Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3533 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/02/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 13/02/2020), n.3533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25501-2018 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EURIPIDE 10,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO MANTEGAZZA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SALVATORE MAZZOTTA;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo

studio dell’avvocato ROSARIO LIVIO ALESSI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GAETANO ALESSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3393/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIANNITI

PASQUALE.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. C.D. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 3393/2018 della Corte di appello di Roma, che accogliendo parzialmente l’impugnazione da lui proposta nei confronti di S.A. e della compagnia Sara Assicurazioni s.p.a. – ha parzialmente riformato la sentenza n. 4289/2015 del Tribunale di Roma (che, ritenuta fondata la domanda risarcitoria da lui proposta in relazione all’infortunio occorso nel mese di ottobre 2009), aveva condannato convenuti al pagamento della somma di Euro 55.146,91, oltre accessori, ed alla rifusione del 50% delle somme liquidate, nonchè in solido al pagamento in suo favore dell’ulteriore somma di Euro 6.000, oltre accessori ed alla rifusione dell’intero importo delle spese processuali relative al primo grado.

2. Ha resistito con controricorso la Sara Assicurazioni s.p.a..

3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. In vista dell’odierna adunanza non sono state depositate memorie.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il C. – che è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato – censura la sentenza impugnata per sei motivi, di cui i primi 4 articolati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e gli ultimi due in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

1.1. Con i primi quattro motivi il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione:

– degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c., nonchè gli artt. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che lui aveva dichiarato di scegliere un lavoro part time per poter proseguire il lavoro (mentre si era trattato del solo espediente che gli aveva permesso di non perdere il lavoro) e nulla ha statuito circa il risarcimento del richiesto danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa incidente sull’attività lavorativa che svolgeva nel periodo in cui fu coinvolto nel sinistro (operaio impiegato presso l’autofficina ricambi della società Dimar), senza considerare che la modificazione dell’orario di lavoro aveva per lui comportato un ingresso economico pari a circa la metà, con conseguenze economiche anche sulla futura base pensionistica;

– degli artt. 1223 e 1226 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale, avendo lui data prova materiale e presuntiva dell’esistenza del danno, non aveva liquidato quest’ultimo su basi equitative, trattandosi di un caso in cui la percentuale di invalidità permanente si presentava elevata;

– dell’art. 40 c.p. e art. 1227 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale non ha liquidato nulla a tale titolo nonostante lui avesse provato che la riduzione della sua capacità lavorativa si era tradotta in un effettivo pregiudizio economico;

– dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 nella parte in cui ha applicato nella specie il principio stabilito da questa Corte con sentenza n. 21062/2009, senza considerare che detto principio era stato affermato in relazione a fattispecie diversa, perchè relativa ad un danno da micropermanente e a spese professionali, e, contrariamente al vero, ha ritenuto non prodotti i modelli 730 del 2010 e del 2011, relativi rispettivamente ai redditi del 2009 e del 2010.

1.2. Con gli ultimi due motivi il ricorrente denuncia la violazione del principio della disponibilità delle prove (art. 115 c.p.c.), nonchè nullità del capo della sentenza censurato per motivazione incoerente, irriducibilmente illogica e incomprensibile. Sotto il primo profilo deduce che la Corte territoriale ha errato nell’individuare il contenuto oggettivo delle prove assunte, e, precisamente, nel ritenere non prodotte le denunce redditi 2009-2011 (dalle quali risultava una perdita netta annuale di circa 8 mila Euro). Sotto il profilo motivazionale poi, deduce l’erroneità del percorso argomentativo della Corte laddove la stessa, ha ritenuto che la modifica delle condizioni di lavoro era stata una sua scelta (mentre era stata una necessità, causalmente collegata alla gravità dell’incidente sofferto) ed aveva ritenuto non provata la riduzione del reddito (senza spiegare perchè la trasformazione di un contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non dovrebbe aver influito nella percezione del reddito).

