Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3540 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2011, (ud. 30/11/2010, dep. 11/02/2011), n.3540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 25771/2009 proposto da:

S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CIPRO 4-H, presso lo studio dell’avvocato SARACENI

STEFANIA, rappresentato e difeso dall’avvocato GRECO Luigi, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato

GOBBI LUISA, rappresentata e difesa dall’avvocato CORRONCA Giuseppe,

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 239/2009 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI del

6/05/09, depositata il 29/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex art. 380 bis.

La Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Oristano, condannava S.G. a pagare a C.L. la somma di Euro 10.018,39. Riteneva infatti che era intercorso tra le parti un rapporto di lavoro subordinato dal 20.5.1994 al 10.12.2002 e che ne derivava il diritto dalla lavoratrice al pagamento delle tredicesime mensilità e del trattamento di fine rapporto, escluso invece il diritto ad un’indennità sostitutiva delle ferie, in difetto di prova al riguardo.

La Corte di merito riteneva che dalla istruttoria esperita risultasse confermata la tesi della attrice di essere stata assunta dallo S. affinchè provvedesse alla assistenza personale di una sua anziana zia, Cu.Sp., allettata, e alle attività di pulizia e riordino della casa; e che il rapporto fosse qualificabile come di lavoro subordinato. In particolare, quanto alla imputazione soggettiva del rapporto, che secondo lo S. era riferibile alla Cu., in cui favore erano state rese le prestazioni e su cui erano gravati i compensi, come evidenziato dalle ricevute prodotte, assumeva rilievo il fatto che era stato lo S. ad effettuare la ricerca della collaboratrice, a contattare la C., a proporle le condizioni e a concordare infine l’assunzione. Nè esisteva alcuna dimostrazione in causa che il rapporto nel suo svolgimento fosse stato gestito dalla Cu., pur risultando che essa era mentalmente vigile. Nè era determinante il fatto che nelle ricevute dattiloscritte, esistenti a partire dal novembre 1999, redatte dallo S., che materialmente eseguiva i pagamenti, si indicasse come autrice del pagamento la Cu., in quanto questa precisazione appariva funzionale a far risultare il dato che i mezzi economici utilizzati erano della zia. Mancava anche la prova che lo S. avesse agito come rappresentante della Cu.. Peraltro la prestazione lavorativa era risultata vantaggiosa anche per lo S., in relazione alla pulizia della casa in cui egli stesso conviveva, come allegato nel ricorso introduttivo, non contestato e confermato da alcune deposizioni.

Circa la qualificazione del rapporto nell’ambito della subordinazione, la sentenza impugnata rilevava che nella specie vi era messa disposizione continuativa delle energie lavorative, predeterminazione della retribuzione avente cadenza mensile (L. 1.200.000), vincolo di orario prestabilito, non inerenza al prestatore degli strumenti di lavoro, ecc. Osservava anche che assume rilievo a delegato la ricorrenza del potere nel suo stato potenziale di facoltà di intervento del datore di lavoro sullo svolgimento della prestazione lavorativa, in relazione ai tipi di rapporto in cui il prestatore conosce esattamente i suoi compiti e li svolge esaurientemente, così come non rileva che non vi siano occasione di esplicazione del potere disciplinare.

Lo S. ricorre per cassazione con tre motivi. La C. resiste con controricorso.

Il primo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 257 c.p.c.. Si sostiene che il quadro probatorio non confortava l’affermazione che la C. si occupava anche della pulizia e del riordino della casa. In effetti il medico curante della Cu. aveva affermato di non avere mai visto la C. sbrigare le faccende domestiche, mentre i testi A. e Co. avevano riferito informazioni fornite dalla stessa attrice.

Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 2697 e 2094 c.c. e art. 116 c.p.c.. Si sostiene che ai fini dell’imputazione del rapporto di lavoro avrebbe dovuto darsi rilievo all’elemento fondamentale rappresentato dal fatto che le prestazioni erano rese in favore della Cu., che le utilizzava. Si censura anche l’affermazione che non era stata contestata la convivenza dello S. con la zia. Egli infatti aveva riferito che si tratteneva a dormire dalla anziana congiunta solo per prestarle assistenza nelle ore notturne e comunque di non averlo fatto per tutto il periodo in questione, e anche le deposizioni erano nello stesso senso.

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2094 c.c., e vizi di motivazione. Premesso che nella stessa sentenza si evidenzia che mancavano prove dell’esercizio del potere direttivo nei confronti della C., in particolare da parte della Cu., si lamenta la violazione del principio secondo cui elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione quale vincolo di soggezione del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro.

Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

Il primo motivo propone una diversa lettura delle risultanze probatorie sulla circostanza, peraltro non determinante, relativa all’estensione delle mansioni della lavoratrice, attribuendo alla deposizione di un teste un valore di esclusione della circostanza in discussione che la stessa non ha alla stessa stregua di quanto di tale testimonianza riferito nel ricorso. Pecca poi di apoditticità la tesi secondo cui gli altri due testi avrebbero parlato “de relato”, dato che tale tesi non è sorretta dal richiamo degli elementi probatori che dovrebbero suffragarla.

Quanto al secondo motivo deve osservarsi che il giudice di merito ha operato una valutazione delle risultanze di causa, al fine di identificare il soggetto che aveva assunto il ruolo di datore di lavoro, che non può ritenersi sindacabile in sede di giudizio di legittimità, non essendo dedotti effettivi aspetti di illogicità di motivazione o errori di diritto. Al riguardo deve in particolare ricordarsi che in effetti non esiste un principio inderogabile per cui titolare di un rapporto di lavoro subordinato deve essere necessariamente lo stesso soggetto che fruisce delle prestazioni (si pensi per esempio alla figura del distacco di un lavoratore presso un’altra impresa) e che nel campo del lavoro domestico la dissociazione tra contraente e beneficiario delle prestazioni può essere dovuto alla non idoneità anche parziale del soggetto che ha necessità delle prestazioni ad intrattenere adeguatamente il rapporto contrattuale e a rivestire il ruolo di datore di lavoro, come può accadere nelle persone anziane (e che la Cu. fosse molto anziana è pacifico), oppure alla mancanza dei necessari mezzi economici del medesimo soggetto. Non risulta quindi illogico il rilievo attribuito nella specie alla fase dell’assunzione e al momento dei pagamenti, anche se effettuati con risorse economiche provenienti dalla beneficiaria delle prestazioni.

La questione relativa alla convivenza o meno, non limitata alla presenza notturna, dello S. con la zia non riveste un ruolo essenziale nella motivazione della sentenza e ai fini della decisione della causa.

Infine, riguardo alla qualificazione del rapporto – punto investito dal terzo motivo – la sentenza risulta compiutamente motivata nel rispetto dei principi applicabili in materia.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese del giudizio vengono regolate facendo applicazione del criterio legale della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio determinate in Euro venti oltre Euro tremila per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. secondo legge.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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