Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3546 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 3546 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso 28480-2013 proposto da:
ENA FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
CRESCENZIO 14, STUDIO DI TANNO, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO PETRECCA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROSAMARIA NICASTRO;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
2018
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tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 231/2012 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 06/11/2012;

Data pubblicazione: 14/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 25/01/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO

DE MASI.

RITENUTO

che la controversia, promossa da Francesco Ena, nei confronti dell’Agenzia delle
Entrate, concerne la impugnazione dell’ avviso di rettifica e liquidazione emesso in
relazione al contratto, stipulato in data 6/2/2002, con il quale il contribuente aveva
acquistato la proprietà del terreno, sito nel Comune di Roma, loc. Riserva Colle Tasso
di Sopra, avendone l’Ufficio elevato il valore dichiarato da Euro 333.632,00 ad Euro

che la Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 231/10/2012,
depositata il 6/11/2012, accoglieva l’appello erariale e riformava la decisione di
primo grado, che aveva accolto l’originario ricorso, tra l’altro, osservando che l’atto
impositivo è motivato, essendo sufficiente l’enunciazione dei criteri astratti sulla base
dei quali viene determinato il maggior valore del compendio immobiliare, per porre il
contribuente in condizione di identificare compiutamente i termini e le ragioni
dell’accertamento ed approntare le proprie difese, che l’Ufficio ha provato il maggior
valore accertato tendo conto della relazione dell’U.T.E., dell’estensione del terreno,
della destinazione urbanistica attribuita dal P.R.G. in vigore al momento della stipula
della compravendita, della vicinanza alla Capitale, circostanza che lo rende
particolarmente appetibile dal punto di vista commerciale;
che il contribuente ricorre per ottenere la cassazione della sentenza con tre motivi,
cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

CONSIDERATO

che con il primo motivo denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., co. 1, n. 3, per
violazione degli artt. 51 e 52, D.P.R. n. 131 del 1986, e 2697 c.c., giacché il Giudice di
appello ha considerato sufficiente il rinvio alla relazione dell’U.T.E., basata sul metodo
sintetico-comparativo, nonostante che nell’atto impositivo impugnato manchi
totalmente la valutazione ed esposizione degli elementi su cui si fonda la pretesa, e la
perizia redatta dal Geom. Testa, depositata in prime cure, abbia analiticamente
indicato la reale consistenza e le caratteristiche del terreno in questione a
dimostrazione della erroneità della stima;
che con il secondo motivo denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., co. 1, n. 3, per
violazione e falsa applicazione degli artt. 51, commi 1, 2 e 3, e 52, commi 1 e 4,
D.P.R. n. 131 del 1986, giacché il Giudice di appello non ha considerato che il valore
i

2.180.000,00;

attribuito dall’Ufficio al terreno non corrisponde affatto al suo valore commerciale,
stante la mancata valutazione dell’incidenza di tutti quei vincoli giuridici che
deprezzano un bene sul mercato immobiliare, vincoli puntualmente riportati nella
perizia di parte;
che con il terzo motivo denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., co. 1, n. 5, per
insufficiente motivazione della sentenza impugnata, giacché il Giudice di appello ha
trascurato il vaglio degli elementi probatori forniti dal contribuente, essendosi limitato

gravanti sul terreno avrebbero dovuto condurre ad una diversa decisione della
controversia;
che il primo motivo d’impugnazione è affetto da una

evidente ragione di

inammissibilità, rilevabile primariamente sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso,
atteso che in forza di detto principio l’atto di impugnazione deve contenere in sé tutti
gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della
sentenza di merito, ed altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali
ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso
e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, e che il ricorrente
ha perciò l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo
in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso
è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura
oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del
documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. n. 17198/2016; n.
14182/2016; n. 14784/2015);
che l’opinione reiteratamente espressa sul punto da questa Corte è nel senso che, in
base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366
c.p.c., comma 1, n. 6, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una Commissione
tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla
motivazione di un avviso di accertamento “è necessario, a pena di inammissibilità, che
il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono
erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla
Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità
esclusivamente in base al ricorso medesimo” (Cass. n. 10316/2016; n. 8312/2013; n.
15867/2004);
che la censura è anche infondata in quanto, alla luce di un consolidato principio di
diritto, “In tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e
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all’esame della “precisa” relazione dell’U.T.E., laddove invece i molteplici vincoli

di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio
nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del
diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla
Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri
astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di
esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il
contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di

