Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3549 del 10/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 10/02/2017, (ud. 23/11/2016, dep.10/02/2017),  n. 3549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17460-2014 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 155,

presso lo studio dell’avvocato MANUELA MORDIOLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato NADIA TRIFIRO’ giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 428/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato NADIA TRIFIRO’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Avendo B.S., quale locatrice di un immobile ad uso abitativo, intimato sfratto per morosità e citato per la convalida davanti al Tribunale di Ravenna T.S. quale conduttore, e non essendosi il Trinca opposto, veniva dichiarata la convalida. In sede di esecuzione, peraltro, si opponeva in loco S.S., adducendo di essere succeduta L. n. 392 del 1978, ex art. 6 al T. nel contratto in quanto sua convivente con prole naturale; la S. proponeva quindi opposizione all’esecuzione, e quest’ultima veniva sospesa dal giudice dell’esecuzione che, con decreto ex art. 415 c.p.c., fissava l’udienza di discussione per il 12 febbraio 2013, udienza che era poi anticipata al 22 gennaio 2013 su istanza della B., la quale si era costituita chiedendo la conferma dello sfratto e in subordine, in via riconvenzionale, l’accertamento della morosità di S.S. e la risoluzione del contratto per suo inadempimento con condanna a pagarle i canoni maturati. Il giudice dell’esecuzione disponeva la chiamata in causa del T., che si costituiva chiedendo la conferma dell’ordinanza di convalida e, in subordine, la condanna della S. a pagare i canoni e a rimborsarlo di quanto da lui pagato alla locatrice dopo avere lasciato l’immobile.

Qualificata la domanda come opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c., il Tribunale di Ravenna, con sentenza del 24 giugno 2013, la respingeva, condannando solidalmente la S. e il T. a rifondere alla B. le spese processuali. Proponeva appello S.S. e si costituiva resistendo B.S., chiedendo in subordine che, accertato il subentro e la morosità della S. dal febbraio 2012, fosse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento di quest’ultima e che fosse condannata altresì al pagamento dei canoni fino al rilascio. Con sentenza del 7 febbraio-19 marzo 2014 la Corte d’appello di Bologna ha accolto quello che ha definito l'”appello principale” proposto dalla S., dichiarandone il subentro nel contratto ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 6 così come integrato dalla sentenza n. 404/1988 della Corte Costituzionale, e poi, decidendo sulla “domanda riconvenzionale proposta dalla appellata nella comparsa di risposta del giudizio di opposizione di terzo (risoluzione del contratto e condanna di S.S. al pagamento dei canoni dovuti)”, l’ha ritenuta fondata perchè quale conduttrice la S. avrebbe dovuto pagare i canoni: pertanto ha dichiarato l’inefficacia nei confronti di S.S. dell’ordinanza di convalida dello sfratto e, accogliendo la domanda riconvenzionale, ha dichiarato risolto il contratto locatizio e condannato S.S. a pagare i canoni dovuti dal febbraio 2012 fino alla sentenza d’appello, per l’importo di Euro 18.998.

2. Ha presentato ricorso S.S. sulla base di un unico motivo, denunciante, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 418 c.p.c..

La ricorrente anzitutto osserva che il Tribunale non aveva deciso sulle domande riconvenzionali proposte dalla B. e dal T., che ella pertanto non avrebbe potuto impugnare in appello. Inoltre adduce che non avrebbe accettato il contraddittorio e non si sarebbe difesa su di esse, “anche perchè non le è stata data la possibilità”. Invero, decidendo sulla domanda riconvenzionale della B., la corte territoriale avrebbe violato l’art. 418 c.p.c., comma 1, perchè il Tribunale – non avendo la B. chiesto ai sensi della suddetta norma la modifica del suo decreto ex art. 415 c.p.c. di fissazione dell’udienza – non aveva emesso un nuovo decreto di fissazione dell’udienza stessa, onde la domanda riconvenzionale sarebbe incorsa in decadenza; al contrario, il giudice di prime cure aveva addirittura anticipato l’udienza originariamente fissata, su istanza della B..

Osserva la ricorrente che il procedimento da lei avviato di opposizione allo sfratto è stato sommario, e che, una volta concluso, gli è succeduto un giudizio a cognizione piena disciplinato dal rito del lavoro nella sua forma locatizia ex art. 447 bis c.p.c., per cui a questo avrebbe dovuto applicarsi l’art. 418 c.p.c. Nè d’altronde l’accettazione del contraddittorio porterebbe efficacia sanante, ma anzi la decadenza della domanda riconvenzionale sarebbe rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità. Nel caso in esame il difetto nella instaurazione del contraddittorio non fu rilevato nè dal Tribunale nè dalla Corte di appello. La ricorrente aggiunge poi che avrebbe potuto difendersi in merito rispetto alla domanda riconvenzionale della B. (indica al riguardo alcuni elementi fattuali) e conclude chiedendo che sia cassato il secondo capo della sentenza impugnata, che attiene appunto alle domande riconvenzionali.

Gli intimati B.S. e T.S. non hanno svolto alcuna difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è fondato.

