Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3543 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2010, (ud. 26/10/2009, dep. 16/02/2010), n.3543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro in

carica e l’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso

la stessa domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

FUTURA S.A.S. in persona del legale rappresentante domiciliata in

Avellino Contrada Sant Eustachio n. 22, presso dott. Famoso Maurizio;

avverso la sentenza n. 69/05/2002 della Commissione Tributaria

Regionale di Napoli sezione distaccata di Salerno depositata il

9.12.2002 e non notificata;

udita la relazione del Consigliere Renato Polichetti;

sentite le Conclusioni dell’Avv. Alessia Neri Urbana che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

sentite le conclusioni del P.G. V. Gambardella che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato quanto segue:

Con tempestivo ricorso la società in epigrafe, operante nel settore delle compravendite immobiliari, impugnava l’avviso di rettifica IVA relativo all’anno d’imposta 1995, emesso a seguito di una verifica sull’andamento finanziario, che si era resa necessaria dalla sistematica esposizione, di acquisti effettuati in misura nettamente superiore alle vendite nel triennio 1993-94-95. La predetta società ha chiesto l’annullamento dell’atto impugnato assumendo che la determinazione del maggior imponibile non teneva conto del fatto che le somme affluite nelle casse sociali – e ritenute imputabili a ricavi non contabilizzati – derivavano esclusivamente da provviste e finanziamenti apportati dai soci.

Nel contraddittorio con l’ufficio che dichiarava in giudizio di aver emesso provvedimento di autotutela parziale, riducendo i ricavi in contestazione a L. 547.791.600 (dagli oltre 700.000.000 accertati) la Commissione Tributaria Provinciale di Avellino annullava in parte de qua l’avviso di rettifica, poichè la società aveva fornito, con la produzione in giudizio di copie degli assegni circolari e del bonifico, idonea prova della provenienza dai soci dei conferimenti effettuati, nonchè dell’effettività degli stessi; in relazione agli importi non documentati riteneva tuttavia la pretesa fiscale priva di adeguati sostegni probatori. A giudizio dei giudici di prime cure, la natura dell’attività svolta dalla società di compravendita di immobili, rendendo necessaria la stesura di atti pubblici, non avrebbe consentito alcuna omissione o occultamento di ricavi. Sul successivo ricorso in appello proposto avverso tale pronuncia (con cui l’ufficio insisteva per la legittimità del recupero a tassazione quanto meno in relazione alla differenza non provata di L. 137.000.000, rispetto alla quale gli argomenti di prova addotti dal contribuente e positivamente valutati dal Collegio apparivano privi di consistenza giuridica) la Commissione Tributaria Regionale di Napoli, con la sentenza che si impugna ha confermato la decisione di prime cure.

Avverso la predetta decisione, l’Amministrazione finanziaria propone, con il presente atto, ricorso per il seguente motivo.

Contraddittorietà della motivazione sopra un punto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La sentenza che si impugna ritiene testualmente che l’iniziale valore accertato L. 770.437.800 a seguito della documentazione prodotta dalla società si è ridotto a “sole” L. 137.000.000. in riferimento a tale importo l’ufficio insiste nel sostenere che trattasi di ricavi conseguiti, evasi e utilizzati per i conferimenti. Lo stesso Ufficio però nell’ipotizzare l’evasione, non ha fornito alcuna prova, nè alcun concreto indizio che possa supportare l’assunto. Ebbene, in questi termini è evidente l’erroneità della decisione impugnata che appare anzitutto viziata sotto il profilo della motivazione logicamente incongrua. I giudici del gravame con l’attribuire rilevanza alla prova fornita dal contribuente già in primo grado e che ha reso possibile la rideterminazione in melius dell’imponibile ed il conseguente annullamento parziale della rettifica, legittimano, in buona sostanza, e correttamente, l’inversione dell’onere probatorio, mostrando di ritenere che a fronte dell’utilizzo legittimo di presunzioni sia il contribuente a dover fornire la prova contraria, prova che nella specie avrebbe fornito merce la dimostrazione dell’effettività dei conferimenti effettuati dai soci e quindi dell’insussistenza di ricavi occultati. Ciò posto, appare dunque illogico ed intrinsecamente contraddittorio che con riguardo alla residua pretesa fiscale la CTR non abbia ritenuto di dover fare applicazione dei medesimi principi, pervenendo di contro all’annullamento della rettifica anche per tale parte valorizzando la mancata allegazione, da parte dell’ufficio di prove anche solo presuntive. Sotto tale profilo pertanto è evidente il vizio di motivazione che inficia l’impugnata decisione e che ridonda altresì in una palese violazione dell’art. 54 richiamato in rubrica, laddove invece la coerente applicazione nella specie dei principi che governano la distribuzione dell’onere della prova avrebbe dovuto indurre la CTR a concludere per la conferma della legittimità della residua pretesa fiscale, in base alla considerazione che il raggiungimento della prova in relazione alla più parte delle contestazioni del Fisco avrebbe dovuto sottolineare al contrario la mancanza di prova per il residuo.

