Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3549 del 13/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3549 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso 13875-2007 proposto da:
POCCHIA

PASQUALE

PGCPQL53E29H839K,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PRATI FISCALI 258, presso lo
studio dell’avvocato BFRARDI PIERGIORGIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
TORNIELLI LORENZO giusta delega in atti;
– ricorrente

2012

contro

2062

FIDITALIA

S.P.A.

08437820155

in

persona

del

Procuratore Dott. SAMUELE RONCATI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VLE DELLE MILIZIE l, presso

lo

Data pubblicazione: 13/02/2013

studio

dell’avvocato

SPINOSO

ANTONIO,

che

la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALLI
MILENA giusta delega in atti;

con troricorrente

avverso la sentenza n. 747/2006 della CORTE D’APPELLO

1141/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2012 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato LORENZO TORNIELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto;

di MILANO, depositata il 22/03/2006, R.G.N.

R.g.n. 13875-07 (ud. 12.12.2012)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§ I. Pasquale Pocchia ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Fiditalia (già
Credit-cone Creditfiditalia s.p.a.) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano del
22 marzo 2006, la quale ha rigettato l’appello da lui proposto contro la sentenza del
Tribunale di Milano, che nel giugno 2003, provvedendo sulla domanda introdotta nel
gennaio del 1997 dal Pocchia contro detta società per ottenere l’accertamento negativo

dell’esistenza di un credito da essa vantato nei suoi riguardi in relazione ad un preteso
finanziamento per l’acquisto — per quello che si legge nella sentenza impugnata – di un
personal computer e di un’enciclopedia su supporto magnetico dalla s.r.l. S.B.F. (domanda
che era stata proposta congiuntamente a quella di accertamento della inesistenza,
inefficacia o risoluzione del contratto di acquisto, riguardo alla quale, invece, il rapporto
processuale con la detta sr.!. non si era perfezionato), la rigettava ed accoglieva, invece, la
domanda riconvenzionale della s.p.a. di condanna del Pocchia al pagamento della somma
oggetto del credito.
§1.1. Al ricorso ha resistito con controricorso la s.p.a. Fiditalia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio: l’esistenza del contratto di finanziamento tra la Fiditalia s.p.a. (prima
Credit-con, poi temporaneamente Creditfiditalia).
Il motivo è inammissibile, perché non si conclude con né contiene il momento di
sintesi espressivo della “chiara indicazione” cui alludeva l’art. 366-bis c.p.c. [nei termini
enunciati già da Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 (secondo cui <>) e Cass.
sez. un. (ord.) n. 20603 del 2007 (secondo cui <>) e, quindi, dalla
consolidata giurisprudenza della Corte].
§1.1. Qualora, nelle inespresse intenzioni del ricorrente, la funzione di momento di
sintesi dovesse ritenersi affidata alla proposizione finale in neretto con cui si conclude
l’illustrazione del motivo, si dovrebbe rilevare l’assoluta inidoneità di essa ad assolvere al
requisito nei termini indicati dalla ricordata giurisprudenza, atteso che si omette qualsiasi,
ancorché riassuntiva, come nella logica del momento di sintesi, specificazione delle ragioni
della pretesa insufficienza o contraddittorietà di motivazione.
Né l’indicazione di una ragione si potrebbe intravedere in un preteso contrasto logico
tra un riconoscimento della mancata produzione del documento relativo al contratto e la
successiva affermazione dell’esistenza di tale contratto, posto che, rimanendo su un piano
meramente astratto e scevro di qualificazione giuridica, ben è possibile che, mancata la
produzione del documento rappresentativo di un contratto, la sua esistenza possa desumersi
aliunde, cioè attraverso distinte risultanze probatorie.

