Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3544 del 14/02/2014
Civile Sent. Sez. 1 Num. 3544 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: DI AMATO SERGIO
SENTENZA
é
sul ricorso 16256-2007 proposto da:
•
PROVINCIA DI FIRENZE, in persona del Presidente pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL
VIMINALE 43, presso l’avvocato LORENZONI FABIO, che
Data pubblicazione: 14/02/2014
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MAUCERI ATTILIO, giusta procura a margine del
2013
ricorso;
– ricorrente –
2025
contro
CALUGI
MILENA
(c.f.
CLGMLN28A65D4031),
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1
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA, 5,
presso l’avvocato SIVIERI ORLANDO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
BRACCO LORENZO, giusta procura in calce al
controricorso;
avverso la sentenza n.
controricorrente
–
908/2006 della CORTE
D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 18/12/2013 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato N. PAOLETTI,
con delega, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
•
udito, per la controricorrente,
l’Avvocato O.
SIVIERI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento del primo e secondo motivo.
4
–
.4
2
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14 aprile 2006 la Corte di appello di
Firenze accoglieva l’opposizione alla stima proposta da
Milena Calugi in relazione ad un terreno di mq 1002 sito
in Comune di Empoli, del quale, dopo l’occupazione
d’urgenza per una porzione con decreto del 1 0 ottobre
1981 e per altra porzione con decreto del 21 settembre
1982, era stata disposta l’espropriazione con decreto del
Presidente della Giunta provinciale di Firenze in data 25
novembre 1989. In particolare, la Corte di appello,
premesso che la Commissione provinciale espropri aveva
determinato l’indennità in ragione di lire 8.000 al mq.,
osservava, per quanto ancora interessa, che: l) il
terreno de
quo
aveva incontestabile vocazione
edificatoria poiché era situato vicino al centro abitato,
godeva dei pubblici servizi ed era accessibile da strade
pubbliche; inoltre, possedeva anche il requisito
dell’edificabilità legale che doveva essere valutato
senza tenere conto del vincolo preordinato
all’espropriazione che discendeva dalla destinazione,
nell’ambito del P.R.G., a viabilità; 2) il valore venale
del bene era stato determinato dal c.t.u., senza che sul
punto sorgessero contestazioni, in lire 199.542.000; ne
conseguiva la determinazione dell’indennità di
occupazione in lire 99.839.000 (pari ad C 51.562,54) e
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dell’indennità di occupazione in lire 39.103.610 (pari ad
C 20.195,33); 3) l’indennità non doveva subire la
riduzione del 40%, di cui al primo comma ultima parte
dell’art. 5 bis del d.l. n.333/1992, essendo mancata una
offerta dell’indennità secondo i criteri previsti dal
4) sulle somme spettanti erano dovuti
detto art. 5 bis;
gli interessi legali con decorrenza, quanto all’indennità
di occupazione, dalla scadenza di ogni annualità; 5)
quanto al risarcimento del maggior danno da svalutazione
monetaria, trattandosi di un debito di valuta e poiché
l’attrice non aveva fornito la prova di un pregiudizio
particolare, neppure allegato, era equo, in
considerazione del tempo trascorso, riconoscere a titolo
di risarcimento dei danni ex art. 1224 c.c., gli
interessi legali con le predette decorrenze, aumentati di
1,25 punti.
La
Provincia di
Firenze propone
ricorso per
cassazione, deducendo quattro motivi illustrati con
memoria. Milena Calugi resiste con controricorso; il suo
difensore, con la memoria
ex
art. 378 c.p.c., ne ha
dichiarato la morte, chiedendo l’interruzione del
processo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Si deve anzitutto esaminare e respingere la richiesta
di interruzione del processo per morte della
controricorrente dichiarata dal suo difensore. Invero, il
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consolidato orientamento di
questa Corte esclude
l’applicazione nel giudizio di cassazione dell’istituto
dell’interruzione del processo per uno degli eventi
previsti dagli artt. 299 e ss. c.p.c. e fonda tale
conclusione, da un lato, sull’impulso ufficioso che
caratterizza il giudizio di cassazione e, dall’altro,
sulla insuscettibilità di applicazione analogica delle
norme sull’interruzione (e plurimis Cass. 8 luglio 2004,
n. 12581). Tale orientamento deve essere confermato in
assenza di una nuova prospettazione della questione.
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione
dell’art. 5 bis della legge n. 359/1992
(rectius d.l. n.
333/1992), lamentando che la Corte territoriale aveva
affermato l’edificabilità del terreno espropriato sulla
base della sola edificabilità di fatto, senza svolgere
alcun accertamento con riferimento agli strumenti
urbanistici vigenti al momento dell’apposizione del
vincolo preordinato all’esproprio.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la
violazione dell’art. 5
bis
della legge n. 359/1992
(rectius d.l. n. 333/1992) ed il vizio di motivazione,
lamentando che la sentenza impugnata neppure identificava
il provvedimento che aveva impresso il vincolo di
destinazione.
Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art.
5 bis della legge n. 359/1992
(rectius d.l. n. 333/1992),
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lamentando che la Corte di appello erroneamente aveva
ritenuto l’inapplicabilità della decurtazione del 40%,
senza considerare che l’espropriata non aveva chiesto,
come sarebbe stato suo onere, la formulazione
dell’offerta da parte dell’espropriante.
