Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3543 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 3543 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA

Data pubblicazione: 14/02/2014

SENTENZA

sul ricorso 5566-2011 proposto da:
J.A.M. S.R.L.

(C.F. 01339980425), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso
l’avvocato AMATORE SALVATORE, rappresentata e difesa
dall’avvocato BALESTRA ANNA MARTA, giusta procura in
2013

calce al ricorso;
– ricorrente

1978

contro

COMMISSARI GIUDIZIALI DELLA PROCEDURA DI CONCORDATO
4

1

PREVENTIVO DELLA J.A.M. S.R.L., VERDELLI GIANNI,
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI
ANCONA;

intimati

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
MARIA DI VIRGILIO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato BALESTRA ANNA
MARTA che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

depositato il 28/12/2010;

2

Svolgimento del processo
Con decreto depositato il 28 dicembre 2010, la Corte
d’appello di Ancona ha respinto il reclamo della J.A.M.
s.r.l. avverso il decreto del Tribunale di Ancona del

30/7- 9/9/2010, “di rigetto della richiesta di omologa del
concordato preventivo”.
In pendenza del giudizio di omologazione, il Tribunale,
d’ufficio, aveva avviato il procedimento di revoca
dell’ammissione al concordato, ex art.173 1.f., nel testo
riformato applicabile
Commissari

avevano

poiché

ratione temporis,

rilevato atti di

frode degli

amministratori-soci, che avevano comportato un notevole
aggravio dell’indebitamento quando la società era già in
evidente stato di insolvenza, e successivamente il
Tribunale aveva respinto la richiesta di omologa
(rectius, revocava l’ammissione al concordato).

La Corte d’appello ha respinto il primo motivo, rilevando
che i Commissari, nella relazione, ed il Tribunale, nel
decreto reclamato, avevano fatto riferimento ad una serie
di comportamenti della società, rientranti nella categoria
degli “altri atti di frode”, di cui all’art.173, l ° comma
1.f., e che non era corretta l’impostazione della
reclamante, intesa a negare la riconducibilità delle
condotte dissipatorie e distrattive poste in essere prima
della domanda di ammissione alla procedura a detta
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categoria,

per trattarsi di atti privi di idoneità

ingannatoria per le determinazioni di voto dei creditori
concordatari.
Secondo la Corte del merito, tra “gli altri atti di frode”

di cui all’art.173 1.f. rientrano tutte quelle condotte
dolosamente dissipatorie o distrattive del patrimonio
aziendale, atte a determinare o aggravare lo stato di
crisi o di insolvenza, sì da far ritenere la
presentazione del programma di ristrutturazione quale atto
finale di una preordinata strategia messa in atto dagli
amministratori al solo fine di evitare il fallimento, né
può incidere a riguardo il consenso (asseritamente
informato) dei creditori; nella specie, la società per
anni, e sino alla presentazione della domanda di
concordato, aveva aggravato ” in modo assai consistente
l’indebitamento, quando si trovava in evidente stato di
crisi e di insolvenza, attraverso concessioni di prestiti,
e la sottoscrizione di garanzie rilasciate nell’interesse
di società controllante e di altre società in qualche modo
collegate, riferibili allo stesso gruppo imprenditoriale;
operazioni di compensazione di poste attive con
altrettante poste passive, per rilevantissime somme di
danaro, in cui non risulta neanche documentata l’effettiva
entità del debito compensato; e le altre condotte
segnalate nella relazione ex art.172 1.fall.”
4

Non era peraltro tale condotta della società priva di
valenza ingannatoria, atteso che la stessa si era bene
guardata dal riferire in ricorso ai creditori che le
condotte

di

concessione

di

prestiti,

garanzie,

compensazioni erano state poste in essere nonostante lo
stato di insolvenza; ed infatti, all’atto di ammissione
alla procedura, la società non aveva chiarito che la
riduzione ed il depauperamento della garanzia patrimoniale
erano state realizzate allorquando la stessa si trovava in
situazione d’insolvenza e dipendevano dalle reiterate
gravi violazioni dei propri obblighi, oltre che al fine di
beneficare le società collegate e la controllante.
Per completezza, la Corte ha esaminato e respinto anche il
secondo motivo, relativo al giudizio negativo sulla
fattibilità del piano, alla stregua della relazione dei
Commissari, evidenziante la stretta dipendenza da una
serie

di

specifiche

condizioni

di

difficile

realizzabilità.
Avverso detta pronuncia ricorre la società J.A.M. s.r.1.,
sulla base di due motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia il vizio
di

violazione

e

sostenendo di avere

falsa

applicazione

art.173

1.f.,

dato contezza, nel ricorso e nei

I /3
L/
5

documenti allegati, della situazione patrimoniale, delle
fideiussioni e svalutazioni operate; che i Commissari
giudiziali a loro volta hanno informato il ceto creditorio
a mezzo della loro dettagliata relazione, ed espresso

