Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3546 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/02/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 13/02/2020), n.3546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1497-2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato PIER FILIPPO GIUGGIOLI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI SONDRIO SOC. COOP. PER AZIONI, in persona dei

legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CASILINA 561, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

CORVASCE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO BELLINI BRESSI;

– controricorrente –

contro

STUDIO LEGALE AGNOLI BERNARDI E ASSOCIATI IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2219/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2011 la Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. (d’ora innanzi, per brevità, “la Banca”) chiese ed ottenne dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo nei confronti di A.M., per l’importo di Euro 2.163.489,21, oltre accessori.

A fondamento del ricorso monitorio dedusse di essere creditrice per saldo negativo di conto corrente dello “Studio legale Agnoli Bernardi e Associati”, e che l’intimato aveva prestato fideiussione in favore del suddetto studio associato.

2. A.M. propose opposizione al decreto, allegando – per quanto in questa sede ancora rileva – che lo Studio Associato e l’altro fideiussore, B.M., avevano concluso una transazione con la Banca, della qual egli intendeva avvalersi ex art. 1304 c.c..

3. Con sentenza 31.10.2014 n. 12897 il Tribunale di Milano rigettò l’opposizione.

La Corte d’appello di Milano, adita dall’opponente, con sentenza 24.5.2017 n. 2219:

-) ritenne che la Banca, con la transazione sopra indicata, transigette con l’altro debitore solo la quota di quest’ultimo, pari al 50% del debito, e non l’intera obbligazione;

-) ritenne che, di conseguenza, la Banca aveva liberato il debitore transigente, ma era ancora creditrice di A.M. del restante 50% del debito principale;

-) revocò tuttavia il decreto ingiuntivo, senza adottare alcuna altra statuizione, sul presupposto che la Banca nel giudizio di appello non aveva reiterato la domanda di condanna dell’opponente al pagamento della minor somma eventualmente dovuta.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da A.M. con ricorso fondato su due motivi.

Ha resistito la Banca con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i due motivi di ricorso – formulati l’uno in via subordinata all’altro – il ricorrente denuncia in via principale la sussistenza d’un errore di fatto, ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed in via subordinata la sussistenza d’una violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Ambedue le censure sono rivolte contro la valutazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che la transazione stipulata tra la Banca e B.M. avesse ad oggetto non l’Intera obbligazione vantata dalla Banca, ma solo la quota di essa gravante sul transigente.

2. La censura, sotto ambedue i profili in cui è formulata, è inammissibile.

Un vizio di omesso esame del fato, infatti, può dirsi sussistente quando il giudice trascuri di prendere in esame uno dei fatti costitutivi, primari o secondari, della domanda o dell’eccezione.

Nel caso di specie, “fatto costitutivo” dell’eccezione sollevata dall’odierno ricorrente ai sensi dell’art. 1304 c.c., era l’esistenza d’una transazione, e tale “fatto” è stato preso in esame dalla Corte d’appello. La circostanza, poi, che la Corte d’appello possa avere errato nell’interpretazione del contratto di transazione potrebbe teoricamente costituire un error in indicando, ma non certo il vizio di “omesso esame” d’un fatto decisivo.

3. Quanto al vizio di violazione di legge, sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2729 c.c., e gli artt. 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui dal fatto noto (erroneamente supposto) che B.M. avesse garantito la metà del debito dello Studio Associato verso la Banca, è risalita al fatto ignorato che la transazione tra il cofideiussore B.M. e la Banca avesse riguardato una quota dell’obbligazioni solidale pari alla metà. Sostiene che tale ragionamento presuntivo poggia su indizi privi dei caratteri di cui all’art. 2729 c.c., e che, adottandolo, la Corte d’appello avrebbe conseguentemente violato gli artt. 115 e 116 c.p.c..

3.1. Anche questo motivo è inammissibile. Esso infatti, al di là dei riferimenti normativi su cui si fonda, nella sostanza censura l’interpretazione che del contratto di transazione ha dato la Corte d’appello: ma una simile censura non può essere proposta in questa sede.

Infatti l’interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito può condurre alla cassazione della sentenza impugnata quando sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta, ma non quando costituisca una non implausibile interpretazione, preferita dal giudice di merito tra altre non implausibili interpretazioni (ex multis, in tal senso, Sez. 3 -, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 -01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465 – 01).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha formalmente denunciato la violazione di nessuno dei canoni legai di ermeneutica di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., nè le norme da lui invocate possono dirsi violate sol perchè il giudice di merito abbia dottato una certa interpretazione d’un contratto, in luogo di un’altra.

Quanto alla lamentata violazione dell’art. 2729 c.c., poi, è noto che la violazione delle norme sulle presunzioni non può dirsi sussistente sol perchè il giudice di merito abbia, o non abbia, ritenuto che da un certo fatto noto possa risalirsi per via di deduzioni logiche ad un fatto ignorato. Questa valutazione, infatti, costituisce un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità.

La violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., come già ripetutamente affermato da questa Corte, potrebbe essere censurata in sede di legittimità soltanto in un caso: allorchè ricorra il cosiddetto “vizio di sussunzione”, vale a dire allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi raccolti, li ritenga però inidonei a fornire la prova presuntiva; oppure, all’opposto, quando dopo aver qualificato come “non gravi, imprecisi e discordanti” gli indizi raccolti, li ritenga nondimeno sufficienti a fornire la prova del fatto controverso (ex multis, in tal senso, Sez. U -, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, p. 4.1, lett. (bb), della motivazione; nonchè Sez. 3 -, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017, Rv. 645496 – 02).

3.2. Anche per quanto attiene la violazione dell’art. 115 c.p.c., il motivo è inammissibile, in quanto la violazione di tale norma può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 01);

3.3. Infine, per quanto attiene la pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., la violazione di tale norma può dirsi sussistente, e costituire valido motivo di ricorso per cassazione, solo in un caso: quando il giudice di merito attribuisca pubblica fede ad una prova che ne sia priva oppure, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova a valutazione vincolata, come l’atto pubblico (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; il principio è stato altresì ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, nella decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, al p. 14 dei “Motivi della decisione”). Per contro, la valutazione delle prove in un senso piuttosto che in un altro, ovvero l’omessa valutazione di alcune fonti di prova, non costituisce di per sè violazione dell’art. 116 c.p.c., e quindi un error in procedendo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

4. Le spese.

4.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

4.2. L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna A.M. alla rifusione in favore di Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 17.300, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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