La finale proposizione di cui si è detto appare pertanto del tutto inidonea ad integrare
un idoneo momento di sintesi.
§1.2. Ove si potesse procedere alla lettura dell’illustrazione del motivo se ne
dovrebbe ravvisare un’ulteriore ed assorbente ragione di inammissibilità, atteso che vi si fa
riferimento ad una parte di motivazione della sentenza, che viene riprodotta, ma la si tronca
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Est. Con

ffaele Frasca

R.g.n. 13875-07 (ud. 12.12.2012)

omettendo di riferire quello che essa argomenta di seguito (pagina sei della sentenza),
sicché il motivo non appare correlato all’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.
E tanto ne determina inammissibilità alla stregua del consolidato insegnamento della Corte,
di cui a Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerosissime conformi.
§2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ” violazione
o falsa applicazione di norma di legge: art. 2697 c.c.”.
L’illustrazione del motivo è conclusa la seguente quesito di diritto: <>.
§2.1. Il motivo è inammissibile, perché tale quesito è assolutamente inidoneo ad
assolvere al requisito di cui all’art. 366-bis c.p.c., in quanto pone un interrogativo del tutto
astratto e privo di alcun riferimento alla decisione impugnata.
L’art. 366-bis c.p.c. (ora abrogato dalla 1. n. 9 del 209, ma, peraltro, rimasto ultrattivo
ai sensi del quinto comma dell’art. 58 della legge, e non abrogato in via retroattiva e,
quindi, in quanto regolante la proposizione del ricorso al momento in cui è stato proposto,
ancora ad esso applicabile), infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse
concludere il motivo, imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la
prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del
procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva
concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione
impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto
oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per
concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento
riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui
il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato — ancorché succintamente – perché
l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come
decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto,
un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonché n.
6420 del 2008).

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Est. Cons. ìafae1e Frasca

R.g.n. 13875-07 (ud. 12.12.2012)

E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare
se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare
perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di
contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla
regola dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per cui all’assolvimento del requisito non
poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche
privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano

funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza
che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a
pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui al terzo comma
dell’art. 156 c.p.c., posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto
come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che
il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di
contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi
con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era
parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi
compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007;
(ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.).
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.e. non può
determinare — in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha
mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro
provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi
proposti antecedentemente e non ancora decisi — l’adozione di un criterio interpretativo
della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della
nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche
con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della
Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12, primo
comma, delle preleggi, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del
legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto pili processuale, e la lascia ultrattiva o
comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas
nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente
6
Est. Cons. Ràffaek Frasca

R.g.n. 13875-07 (ud. 12.12.2012)

all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede
l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a
dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e,
quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario,
debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorché, in ipotesi, l’eco dei lavori
preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata
anche e proprio dall’esegesi che della norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un

criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione
impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la
previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris
significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perché il contrario interesse
non è stato ritenuto degno di tutela.
Nel caso di specie il quesito omette qualsiasi riferimento alla vicenda processuale
concreta e alla motivazione della decisione impugnata e fra l’altro è anche espresso con un
riferimento ad un “differente contratto” del tutto incomprensibile e non spiegato, pur con la
sommarietà funzionale all’assolvimento dell’onere dell’art. 366-bis c.p.c.
Sicché anche una risposta alla sua astrattezza sarebbe in iure impossibile.
Il secondo motivo è, dunque, inammissibile perché si conclude con un quesito
inidoneo al rispetto dell’art. 366-bis c.p.c.
§2.2. Se si procedesse alla lettura dell’illustrazione, il motivo risulterebbe
inammissibile per mancanza di correlazione alla motivazione della decisione impugnata,
atteso che non si individua la parte della motivazione con cui la Corte territoriale avrebbe
commesso l’errore di diritto che le si imputa.
§2.3. Si deve, poi, aggiungere che l’illustrazione risulta inosservante dell’art. 366 n.
6 c.p.c., giacché non individua in quale parte dell’atto introduttivo del giudizio <> si sarebbe basata
<>.
§2.4. Inoltre, la lettura della motivazione della sentenza impugnata alla pagina sei
evidenzia una serie di argomentazioni ignorate dal motivo che danno ragione del perché sia
stato ritenuto provato il rapporto contrattuale nonostante che la resistente avesse rinunciato,
di fronte alla querela di falso, a valersi del documento con cui, costituendosi in giudizio
aveva inteso provare il rapporto. Onde, nuovamente il motivo no si correla alla
motivazione.

