Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3534 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/02/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 13/02/2020), n.3534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25560-2018 proposto da:

R.R. in proprio e nella qualità di erede di W.F.,

W.V., W.E., in proprio e nella qualità di eredi di

W.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TARANTO 44, presso lo

studio dell’avvocato FELICE FAZIO, che li rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.F., F.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA VALADIER 39, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO ERAMO,

che li rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1406/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIANNITI

PASQUALE.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. R.R., in proprio e quale moglie erede del defunto W.F., nonchè W.V. ed W.E., nella qualità di figli eredi del predetto defunto, ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 1406/2018 della Corte di Appello di Roma che – accogliendo parzialmente l’impugnazione principale proposta da V.F. e F.S. e respingendo l’impugnazione incidentale da loro proposta – ha parzialmente riformato la sentenza n. 909/2011 del Tribunale di Frosinone, che aveva dichiarato risolto il preliminare di vendita (intercorso in data 28/4/2003 tra i coniugi W. ed i coniugi V. ed avente ad oggetto una villa su due livelli in Ceprano) per inadempimento dei promittenti acquirenti (i coniugi V. per l’appunto).

2. Hanno resistito con controricorso V.F. e F.S..

3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. In vista dell’odierna adunanza entrambe le parti hanno presentato memoria a sostegno dei rispettivi assunti.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. I ricorrenti con un unico motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciano la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 1 nella parte in cui la corte territoriale ha omesso di rilevare d’ufficio la tardività della domanda, proposta dalla controparte in grado di appello, di restituzione degli acconti versati.

Sostengono che tale domanda era stata prospettata in secondo grado sulla base di un nuovo petitum (inadempimento dei promissari acquirenti rispetto al contratto preliminare di vendita del 28/04/2003, come accertato con la stessa sentenza di primo grado passata in giudicato su tale capo), in sostituzione di quello originario dedotto in primo grado (inadempimento dei promittenti venditori rispetto al medesimo contratto), nonchè di una nuova causa petendi rispetto alla domanda di restituzione degli acconti versati pari ad Euro 156 mila, laddove tale restituzione era stata chiesta, in primo grado, per fatto imputabile ai promittenti venditori (in dipendenza dell’avvenuto recesso), e, in secondo grado, per fatto imputabile ai promissari acquirenti (in dipendenza dell’avvenuta risoluzione del rapporto contrattuale, disposta con la sentenza di primo grado).

Per tale ragione deducono che la domanda restitutoria avrebbe dovuto essere ritenuta nuova, e, in quanto tale, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per violazione del divieto di nova in appello, sancito dall’art. 345 c.p.c..

2. Preliminarmente il Collegio non condivide la proposta del Consigliere relatore nella parte in cui indica il ricorso come inammissibile perchè non rispettoso delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c. Invero, in relazione al motivo svolto, l’unico onere formale in capo ai ricorrenti era quello di riprodurre per intero le conclusioni svolte dai coniugi V.- F.: dapprima, in comparsa di costituzione e risposta; poi, nella comparsa conclusionale; e, infine, nell’atto di appello.

3. Passando al “merito cassatorio”, al fine di decidere sulla censura proposta, occorre ripercorrere l’iter motivazionale seguito dalle due sentenze di merito.

3.1. Il Tribunale, dopo aver dichiarato risolto il preliminare di vendita, in punto di quantum: aveva ritenuto non provato il danno riconducibile all’onerosità del mutuo, stipulato dai coniugi W., a causa della mancata disponibilità dei flussi che gli stessi coniugi avrebbero percepito dalla vendita; aveva ritenuto esplorativa la richiesta di c.t.u.; ed aveva ritenuto insufficiente il contenuto dell’atto pubblico di vendita a terzi del cespite ai fini della prova del minor importo al quale lo stesso sarebbe stato venduto tre anni dopo la stipula del preliminare. Tuttavia, il giudice di primo grado aveva condannato i promittenti acquirenti (i coniugi V. per l’appunto) al risarcimento del danno, che aveva liquidato in via equitativa, riconoscendo il diritto dei promissari venditori a trattenere, a titolo di ristoro del pregiudizio subito, la caparra ed i successivi acconti per complessivi circa 156 mila Euro.

