fondi in questione, contenuto in un ricorso per reintegrazione nel possesso proposto in data 16.4.1982 nei confronti di Me.Ci., fratello di Me.At.. Questo il tenore della dichiarazione processuale, “La ricorrente è con i figli O. e R. ed altri comproprietaria delle pp.ff. 1022/2 e 1022/1 c.c. (OMISSIS) e coi figli ne ha l’esclusivo possesso. Di fatto lavora da molti anni i due fondi che sono destinati a campo di patate. Poco tempo fa Me.

C. di (OMISSIS) ha invaso i due fondi scaricando del legname ed impedendo pertanto la continuazione della coltivazione.

Per maggiore illustrazione dei fatti è da precisare che Me.

C. ha insistito in passato perchè si addivenisse alla divisione di tutti i beni, compresi quelli oggetto della presente causa, ma per difficoltà obiettive detta divisione non è ancora avvenuta”. Gli opponenti hanno dedotto sia in primo, sia in secondo grado che tali dichiarazioni hanno contenuto confessorio, in quanto contenute in uno scritto difensivo, quale il ricorso per reintegrazione del possesso, che reca a margine la sottoscrizione della parte, e che implicava, pertanto, il riconoscimento del loro diritto di proprietà sui fondi. La Corte d’appello ha, però, ritenuto di nessun significato la circostanza, in quanto non sì sarebbe instaurata a suo dire alcuna comunione ereditaria tra la An. e gli eredi di M.A., sicchè eventuali ammissioni sarebbero giuridicamente errate e irrilevanti. Per contro, il riconoscimento del diritto interrompe il decorso della c.d.

prescrizione acquisitiva in quanto sintomatico della volontà di attribuire il diritto reale al suo titolare, e ciò che importa è che esso provenga da colui il quale si afferma possessore ad usucapionem. In altri termini, concludono i ricorrenti, è rilevante l’oggetto del riconoscimento.

3. – Il primo motivo è fondato, e assorbe l’esame del secondo.

3.1. – Non è del tutto chiaro cosa abbia inteso affermare la Corte di merito lì dove ha sostenuto che il possesso della A. non poteva essere giustificato nè da una situazione di compossesso connesso alla comunione ereditaria formatasi alla morte del suocero, nè dalla sua qualità di mera usufruttuaria dei beni del marito, dal momento che la quota spettante a quest’ultimo sull’eredità del padre non era stata materialmente individuata. Sembra, tuttavia, che il giudice d’appello, esclusa la partecipazione della An. alla comunione ereditaria sui beni del suocero, Me.An., in quanto legataria ex lege e già non erede del marito, Me.

A., abbia inteso escludere anche un possesso di lei quale usufruttuaria, per difetto, manente comunione, di individuazione della porzione di beni corrispondenti alla quota ereditaria del coniuge premorto.

3.1.1. – E’ per contro da osservare, com’è questa Corte ha avuto modo di affermare, che il coniuge superstite, nella sua qualità di legatario ex lege, è investito fin dal momento dell’apertura della successione di un diritto reale, che lo rende partecipe della comunione ereditaria e che si configura come un usufrutto diffuso pro- quota su tutto il compendio ereditario e ricadente, quindi, su tutti i singoli beni che ne fanno parte. Il possesso che egli eserciti assieme agli eredi rispetto a uno di questi beni trova dunque radice in una comunione incidentale impropria o di godimento fra diritti qualitativamente e quantitativamente eterogenei, nel senso che la cosa e goduta per una quota dagli eredi, a titolo di proprietà, e per l’altra da lui a titolo di usufrutto (così, Cass. n. 3097/74).

Lo stato di indivisione della comunione ereditaria, pertanto, non è di ostacolo a che il possesso esercitato dal coniuge legatario ex lege su taluni beni ereditari, sia qualificabile come possesso a titolo di usufrutto per la quota spettante ai sensi dell’art. 581 c.c. nel testo vigente ante L. n. 151 del 1975.

3.1.2. – La configurabilità di tale comunione impropria (o meglio, di un concorso di diritti reali differenti per tipo: cfr. Cass. n. 8727/05), non fa venire meno nel rapporto tra usufruttuario e nudo proprietario la regola per cui i primo, possessore rispetto ai terzi, è rispetto a quest’ultimo mero detentore del bene (cfr. Cass. nn. 346/67 e 762/76), con il corollario che egli può usucapirne la proprietà solo ponendo in essere un atto di interversione, esteriorizzato in maniera inequivocabile e riconoscibile, vale a dire attraverso un’attività durevole, contrastante e incompatibile con il possesso altrui.

3.2. – Il giudice d’appello non ha considerato nè il particolare rapporto di detentore a possessore solo animo che intercede tra usufruttuario e nudo proprietario (con la conseguente applicabilità della regola dell’art. 1141 cpv. c.c.), nè la circostanza che ai sensi dell’art. 1164 c.c. chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapirne la proprietà, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Tale norma richiede pur sempre, affinchè possa configurarsi l’opposizione al diritto del proprietario, una condotta inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti usufructuarius, per il lasso di tempo necessario affinchè maturi l’acquisto della proprietà esclusiva per usucapione.

3.2.1. – Nella specie, è rimasto accertato dal giudice d’appello unicamente il “dato storico della piena disponibilità” (rectius, godimento) “degli immobili oggetto di causa da parte dell’ An. a decorrere dalla data della morte del marito At. avvenuta nel (OMISSIS)”. Circostanza, questa, che non contiene in sè anche la prova dell’interversione del possesso in danno degli eredi comproprietari dei beni stessi, necessaria affinchè tale potere di fatto si convenisse in possesso utile per l’usucapione della proprietà esclusiva. Prova, questa, che non è stata offerta, come si ricava dalla circostanza per cui il giudice di secondo grado ha rigettato l’appello sul presupposto, errato, che non occorresse prestarla.

3.3. – Ne deriva l’infondatezza della domanda, che emerge senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto.

4. – Per quanto sopra considerato, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al primo motivo, assorbito il secondo, per cui, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1 (testo previgente al D.Lgs. n. 40 del 2006), deve essere revocato il decreto emesso ai sensi della L. n. 346 del 1976 e rigettata la domanda di usucapione proposta dalla An..

4.1. – La buona fede iniziale della parte attrice in senso sostanziale costituisce giusto motivo per l’integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al primo motivo, assorbito il secondo, e decidendo nel merito revoca il decreto ex L. n. 346 del 1976 e rigetta la domanda di usucapione.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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