Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3537 del 23/02/2016
Civile Ord. Sez. 6 Num. 3537 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA
ORDINANZA
sul ricorso 1602-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
OLIVIER’ PAOLO ISAIA;
– intimato avverso la sentenza n.215/2013 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA-SEZIONE
DISTACCATA di TARANTO, depositata il 27/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA CRUCITTI.
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Data pubblicazione: 23/02/2016
v
Considerato in fatto e ritenuto in diritto
Paolo Isaia Olivieri, titolare di un’attività di ristorazione, propose ricorso
avverso l’avviso con cui l’Amministrazione finanziaria aveva irrogato le sanzioni
previste dall’art.3, comma 3, del dl. 22.2.2002 n.12, convertito con modificazioni,
dalla legge n.73 del 2002, per avere impiegato un lavoratore irregolare.
La Commissione Provinciale adita accolse il ricorso e la decisione, appellata
Regionale della Puglia-sezione distaccata di Taranto, con la sentenza indicata in
epigrafe.
In particolare, il Giudice di appello riteneva che, a seguito della sentenza
della Corte Costituzionale la quale aveva censurato l’art.3 del d.l. 22 febbraio 2002
n.12, i funzionari dell’INPS avrebbero dovuto accertare il reale periodo di lavoro
irregolare e, soprattutto, l’effettivo inizio del rapporto nello stesso giorno in cui gli
agenti della SIAE hanno effettuato l’accesso, e/o in data antecedente al suddetto
giorno.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrare propone ricorso per cassazione
affidandosi a due motivi.
L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa
applicazione di norme di diritto con riferimento all’art.2, comma 1, del decreto
legislativo 31.12.1992 n.546 laddove la C.T.R. non aveva dichiarato la propria
carenza di giurisdizione in virtù della sentenza n.130/2008 con la quale la Corte
Costituzionale aveva dichiarato l’ illegittimità costituzionale del predetto art.2 nella
parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle
sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari anche laddove esse conseguano alla
violazione di disposizioni non aventi natura tributaria.
La censura è inammissibile alla luce del principio già sancito in materia da
questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 24079 del 12/11/2014) la quale ha statuito che
“per effetto della sentenza n. 130 del 2008 della Corte costituzionale, che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 del digs. 31 dicembre 1992, n. 546
(come sostituito dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448), le
controversie aventi ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per impiego
di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie non sono più devolute alla
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dall’Agenzia delle Entrate, è stata confermata dalla Commissione Tributaria
giurisdizione del giudice tributario. Ove, peraltro, il giudizio sia stato instaurato
innanzi al giudice tributario, il quale abbia deciso nel merito, senza che la questione
di giurisdizione sia stata oggetto di impugnazione in appello, il difetto di
giurisdizione non può essere ulteriormente dedotto per essersi formato il giudicato
sul punto, dovendosi ritenere che il limite delle situazioni già esaurite e il principio
costituzionale della durata ragionevole del processo rendano inammissibile la
ricorso) contenute in appello non paiono integrare specifico motivo di
impugnazione relativo al difetto di giurisdizione.
Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione
deLl’art.3, comma 3, del dl. n.12 del 2002 laddove la C.T.R. aveva annullato l’avviso
di irrogazioni sanzioni malgrado il contribuente non avesse fornito alcuna prova
contraria alla presunzione temporale contenuta nella predetta norma.
La censura è fondata. Ed invero, costituisce ius reaptum in materia, che in
tema di sanzioni amministrative per impiego di lavoratori non risultanti dalle
scritture obbligatorie, l’art. 3, terzo comma, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv.
nella legge 23 aprile 2002, n. 73 – il quale prevede l’applicazione della sanzione
amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore
irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi
nazionali, per il periodo compreso dall’inizio dell’anno e la data della contestazione
della violazione – è stato introdotto per inasprire ulteriormente il trattamento
sanzionatorio per coloro che continuino ad impiegare lavoratori irregolarmente,
nonostante le agevolazioni di varia natura colte ad incentivare l’emersione del
lavoro sommerso. Il predetto meccanismo presuntivo esclude qualsiasi obbligo
dell’ente, che irroga la sanzione, di provare l’effettiva prestazione di attività
lavorativa subordinata per il periodo intermedio compreso tra il giorno di
accertamento dell’infrazione ed il primo gennaio dello stesso anno e prescrive al
medesimo ente di commisurare la sanzione a quella durata, fino a prova contraria,
facente carico all’autore della violazione (Cass.SS.UU. n.365/2010, Cass. n.25716/
2013).
La
sentenza
impugnata,
addossando
l’onere
probatorio
all’Amministrazione finanziaria si è discostata dai superiori principi per cui si va
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relativa eccezione”. E, nella specie, le generiche richieste (come riportate in
cassata con rinvio al Giudice di merito il quale provvederà al riesame, adeguandosi
ai principi esposti, oltre che al regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia
alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione,
anche per il regolamento delle spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma il 3 febbraio 2016.