Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3545 del 10/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 10/02/2017, (ud. 11/11/2016, dep.10/02/2017),  n. 3545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28277-2014 proposto da:

R.S.J. S.R.L. in persona dell’amministratore e legale rappresentante

M.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALESSANDRO CORDA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M. & C SNC in persona del socio amministratore e legale

rappresentante pro tempore ME.AL., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 107 presso lo studio

dell’avvocato FILIPPO ALAJMO, rappresentata e difesa dagli avvocati

GABRIELLA MASSACCI e SALVATORE CASULA giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

P.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 178/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 28/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE VESCUSO per delega;

udito l’Avvocato GABIRELLA MASSACCI;

udito l’Avvocato SALVATORE CASULA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO FRANCESCO MAURO che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La R.S.J. s.r.l. intimò alla G.M. e C. s.n.c. sfratto per finita locazione in relazione ad un immobile ad uso diverso, convenendola in giudizio per la convalida.

L’intimata contestò che sussistessero i presupposti per la convalida rilevando che, a seguito della disdetta inviata dalla locatrice, aveva liberato l’immobile e si era dichiarata disponibile a restituirlo previa corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale; chiese pertanto la condanna dell’attrice al pagamento dell’indennità.

L’intimante contestò tale pretesa, deducendo che la conduttrice aveva violato gli obblighi contrattuali, in quanto aveva realizzato nell’immobile opere abusive, con ciò integrando un inadempimento contrattuale che escludeva il diritto alla corresponsione dell’indennità di avviamento; chiese, inoltre, la condanna della convenuta al pagamento delle somme occorrenti per il ripristino del capannone e il risarcimento dei danni per l’occupazione dell’immobile oltre il termine di scadenza del contratto.

Il Tribunale accolse le domande dell’attrice, con sentenza che venne impugnata dalla G.M. & C. s.n.c. e da P.G. (quale socia illimitatamente responsabile), nonchè – in via incidentale – dalla R.S.J. s.r.l..

La Corte di Appello di Cagliari, dichiarata inammissibile l’impugnazione della P., ha riformato la sentenza di primo grado, condannando la locatrice al pagamento dell’indennità di avviamento commerciale, riducendo l’importo dovuto dalla conduttrice a titolo di risarcimento danni per gli interventi di ripristino e dichiarando che nulla era dovuto alla locatrice a titolo di canoni per il periodo successivo alla scadenza del contratto.

Ricorre per cassazione la R.S.J. s.r.l. affidandosi a quattro motivi; resiste la G.M. & C. s.n.c. a mezzo di controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 96 c.p.c., comma 2” in relazione alla mancata condanna della P. al pagamento delle spese di lite: “non si comprende perchè mai” – afferma la ricorrente – alla statuizione di inammissibilità dell’appello della P. “non sia seguita anche la doverosa condanna della socia alla rifusione delle spese di lite sostenute dall’appellata”.

1.1. A prescindere da evidenti profili di inammissibilità, correlati all’assoluta genericità (giacchè non illustra la posizione assunta dalla P. e – riguardo ad essa – quella della R.S.J., al fine di individuare la soccombenza) e al fatto che non risulta censurata la statuizione (implicita) di compensazione, il motivo è infondato in quanto non risulta violato il principio secondo cui la condanna alle spese non può essere posta a carico della parte totalmente vittoriosa.

2. Il secondo motivo (“sulla gravità dell’inadempimento contrattuale del conduttore”) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e artt. 1453, 1455 e 1456 c.c., art. 1587 c.c., comma 1, art. 1590 c.c., commi 1 e 2, artt. 1591, 1175, 1336, 1362, 1363, 1369, 1375 e 2967 c.c., nonchè dell’art. 437 c.p.c., comma 2, L. n. 392 del 1978, art. 34 e artt. 8 e 14 del contratto di locazione del 20.2.1998; lamenta altresì l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

La ricorrente assume che la Corte “avrebbe dovuto accertare e dichiarare l’operatività della pregressa causa di risoluzione del contratto di locazione… per colpa del conduttore, ex art. 1453 c.c. e, per l’effetto, avrebbe dovuto dichiarare nel caso di specie, da un lato non dovuta al conduttore l’indennità di avviamento L. n. 392 del 1978, ex art. 34; dall’altro pienamente dovuta al locatore l’indennità di occupazione sine titulo per il periodo successivo alla cessazione del contratto fino alla data dell’avvenuto rilascio”.