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Si premette che la Corte territoriale – dopo aver rilevato che l’appellante intendeva dimostrare con la invocata c.t.u. che aveva risentito pregiudizi psicologici post traumatici e dopo aver dichiarato inammissibile la nuova domanda di risarcimento danni così proposta in atto di appello, basandosi la stessa su una prospettazione causale del tutto diversa da quella già accertata in primo grado – ha affrontato la questione della congruità delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno, argomentando la conferma della sentenza di primo grado sulla base dei seguenti rilievi: a) la liquidazione del danno da c.d. cenestesi lavorativa prevede la prova del requisito medico della perdita o della diminuzione della capacità di svolgere una determinata attività lavorativa, nonchè del fatto che la precedente attività lavorativa non sia stata più svolta o sia stata svolta in misura minore dopo il sinistro; b) nel caso di specie, il c.t.u. aveva escluso che fosse intervenuta riduzione della capacità specifica di svolgere attività lavorativa in genere, e, d’altra parte, l’interessato, nel giudizio di primo grado, non aveva dato prova della riduzione del reddito percepito prima e dopo il sinistro, mentre nell’atto di appello aveva dedotto il decremento patrimoniale in termini del tutto generici, senza fornire alcun elemento concreto a sostegno della sua iniziale domanda di risarcimento del danno patrimoniale.

2.2. Tanto premesso, l’inammissibilità del ricorso consegue in primo luogo al fatto che lo stesso, in tutti e 6 i motivi in cui è articolato, non è rispettoso delle prescrizioni imposte dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (si richiama, al riguardo, la consolidata giurisprudenza della Corte, a partire dall’ordinanza n. 22303 del 2008 e dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 28547 del 2008): il ricorrente pretende di discutere della sentenza impugnata sulla base di una serie di rilievi, che formula su risultanze delle quali non fornisce l’indicazione specifica e riguardo alle quali nemmeno precisa come e dove furono introdotte ed entrarono nel giudizio (in particolare, in quello di appello).

L’inammissibilità del ricorso consegue altresì dal fatto che:

– quanto ai primi quattro motivi, articolati in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, nella sentenza impugnata, della fattispecie astratta, prevista da una norma di legge; mentre nella specie il ricorrente sostanzialmente si duole dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta sulla base delle acquisite risultanze processuali, e, così operando, non solleva alcun problema interpretativo delle norme denunciate, ma rimette in discussione l’accertamento di fatto, compiuto dal giudice di merito e sottratto al sindacato di questo giudice di legittimità. Inoltre il ricorrente: a) nel primo motivo, argomenta sulla portata indiziaria dell’accordo di trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, ma omette di trascriverlo o comunque di riportarne i passi essenziali e neppure indica dove detto documento si trovi e in quale momento sia stato acquisito; evoca la violazione delle norme sulle presunzioni senza rispettare i criteri indicati dalle Sezioni Unite con sentenza n. 1785 del 2018 (si cfr. il punto 4.1 della motivazione, che ad oggi non risulta massimato) ed in realtà sollecitando un riesame della quaestio facti, precluso a questa Corte; b) nel motivo secondo, evoca la violazione degli artt. 1223 e 1227 c.c., ma non considera che, non essendo stato dimostrato il danno patrimoniale, la corte non avrebbe mai potuto liquidarlo, neppure in via equitativa; c) nel terzo motivo evoca ancora la violazione dell’art. 1227, in tema di concorso del fatto colposo del creditore, ma, nell’illustrare il motivo, si limita sostanzialmente a richiamare principi di diritto, senza indicare le ragioni per le quali essi sarebbero idonei a risolvere la quaestio iuris in senso a lui favorevole; d) nel motivo quarto, dimentica che, a seguito dell’entrata in vigore del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, il controllo di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., nella specie indubbiamente rispettato;

– e, quanto agli ultimi due motivi, articolati in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. senza tener conto di quanto indicato da questa Sezione con sentenza n. 16598 del 578/2016, rv. 640192-01 (e ribadito dalle Sezioni Unite con successiva sentenza n. 16598 del 5/8/2016, rv. 640829-01 in particolare nel paragrafo 14 della motivazione); afferma di avere regolarmente depositato in giudizio la denuncia dei redditi 2009, 2010 e 2011, che non trascrive, ma dimentica che rimedio esperibile sarebbe stato quello revocatorio, come pure dimentica ancora una volta che il controllo motivazionale è oggi consentito soltanto sotto il profilo di omesso esame di fatto decisivo e controverso. Peraltro, il motivo sesto dipende dal quinto, del quale subisce la sorte.

3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, ma, tenuto conto del fatto che il ricorrente è stato ammesso al beneficio del gratuito patrocinio, non consegue sussistono i presupposti per il pagamento a suo carico dell’importo, previsto per legge.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 13 febbraio 2020

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