3.2. La Corte territoriale – dopo aver confermato la configurabilità di un rapporto di causalità tra la mancata stipula del rogito, imputabile ai promittenti acquirenti, e la necessità di accedere al finanziamento bancario per l’acquisto degli appartamenti in Roma (risultando dai patti della separazione l’impegno dei coniugi ad utilizzare a tale fine i proventi della vendita della villa di Ceprano) – ha ritenuto a sua volta esplorativa la c.t.u. diretta ad addivenire ad un calcolo dei costi del mutuo (in quanto, non essendo stato neppure prodotto il contratto di mutuo e non essendo stato neppure indicata la durata residua del mutuo, il fatto che non era possibile pervenire ad una liquidazione degli oneri del finanziamento era imputabile ad una lacuna probatoria da parte dei presunti danneggiati); come pure ha ritenuto a sua volta non provato il danno connesso al minor introito derivato dalla successiva vendita della villa di Ceprano (non essendo indicati nell’atto pubblico i mezzi di pagamento del corrispettivo).

A questo punto la Corte di merito si è posta il problema se, essendo mancata la prova del danno, fosse stata legittima la liquidazione dello stesso, operata dal giudice di primo grado in via equitativa, pervenendo a risposta negativa, in quanto, per principio generale, la liquidazione equitativa del danno presuppone che risulti obiettivamente impossibile e particolarmente difficile, per la parte interessata, provare nel suo preciso ammontare un danno, di per sè indubbiamente sussistente, mentre nel caso di specie non era impossibile e neppure eccessivamente difficoltoso provare i costi del finanziamento e l’ammontare del prezzo della seconda alienazione ai fini di una precisa liquidazione del danno.

Per tale ragione, la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha escluso il diritto di R.R., nonchè di W.V. ed W.E. di trattenere gli acconti versati dai promittenti acquirenti e per l’effetto ne ha disposto la restituzione ai coniugi V.- F..

4. Tanto premesso, il ricorso non è fondato.

E’ jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui la richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è per ciò ammissibile in appello.

Di tale principio di diritto ha fatto implicita corretta applicazione la Corte territoriale nel caso di specie nel quale: a) il Tribunale, dichiarato risolto il contratto, aveva ritenuto il danno non provato nel suo preciso ammontare e lo aveva liquidato in via equitativa, riconoscendo ai promissari venditori (i signori R. e W.) il diritto a trattenere, a titolo di risarcimento del danno, gli acconti percepiti per complessivi circa 156 mila Euro dai promissari acquirenti (i coniugi V.- F.); b) questi ultimi avevano impugnato la sentenza di primo grado sostenendo che gli attori in primo grado non avevano provato i danni, che assumevano di aver subito per effetto del loro inadempimento, e avevano espressamente chiesto la restituzione degli acconti che avevano versato; c) la tesi degli appellanti è stata fatta propria dalla corte di merito, che ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado; d) gli odierni ricorrenti (i signori R. e W.) si dolgono che i coniugi V.- F. in sede di appello hanno introdotto un nuovo petitum ed una nuova causa petendi: la domanda di restituzione degli acconti versati, dunque, sarebbe stata tardivamente posta in appello.

L’infondatezza del ricorso consegue al fatto che dalla stessa esposizione del ricorso (cfr., in particolare, pp. 8-10) si comprende che il riconoscimento del diritto alla restituzione delle somme, a suo tempo versate a titolo di acconto prezzo, quale conseguenza della dichiarata risoluzione contrattuale per inadempimento, non ha formato oggetto di una domanda nuova da parte dei promissari acquirenti, ma è stata soltanto una implicazione della anticipata riforma della decisione del Giudice di primo grado, che aveva accolto la domanda dei promissari venditori, diretta a far considerare la somma ad essi versata come da trattenersi a titolo di danno.

In definitiva, nella specie non è ravvisabile nè un’ipotesi di mutatio libelli nè di emendatio libelli, in quanto gli odierni

controricorrenti fin dal primo grado avevano chiesto la restituzione delle somme, che avevano versato in acconto prezzo ma che si erano trasformate in ammontare del danno per effetto della sentenza del giudice di primo grado (sul punto riformata dalla sentenza impugnata). Ed il loro diritto alla restituzione di quanto versato rappresenta una conseguenza della sentenza impugnata, che, riformando quella di primo grado, ha fatto venire meno ex tunc il titolo delle attribuzioni dalla stessa disposte.

5. Nonostante il rigetto del ricorso, si ravvisano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità, avuto riguardo agli esiti contrastanti dei due giudizi di merito ed al disposto dell’art. 91, nella formulazione vigente nel 2005, anno a cui risale la notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.

Al rigetto del ricorso consegue tuttavia declaratoria di sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara compensate tra le parti le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 13 febbraio 2020

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