La censura verte principalmente sul fatto che la Corte abbia ritenuto di dover valutare la sola opera abusiva costituita dal soppalco in lamiera (considerando di importanza trascurabile sia le altre opere edilizie che la circostanza che il conduttore avesse omesso di eseguire la manutenzione ordinaria) e contesta la conclusione che, pur comportando la violazione dell’art. 8 del contratto, la realizzazione del soppalco non aveva integrato il requisito della gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c..

2.1. Il motivo è inammissibile in quanto non prospetta erronee affermazioni in iure nè individua un fatto decisivo non esaminato dalla Corte, ma propone una diversa lettura delle risultanze istruttorie, funzionale ad un opposto apprezzamento di merito.

3. Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2 e art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.) attiene alla somma liquidata per far fronte ai lavori necessari per eliminare le difformità edilizie e censura la Corte per avere disposto un supplemento di c.t.u. e per avere aderito alla stima effettuata in seconde cure anzichè a quella effettuata in primo grado e ritenuta congruamente motivata dal primo giudice.

3.1. Le doglianze sono generiche: non spiegano adeguatamente le ragioni per cui sarebbe illegittima l’ulteriore attività istruttoria svolta dal c.t.u. in sede di gravame e non individuano specifici errores in iure, ma si limitano a censurare la (motivata) adesione del giudice di appello alla stima successiva (di importo inferiore); il motivo va pertanto dichiarato inammissibile.

4. Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116 e 420 c.p.c. nonchè degli artt. 1591 e 2697 c.c.) censura la Corte laddove ha affermato che la locatrice aveva rinunciato, in primo grado, alla domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato rilascio dell’immobile: assume che non potevano essere desunte indicazioni in tal senso dal fatto che la richiesta di risarcimento non fosse presente “nell’elencazione delle domande contenute nella parte finale della memoria difensiva depositata il 18.6.2012”, dal momento che nella premessa della stessa memoria si affermava che la convenuta doveva essere “condannata a pagare all’attrice un’indennità di occupazione per il periodo successivo alla cessazione della locazione e fino alla data dell’effettivo rilascio”; tanto più che all’udienza di discussione il locatore aveva verbalizzato di fare pieno e integrale riferimento agli atti e alle memorie depositate e di riportarsi alle conclusioni ivi contenute.

Aggiunge che – “con una motivazione non condivisibile” – il giudice di appello si era “soffermato anche nel merito, asserendo che la domanda sarebbe comunque infondata, perchè nelle trattative sarebbe emerso che il conduttore non era in mora, avendo offerto più volte di restituire l’immobile”; assume che – al contrario – la mora era sussistente in quanto il conduttore “si limitò ad offrire il bene subordinandolo a delle condizioni ingiuste ed inaccettabili”, quali il previo pagamento dell’indennità di avviamento e la pretesa che i lavori di ripristino venissero eseguiti con un esborso inferiore a quello poi stimato dal c.t.u..

4.1. Il motivo è inammissibile.

E’ stato dedotto un vizio di omessa pronuncia, mentre – a fronte di una statuizione sulla questione dell’indennità di occupazione – avrebbe dovuto essere dedotta (eventualmente sotto il profilo del vizio motivazionale) l’erronea interpretazione della complessiva domanda, come precisata nella memoria conclusiva (cfr. Cass. n. 7932/2012 e Cass. n. 2630/2014).

Per di più, non risulta adeguatamente impugnata la seconda ratio decidendi (quella relativa al difetto di mora nel conduttore), rispetto alla quale la ricorrente si è limitata a dire “non condivisibile” l’affermazione della Corte.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza: l’importo liquidato è comprensivo delle spese del procedimento ex art. 373 c.p.c. (cfr. Cass. n. 19544/2015).

6. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 9.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017

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