la violazione, ai sensi dell’art. 52, comma 2-bis, del D.P.R. n. 131 del 1986, del dovere
di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato
riprodotto sull’avviso di accertamento.” (Cass. n. 22148/2017);
che la decisione impugnata è in parte qua corretta perché ha fatto applicazione di tale
principio in quanto l’Amministrazione, sia pure mediante il rinvio alla relazione
dell’U.T.E., che lo stesso ricorrente riferisce essere stata allegata all’atto impositivo
(pag. 15 ricorso per cassazione), indica il criterio di valutazione utilizzato (il metodo
sintetico-comparativo basato sul confronto con altre stime), come richiesto dagli artt.
51 e 52, D.P.R. n. 131 del 1986, per cui il contribuente è stato posto in condizione di
contestare la fondatezza della pretesa impositiva, come del resto dimostrato dalle
puntuali censure contenute negli scritti difensivi;
che le censure contenute nel secondo e terzo motivo d’impugnazione sono invece
fondate e meritevoli di accoglimento per le ragioni di seguito riportate;
che il contribuente contesta la congruità della rettifica dell’Ufficio e si duole della
mancata valutazione, da parte del Giudice di appello, delle prove critiche offerte con la
perizia, depositata in giudizio, a firma del Geom. Testa, ed ha provveduto a riportare
nel ricorso per cassazione (da pag. 17 a pag. 19) la relazione tecnica del Geom.
Testa;
che il Giudice di appello ha violato il principio per cui, in materia tributaria, l’onere di
provare i presupposti impositivi grava sull’Amministrazione finanziaria, in quanto, per
un verso, si è limitato ad aderire alla stima dell’Ufficio, contenuta nella relazione
dell’U.T.E. definita “precisa”, la quale però per la sua provenienza non è dotata di fede
privilegiata o di speciale forza dimostrativa (Cass. n. 9357/2015), e, per altro verso,
ha richiamato astratti elementi estimativi, quali la zona territoriale di ubicazione, la
destinazione d’uso dell’immobile, la tipologia delle costruzioni realizzabili, l’appetibilità
sul mercato, in termini di domanda ed offerta, senza però indicare i concreti dati
obiettivi sui quali ha ritenuto di poter fondare la valutazione del bene, essendo
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contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare

all’uopo non risolutivo il mero richiamo alla consistenza del cespite immobiliare
“dell’estensione di ben 18 ettari (…) raggruppato in tre categorie, tenendo conto della
destinazione urbanistica attribuita dal Piano Regolatore Generale in vigore alla data
della stipula”;
che, invero,

non è in discussione la legittimità della valorizzazione della mera

potenzialità edificatoria, qualità da intendersi correttamente nel senso più volte
indicato dalla

giurisprudenziale di questa Corte (S.U. n. 25506/2006; Cass. n.

in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 1 quaterdecies, comma 16,
convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006,
n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248,
che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2,
comma 1, lett. b), per cui la natura edificabile di un suolo non viene meno per effetto
delle dimensioni o della particolare conformazione del lotto, circostanze che incidono
normalmente sulla sola determinazione del valore venale del bene (salvo che gli
strumenti urbanistici le considerino espressamente significative della non edificabilità),
e neppure per effetto della sussistenza di specifici vincoli o destinazioni urbanistiche, i
quali impongono semmai di valutare la maggiore o minore attualità delle potenzialità
edificatorie, senza tuttavia escludere l’oggettivo carattere edificabile dello stesso;
che non è, tuttavia, discutibile che, se anche una perizia di parte può costituire fonte
di convincimento del giudice, il quale può elevarla a fondamento della decisione, è
pur sempre necessario che il giudicante spieghi le ragioni per le quali ritiene corretta,
o non corretta, o soltanto non convincente, tale perizia, e nel caso di specie la
motivazione della sentenza impugnata non consente di ricostruire, avuto riguardo alle
puntuali contestazioni ed osservazioni dell’appellante, l’iter logico del Giudice di
appello, il quale ha acriticamente prestato adesione alla stima dell’U.T.E. e del tutto
ignorato le conclusioni del perito della parte privata;
che, in conclusione, la sentenza impugnata merita di essere cassata con rinvio, per
nuovo esame, alla CTR competente, in diversa composizione, la quale provvederà
altresì a regolamentare le spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

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25676/2008), ed utilmente richiamabile, ai fini qui considerati, a seguito dell’entrata

La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, cassa la
sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in
diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 gennaio 2018.

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