parere favorevole all’omologazione del concordato; che i
creditori, infine, hanno votato a favore della proposta,
consapevoli degli atti compiuti dalla società debitrice,
senza subire alcuna coercizione.
Secondo la ricorrente, non ogni atto di frode in senso
lato è idoneo a determinare l’interruzione della procedura
ai sensi dell’art.173 1.f., “ma solo quello che abbia un
nesso strumentale rispetto alla procedura concorsuale e
che sia quindi suscettibile di viziare il consenso
sottostante il negozio tra debitore proponente e creditore
accettante”.
1.2.- Col secondo mezzo, la ricorrente denuncia il vizio
di violazione e falsa applicazione dell’ art.180 1.f.,
sostenendo che erroneamente la Corte del merito si è
espressa sulla convenienza del concordato, giudizio che
spetta invece solo ai creditori.
2.1.- Il primo motivo è infondato.
La Corte d’appello, premesso che “gli altri atti di frode”
di cui all’art.173 1.f.., sono costituiti da tutte le
condotte “dolosamente distrattive o dissipatorie del
patrimonio aziendale poste in essere dall’imprenditore
6

tutte le volte in cui esse hanno determinato o concorso a
determinare (od anche solo ad aggravare) lo stato di crisi
o quello di insolvenza”, con motivazione congrua e
logicamente argomentata, ha evidenziato che la società

proponente si era “ben guardata dal riferire in ricorso ai
propri creditori che le condotte di concessione di
prestiti, garanzie, compensazioni, erano state poste in
essere in stato di insolvenza”, così tenendo una condotta
ingannatoria.
La Corte del merito ha pertanto ritenuto che la società
aveva posto in essere una condotta obiettivamente
ingannatoria e fraudolenta, sottacendo ai creditori che le
operazioni, dalle quali era conseguita la diminuzione del
patrimonio sociale, erano state perfezionate quando la
società si trovava in stato di insolvenza e mediante la
commissione di violazioni reiterate dei doveri di
diligenza e prudenza, oltre che allo scopo di beneficare
la controllante e le collegate.
Così valutando la fattispecie, la Corte territoriale ha
esplicitamente tenuto presente la necessaria correlazione
tra la fraudolenza degli atti e la valenza ingannatoria
nei confronti del ceto creditorio, precisando che nella
specie, la società, con la domanda di ammissione al
concordato, si era limitata “a rappresentare la ridotta
consistenza del proprio patrimonio per effetto degli
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accordi contrattuali conclusi con la controllante e con
gli altri soggetti appartenenti allo stesso gruppo
imprenditoriale, ma senza in alcun modo chiarire che la
riduzione ed il depauperamento della garanzia patrimoniale

si era verificata per effetto delle gravissime e reiterate
violazioni ai propri doveri.”
In tal modo, ritenendo sottaciute dalla società dette
circostanze rilevanti per il giudizio del ceto creditorio,
la Corte del merito ha reso corretta applicazione
dell’art:03 1.f., in relazione al quale questa Corte, tra
le ultime, si è espressa nella pronuncia 13817/2011, nel
senso che in tema di revoca dell’ammissione al concordato
preventivo, secondo il procedimento disciplinato dall’art.
173 1. f., dopo la riforma di cui al d.lgs. 12 settembre
2007, n. 169, la nozione di atto in frode, che opera – ai
sensi del primo comma della disposizione fallimentare cit.
– quale presupposto per detta revoca, esige – alla luce
del criterio ermeneutico letterale, ex art. 12 disp. prel.
cod. civ. – che la condotta del debitore sia stata volta
ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul
giudizio dei creditori, cioè tali che, se conosciute,
avrebbero presumibilmente comportato una valutazione
diversa e negativa della proposta e, dunque, che esse
siano state “accertate” dal commissario giudiziale, cioè
da lui “scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi
8

della procedura o dai creditori ( alla stregua di detto
principio, il S.C. ha ritenuto estraneo alla
qualificazione di ” atto di frode” il comportamento del
debitore che, già nel ricorso, aveva indicato gli atti di

implicanti la concessione di diritti di godimento a terzi
e che, successivamente esaminati dal commissario
giudiziale,

erano

stati

ritenuti

suscettibili

di

depauperare il detto patrimonio).
2.2.- Il secondo motivo resta assorbito dalla reiezione
del primo.
3.1.- Conclusivamente, va respinto il primo motivo del
ricorso, assorbito il secondo.
Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti
gli intimati.
P.Q.M.
La Corte respinge il primo motivo del ricorso, assorbito
il secondo.
Così deciso in Roma, in data 11 dicembre 2013
Il Presidente

disposizione del patrimonio, stipulati anteriormente,

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