Va premesso che il ricorso è stato notificato al T. presso il difensore, benchè non risulti essersi costituito il T. nel giudizio d’appello: peraltro, il T. non ha interesse rispetto a quanto addotto nel ricorso, che concerne esclusivamente il rapporto tra la S. e la B., rapporto nei cui confronti non è configurabile un necessario litisconsorzio che lo investa. Pertanto, dato atto di ciò, il ricorso può comunque essere vagliato.

L’unico motivo, a ben guardare, si concentra sulla denuncia di violazione dell’art. 418 c.p.c., comma 1, che non risulta essere mai stata lamentata nei gradi precedenti. Tuttavia corrisponde all’insegnamento di questa Suprema Corte quanto la ricorrente adduce, nel senso che in conseguenza della violazione dell’art. 418, comma 1, la domanda riconvenzionale incorre in insanabile decadenza o comunque diventa inammissibile e che ciò può essere rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado, incluso il giudizio di legittimità (v. Cass. sez. 3, 16 novembre 2007 n. 23815 – per cui “nelle controversie soggette al rito di cui agli artt. 409 e segg. c.p.c. l’inosservanza dell’onere, posto dall’art. 418 c.p.c. a carico del convenuto, di chiedere la fissazione di una nuova udienza comporta la decadenza dalla riconvenzionale e l’inammissibilità di questa, decadenza che non è sanata dall’emissione da parte del giudice, in difetto della specifica istanza, del decreto di fissazione della nuova udienza o dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte o per aver quest’ultima sollevato l’eccezione esclusivamente nel corso del giudizio di appello e che, attenendo alla regolarità del contraddittorio, è rilevabile anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo” – e le conformi Cass. sez. 3, 17 maggio 2005 n. 10335, Cass. sez. 3, 24 febbraio 2003 n. 2777, Cass. sez. L, 21 luglio 2001 n. 9965; da ultimo sulla inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta in violazione dell’art. 418 c.p.c. cfr. pure Cass. sez. 3, 26 maggio 2014 n. 11679). D’altronde l’opposizione della convivente L. n. 392 del 1978, ex art. 6 è stata correttamente qualificata dal Tribunale – non smentito sul punto dalla Corte d’appello come opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c., comma 1, (già Cass. sez.3, 10 ottobre 1997 n. 9868 aveva specificamente riconosciuto che la ex convivente con prole succeduta nel contratto locatizio per effetto della sentenza 7 aprile 1988 n. 404 della Corte Costituzionale prima dell’inizio del giudizio è legittimata a proporre opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c., comma 1, avverso lo sfratto per morosità convalidato nei confronti del conduttore ex convivente) ed è pertanto assoggettata al rito locatizio in forza degli artt. 405 e 406 c.p.c. (cfr. Cass. sez. L, 5 ottobre 2000 n.13255, che, in motivazione, rileva come “le circostanze che l’opposizione debba esser proposta dinanzi allo “stesso giudice” che ha pronunziato la sentenza e “secondo le forme prescritte per il procedimento davanti a lui” (art. 405 c.p.c., comma 1), e che davanti a tale giudice debbano osservarsi “le norme stabilite per il procedimento davanti a lui…” (art. 406 c.p.c.) contengono il rinvio… alle formalità di introduzione del procedimento ed al rito da seguire”).

Dal momento che, poi, dagli atti emerge che la B. ha proposto le sue domande riconvenzionali non già nella fase attinente alla sospensione dell’esecuzione – cui pure aveva partecipato -, bensì quando si è costituita nel susseguente giudizio di cognizione piena, deve quindi riconoscersi che dette domande sono state proposte con modalità tali da renderle inammissibili, non avendo la B. presentato la necessaria correlativa istanza ex art. 418 c.p.c., comma 1, di modifica del decreto di fissazione di udienza che era stato pronunciato ex art. 415 c.p.c..

La corte territoriale ha dunque errato, come lamenta la ricorrente, nel decidere nel merito tali domande, di cui avrebbe dovuto officiosamente rilevare, invece, l’inammissibilità. Ne consegue che il capo della sentenza attinente alla dichiarazione della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della S. e alla condanna di questa al pagamento alla B. della complessiva somma di Euro 18.998 a titolo di canoni di locazione deve essere cassata, senza rinvio dato che ciò discende dall’accertamento della inammissibilità delle suddette domande.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, in relazione cassando la sentenza impugnata senza rinvio per inammissibilità delle domande riconvenzionali della B., la quale deve essere condannata alla rifusione allo Stato, essendosi difesa S.S. in patrocinio a spese di quest’ultimo, le spese processuali del presente grado, liquidate come da dispositivo, ai sensi degli artt. 82 e 130 T.U. SPESE, stimandosi equo mantenere ferma la compensazione delle spese dei gradi di merito.

PQM

Accoglie il ricorso e cassa in relazione senza rinvio la sentenza impugnata per l’inammissibilità delle domande riconvenzionali.

Condanna B.S. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in favore dello Stato in un totale di Euro 1467, oltre alle spese prenotate a debito e agli accessori di legge, ferma la compensazione delle spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017

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