Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3532 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/02/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 13/02/2020), n.3532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25483-2018 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 118, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO POLINARI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.C., B.P., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

ANTONIO CHINOTTO 1, presso lo studio dell’avvocato LILIA GRENGA, che

le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2923/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIANNITI

PASQUALE.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. C.G. ricorre avverso la sentenza n. 2923/2018 della Corte di Appello di Roma che ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per revocazione, dallo stesso proposta avverso la sentenza n. 1376/2015 della stessa Corte nei confronti di B.P. e B.C., quali eredi della defunta G.G..

In sintesi: il giudizio aveva tratto origine dalla domanda proposta dalla G. per ottenere la declaratoria di occupazione senza titolo di una cantina, distinta con il n. 16 occupata dal C., sita nello stabile di Corso Trieste 56, Roma; e dalla domanda riconvenzionale, proposta dal C., per ottenere l’accertamento dell’intervenuta usucapione.

La Corte territoriale con sentenza n. 1376/2015 aveva ordinato al C. il rilascio della cantina.

Il C. in sede di revocazione aveva sostenuto l’errore di fatto della Corte territoriale, in quanto lui aveva individuato la cantina n. 16 secondo le risultanze della espletata c.t.u. (in quella che si raggiunge dopo aver percorso un corridoio, girando a sinistra, percorrendo un altro corridoio e poi girando a destra) mentre la Corte l’avrebbe erroneamente individuata secondo le indicazioni rese dal teste Romano (in quella, occupata da tale B., collocata perpendicolarmente alle scale di accesso alle cantine). Secondo l’odierno ricorrente, l’errore di fatto commesso dalla Corte territoriale sarebbe stato quello di non accertare che la cantina, di cui lui aveva chiesto declaratoria di acquisto per usucapione, non era quella occupata dal B..

2. Hanno resistito con un unico controricorso B.P. e B.C..

3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. In vista dell’odierna adunanza parte ricorrente ha depositato memoria a sostegno del ricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il C. con un solo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4 nella parte in cui la Corte territoriale, quale giudice della revocazione, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione sul presupposto che il fatto in esame era un punto centrale della controversia.

Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, l’errore era afferente (non all’accertamento della domanda riconvenzionale e, quindi, alla prova del possesso ultraventennale della cantina, ma) all’individuazione della cantina stessa, di cui lui aveva chiesto declaratoria di usucapione: si sarebbe trattato quindi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile che aveva portato ad affermare l’inesistenza di un fatto decisivo, fatto che al contrario dagli atti e dai documenti risultava positivamente provato.

2.In primo luogo, va affermata la procedibilità del ricorso ai sensi e per gli effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 1. Invero, la sua notifica è avvenuta a mezzo del servizio postale. Le notificazioni sono state spedite in data 25 luglio 2018 e sono state ricevute in data 27 luglio 2018 da parte del portiere dello stabile, dove era ubicato lo studio del procuratore di parte intimata. Trattandosi di consegna a persona diversa dal destinatario, la notifica si perfezionava (non con la consegna del plico, ma) con la spedizione della comunicazione ex art. 139 c.p.c.. Detta comunicazione è avvenuta in data 27 luglio 2018, per cui il termine di venti giorni scadeva lunedì 17 settembre 2018, mentre il ricorso risulta depositato il 14 settembre 2018 (e soltanto per una anomalia del programma telematico delle iscrizioni risulta caricato il 18 settembre 2018, a termine già spirato).

3. Il ricorso, pur salvandosi dalla declaratoria di improcedibilità, non si salva tuttavia dalla declaratoria di inammissibilità dell’unico motivo proposto.

In primo luogo, perchè il ricorso è del tutto inosservante delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (si cfr. la consolidata giurisprudenza della Corte, a partire dall’ordinanza n. 22303 del 2008 e dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 28547 del 2008).

Inoltre, parte ricorrente nemmeno si preoccupa di criticare la motivazione con cui la corte territoriale, dopo aver puntualmente indicato le ragioni per cui era indubbio l’errore commesso dalla corte d’appello, ha escluso che egli avesse dedotto un vizio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4: infatti, parte ricorrente si astiene dal criticare l’affermazione, contenuta in sentenza, che la sua censura fosse relativa alla “valutazione del fatto e delle prove”, come pure si astiene dallo spiegare perchè la corte territoriale avrebbe avuto torto a dire che il punto era controverso, cosa che al contrario traspare apertis verbis dalla puntuale trascrizione del motivo di ricorso per revocazione (che si ritrova nell’incipit della motivazione della sentenza impugnata).

3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonchè declaratoria di sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 13 febbraio 2020

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