Del resto, l’insufficienza e l’illogicità della motivazione, sub specie di completo travisamento delle tesi difensive dell’appellante emerge altresì nell’affermazione secondo cui la società non ha effettuata alcuna vendita nè stipulato atto pubblico per cui non è dato riscontrare con quali ricavi evasi sarebbero state eseguiti le contestate anticipazioni.

A parte il fatto che i ricavi evasi non sono all’evidenza fonte delle anticipazioni, ma semmai uno strumento del loro occultamento, inconsistenti ed illogiche si rivelano le considerazioni della CTR afferenti la natura dell’attività svolta. E ciò sia perchè nella pratica delle compravendite immobiliari si suole ricorrere ai cosiddetti compromessi che precedono la stipula degli atti pubblici e che vengono successivamente distrutti al fine di occultarne il corrispettivo realmente versato, sia perchè, quanto al secondo rilievo, di norma le locazioni degli immobili rivestono la forma della scrittura privata non autenticata; donde l’irrilevanza della mancata stipula di atti pubblici.

Occorre anzitutto dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero non essendo stato lo stesso parte nelle precedenti fasi del giudizio.

Deve invece essere accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Come stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte: “In tema di accertamento dell’IVA, il ricorso al metodo induttivo è ammissibile anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 il quale autorizza l’accertamento anche in base al “altri documenti” o “scritture contabili” (diverse da quelle previste dalla legge) o ad “altri dati e notizie” raccolti nei modi prescritti dagli articoli precedenti, potendo le conseguenti omissioni o false o inesatte indicazioni essere indirettamente desunte da tali risultanze ovvero anche in esito a presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti;

fermi restando, infatti, i limiti di efficacia delle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, anche le altre scritture provenienti dall’imprenditore possono operare come prova “contra se”, non potendo tale parte invocare la non corrispondenza al vero delle proprie annotazioni cartacee. (Cass. 25.03.2009 n. 7184).

Inoltre come pure stabilito da questa Corte: “In tema di presunzioni semplici gli elementi assunti a fonte di prova non debbono necessariamente essere più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento, purchè grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di elementi presuntivi” (Cass. 29.07.2009 n. 17574).

Orbene nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale, a fronte degli elementi presuntivi rilevati dall’Agenzia delle Entrate, prima da atto che la società ha in parte documentato la giusta detrazione dei maggiori importi contestati, mentre ciò non è stato fatto per i rimanenti ricavi pari a L. 137.000.000, che ad avviso della Commissione Tributaria Regionale era onere dell’Agenzia dimostrare che non fossero detraibili.

In altre parole ad avviso dei secondi giudici quando la prova è a favore della società compete a questa l’onere di dimostrare la legittimità della detrazione. Quando viceversa per l’importo residuo tale dimostrazione non viene fornita compete all’Ufficio l’onere di dimostrare l’illegittimità della detrazione.

Appare del tutto evidente la totale irrazionalità di tale assunto, che mira a favorire il contribuente in danno dell’Agenzia delle Entrate.

Infatti a fronte di presunzioni che abbiano, come nel caso di specie i connotati di gravità, precisione e concordanza spetta esclusivamente al contribuente dimostrare la legittimità della detrazione in relazione a tutti i ricavi e non solamente ad alcuni di essi.

Pertanto il ricorso deve essere accolto e la causa, non richiedendo ulteriori accertamenti, può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’appello dell’Ufficio e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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