Con il quarto motivo si deduce la violazione degli
artt. 1218 e 1224 c.c., lamentando che la sentenza
impugnata aveva riconosciuto all’attrice il diritto agli
interessi ed al maggior danno da svalutazione monetaria
benché avesse riconosciuto che il debito delle indennità
di espropriazione e di occupazione aveva natura di debito
di valuta e che l’espropriata non aveva dedotto né
tantomeno provato uno specifico pregiudizio.
I primi
due motivi possono essere
esaminati
congiuntamente e sono fondati. Invero, il requisito della
edificabilità legale, richiesto dall’art. 5 bis del d.l.
n. 333/1992, è stato affermato apoditticamente, con il
rilievo che le possibilità edificatorie di un fondo non
vengono meno, ai fini della determinazione dell’indennità
di esproprio, qualora esso sia interessato da un vincolo
preordinato all’espropriazione. In tal modo la sentenza
impugnata ha disatteso il primo compito al quale, per
effetto della citata disposizione, è chiamato il giudice
del merito per la determinazione dell’indennità di
espropriazione e cioè quello di accertare la destinazione
“legale” dell’area in base alla classificazione
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urbanistica della zona in cui ricade. A tal fine un’area
, va ritenuta edificabile soltanto quando – e per il solo
fatto che – come tale essa risulti classificata al
momento della vicenda ablativa dagli strumenti
urbanistici. Ne consegue che le possibilità legali di
strumento urbanistico, vigente all’epoca con riferimento
alla quale deve compiersi la ricognizione, abbia
destinato la zona, con vincolo conformativo, ad un
utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico
attrezzato, attrezzature pubbliche, viabilità etc.); in
tal caso, infatti, sono precluse ai privati tutte quelle
forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili
alla nozione tecnica di edificazione e che sono, come
tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla
vigente legislazione edilizia ( e
plurimis
Cass. 14
ig
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maggio 2013, n. 11455; Cass. 15 luglio 2011, n. 15682;
Cass. 13 gennaio 2010, n. 404; Cass. 2 ottobre 2009, n.
21095; Cass. 6 agosto 2009, n. 17995).
Soltanto se tale indagine ha escluso la destinazione
della zona ad un utilizzo pubblicistico può trovare
spazio quella rivolta ad accertare la ricorrenza di un
vincolo non conformativo ma preordinato
all’espropriazione,
tenendo
presente
che:
A)
le
prescrizioni ed i vincoli stabiliti dagli strumenti
urbanistici di secondo livello «possono,
in via
,
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edificazione vanno escluse tutte le volte in cui lo
eccezionale, avere anche portata e contenuto direttamente
• ablatori (che ne escludono l’incidenza sulla liquidazione
dell’indennità) ove si tratti di vincoli particolari,
incidenti su beni determinati in funzione di
localizzazione dell’opera, implicante di per sè la
necessaria traslazione di quei beni all’ente pubblico»
(Cass. s.u. 23 aprile 2001, n. 173); B) tale situazione
non è configurabile allorchè i vincoli in questione
mirino ad una zonizzazione dell’intero territorio
comunale o di parte di esso, incidendo su una generalità
di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata
di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera
zona ed in ragione delle sue caratteristiche o del
rapporto con un’opera pubblica (cfr., oggi, gli artt. 32
e 37 del d.p.r. n. 327/2001).
In conclusione, al fine di accertare l’edificabilità
legale del suolo espropriato è necessario accertare se la
destinazione ad usi collettivi dell’area abbia o meno un
contenuto conformativo e cioè sia o meno concepita, nel
quadro della ripartizione generale del territorio, in
base a criteri predeterminati ed astratti; ne consegue
che l’edificabilità legale può essere affermata solo se
la predetta destinazione sia limitata e funzionale
all’interno di una zona urbanistica omogenea
espressamente
classificata
edificabile,
a
nulla
rilevando, in tal caso, vincoli e prescrizioni che
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vengano ad incidere, nell’ambito di tale zona, su beni
determinati, sui quali si localizza la realizzazione
dell’opera pubblica, assumendo soltanto in tal caso
portata e contenuti direttamente ablatori ininfluenti
sulla liquidazione dell’indennità (e
plurimis
e da
ultimo Cass. 5 settembre 2013, n. 20457).
Il rilievo della edificabilità legale, naturalmente,
dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5
bis comma primo, del d.l. n. 333/1992 (Corte cost. n.
348/2007), viene in rilievo non per applicare il criterio
già previsto dalla predetta disposizione, ma per
stabilire una caratteristica dell’area, fondamentale per
stabilirne il valore venale, come risulta anche dal
percorso argomentativo della sentenza impugnata.
Il terzo motivo è infondato in quanto invoca
l’applicazione dell’art. 5 bis comma primo, del d.l. n.
333/1992, che, come appena detto, è stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo.
Il
quarto
motivo,
infine,
resta
assorbito
dall’accoglimento dei primi due motivi.
P . Q . M .
accoglie i primi due motivi del ricorso, rigetta il terzo
e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza in
relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese
del giudizio di cassazione alla Corte di appello di
Firenze in diversa composizione.
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Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18
dicembre 2013.