Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3535 del 13/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 3535 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso 11089-2008 proposto da:
POSTE

ITALIANE

S.P.A.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio
dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2012
4306

contro

BIANCHI FABRIZIO, elettvamente domiciliato in ROMA,
VIA CAVOUR, 221, presso lo studio dell’avvocato
FABBRINI FABIO, che lo rappresenta e difende giusta

Data pubblicazione: 13/02/2013

delega in atti;
controricorrente

avverso la sentenza n.

3877/2005 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 19/04/2007 R.G.N. 1419/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
Consigliere Dott. VINCENZO

DI CERBO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 13/12/2012 dal

11089.08

Udienza 13 dicembre 2012

Pres. F. Roselli
Rei. V. Di Cerbo

SENTENZA

1. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato la
nullità del termine apposto al contratto di lavoro, con decorrenza 23 ottobre 1998,
stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Fabrizio Bianchi; con la stessa sentenza è stata
dichiarata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; il lavoratore
ha resistito con controricorso.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della
statuizione sull’illegittimità del termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto
in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data
successiva al 30 aprile 1998.

5. La società ricorrente censura tale statuizione con i primi tre motivi di ricorso che, in
quanto logicamente connessi, devono essere esaminati contestualmente. Tali motivi,
con i quali si denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2
della legge n. 230 del 1962, dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e degli artt.1362 e
segg. cod. civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e di altre norme
collettive, nonché vizio di motivazione, sono infondati e devono essere pertanto
rigettati.
6.

Ed infatti, sulla scia di Cass. 5.13. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che

l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge
n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato de/lavoro idonea garanzia per i lavoratori
ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a
tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a
3

FATTO E DIRITTO

7. Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di
nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al
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caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 6° e 7 della
legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
8.

In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina dei rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27
febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso
che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta,
oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne
consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza
della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi
di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità
del termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il
ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data
di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, tali motivi devono essere altresì
corredati, a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato
quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi
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tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006
n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi,
una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne
sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano dello
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra
le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro,
ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza
determina la nullità della clausola di opposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23
agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in
particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche
qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e
con il successivo accordo attua tivo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30
aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass.
1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

applicabile; in caso di assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle
conseguenze economiche dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi
inerenti tale aspetto pregiudiziale produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito
relative a tali conseguenze.
Nel caso in esame il quarto motivo investe il tema al quale si riferisce la disciplina di cui
all’art. 32 prima citato. Con tale motivo, con il quale è stata denunciata violazione e
falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ., parte ricorrente lamenta, in
particolare, la violazione dei principi in tema di mora accipíendi e l’omessa valutazione
dell’aliunde perceptum anche in relazione all’applicazione dell’onere della prova. Il
motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.: 1)

per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha
diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio,
salvo che abbia costituito in mora il datare di lavoro, offrendo espressamente la
prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.
10. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in
astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto
rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi
enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n.
36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente
riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito
generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come
nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
11. Il ricorso va pertanto respinto.
12. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140
(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per
compensi professionali e oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 dicembre 2012.

9.

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