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Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 13875-07 (ud. 12.12.2012)

Il sommario argomentare viene svolto, del resto, ignorando totalmente che il giudizio
era insorto con la proposizione di un’azione di accertamento negativo dell’esistenza del
credito, che onerava lo stesso Pocchia della prova dei fatti dimostrativi della insussistenza,
essendo, invece, riferibile alla società l’onere relativo alla sua domanda riconvenzionale e
dovendo i due oneri individuarsi in concreto al lume di quanto l’uno e l’altra avevano
dedotto a sostegno delle rispettive azioni.
§3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. “violazione o

L’illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto: <>.
§3.1. Il quesito è nuovamente del tutto astratto, oltre che anch’esso incentrato su un
ambiguo riferimento al “differente contratto”.
Inoltre, se si procedesse alla sua lettura nessuna argomentazione vi si coglierebbe per
spiegare come e perché in iure sarebbe avvenuto il rilievo d’ufficio.
In fine nuovamente la breve illustrazione risulta sganciata dalla motivazione della
sentenza impugnata.
Il motivo è, dunque, inammissibile per queste plurime ragioni.
4. Un quarto motivo si deduce in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., “omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il
giudizio: l’adempimento dell’obbligazione in capo alla Fiditalia a favore della S.B.F.
Relativa alla posizione del signor Pocchia”.
L’illustrazione del motivo non è conclusa da né contiene il momento di sintesi
espressivo della cosiddetta chiara indicazione, di cui all’arte 366-bis c.p.c., nei termini di
cui alla già ricordata giurisprudenza di questa Corte.
Né tale momento di sintesi si potrebbe, nuovamente in mancanza di indicazione
come tale da parte del ricorrente ravvisare nella seguente espressione finale: <>.
Il quesito di diritto nuovamente si presenta astratto, in quanto non fa riferimento in
modo chiaro né alla vicenda dello svolgimento processuale di cui è processo, né alla
motivazione della decisione impugnata, onde difetta nuovamente di conclusività.
Se il quesito potesse considerarsi idoneo ala stregua dell’art. 366-bis c.p.c. porrebbe,
poi, un interrogativo giuridico al quale non si vede come potrebbe darsi risposta favorevole
al ricorrente: invero, se l’eccezione di nullità per mancanza del requisito della forma scritta
con riguardo alla fattispecie normativa evocata è eccezione in senso stretto, cioè rilevabile
soltanto ad istanza della parte che rivesta la qualità di consumatore, tanto ove essa agisca in
accertamento negativo riguardo ad un contratto che avrebbe dovuto essere regolato da essa,
quanto se venga convenuta dalla controparte, l’allegazione nel primo caso come fatto
costitutivo della domanda è doverosa e, quindi, il ricorrente la doveva fare con la citazione
introduttiva, mentre nel secondo caso, non dipendendo la sua proponibilità dalla mancata
dimostrazione della forma scritta da parte dell’avversario, essa è soggetta al regime delle
eccezioni in senso stretto, che all’epoca era applicabile e, quindi, a quello emergente
all’allora art. 180, secondo comma, c.p.c. Onde non si comprende il senso giuridico del
quesito, là dove vorrebbe che l’eccezione si dovesse ritenere proponibile con l’atto di
appello quale eccezione che prima non sarebbe stata proponibile.
L’incongruenza del quesito evidenzierebbe l’infondatezza del motivo.

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Est. Cons Raffe1e Frasca

R.g.n. 13875-07 (ud. 12.12.2012)

§7. Con un settimo motivo è lamentata, in relazione all’arte 360 numero tre c.p.c., ”
violazione o falsa applicazione di norma di diritto: arte 121,100 24,117 e 127 del decreto
legislativo numero 385 del 1 settembre 1993 testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia”.
L’illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto: <

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