Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3532 del 13/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 3532 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 22548-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in
legale rappresentante

Ero

_22E2/2:

persona

del

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2012
contro

4220
LATTARULO DOMENICO;

– intimato avverso la sentenza n.

1873/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 13/02/2013

di ROMA, depositata il 24/09/2007 R.G.N. 10162/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/12/2012 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega FIORILLO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA p che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

-777

LUIGI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Poste Italiane s.p.a., con lettera del 12.3.99, intimava il licenziamento al
proprio dipendente Lattarulo Domenico ) per aver indebitamente ed
illecitamente trattenuto importi relativi ai contrassegni di numerosi pacchi
regolarmente consegnati ai destinatari nonché per assenza ingiustificata
dal posto di lavoro successivamente al periodo di malattia terminato il
12.8.98.
Il Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro dichiarava la

illegittimità del detto licenziamento,ordinando a Poste Italiane di reintegrare
il dipendente nel suo posto di lavoro con la condanna al risarcimento del
danno pari a tutte le mensilità maturate dal licenziamento fino alla
reintegra.
Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma, con
sentenza del 24 settembre 2007, sulla scorta delle seguenti
argomentazioni: a) riguardo al primo addebito, il licenziamento risultava
intempestivo,essendo stato intimato ad oltre sette anni dai fatti contestati e
dopo che nell’immediatezza degli stessi la società aveva disposto il
trasferimento del Lattarulo ad attività non comportanti maneggio di denaro,
così dimostrando, quindi, di voler adottare una linea disciplinare
conservativa del rapporto dì lavoro, ciò anche in considerazione del fatto
che il dipendente aveva ammesso, da subito, agli ispettori della società
l’addebito sicché non vi era alcuna ragione di attendere l’esito del
procedimento penale iniziato a suo carico; b) quanto al secondo addebito,
relativo all’ingiustificata assenza del Lattarulo, dalla istruttoria era emerso
che quest’ultimo aveva inoltrato in data 14.8.98 missiva contenente la
richiesta di mesi 4 di congedo straordinario non retribuito, lettera che
inizialmente era andata smarrita dalla società ma, poi, successivamente e,
comunque, prima dell’irrogazione del licenziamento, era stata recapitata al
competente ufficio. In sentenza si evidenziava, altresì, che non vi era agli
atti alcuna allegazione o riscontro in merito alla circostanza dello stato di
detenzione del Lattarulo che avrebbe potuto indurre la società ad altre
scelte di recesso, non azionate nel giudizio, e perciò estranee allo stesso
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso le Poste Italiane s.p.a.

affidato a due motivi.
Il Lattaruio è rimasto intimato,
MOTIVI DELLA DECISIONE
1

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
dell’art.7 L. n. 30011970 con riguardo alla ritenuta mancanza di
immediatezza della contestazione disciplinare rispetto all’accadimento dei
fatti.
Si assume che non era condivisibile l’affermazione della Corte di merito
relativa al fatto che, avendo nell’immediatezza dei fatti il Lattarulo reso
piena confessione in ordine agli addebiti, era stato del tutto inutile attendere
l’esito del giudizio penale prima di inviare la lettera di contestazione

disciplinare. Secondo la ricorrente, infatti, quando il fatto oggetto
dell’addebito disciplinare rileva anche su quello penale, la compatibilità fra il
principio della immediatezza della contestazione e l’intervallo necessario
all’accertamento della condotta del lavoratore ed alle adeguate valutazione
di questa deve portare ad escludere che incorra nella violazione di detto
principio il datore di lavoro che scelga di attendere l’esito degli accertamenti
svolti in sede penale. Viene formulato quesito di diritto.
Il motivo è infondato oltre che generico rispetto alle motivazioni addotte
dalla Corte.
In merito alla esatta portata del principio della immediatezza della
contestazione disciplinare desumibile dal disposto dell’art. 7 della L. 20
maggio 1970 n. 300, questa Corte ha avuto modo di affermare che detto
principio, nell’ambito di un licenziamento per motivi disciplinari, pur
dovendo essere inteso in senso relativo, comporta che l’imprenditore porti a
conoscenza del lavoratore i fatti contestati non appena essi gli appaiono
ragionevolmente sussistenti, non potendo egli legittimamente dilazionare la
contestazione fino al momento in cui ritiene di averne assoluta certezza, (v.
fra le molte, Cass. 18/01/2007 n. 1101 ; Cass. 12 maggio 2005 n. 9955;
Casa. 13 giugno 2006 n. 13621).
Tale insegnamento correttamente è stato applicato dalla Corte di merito
al caso in esame in cui il Lattaruio, in sede ispettiva, immediatamente
ammise gli addebiti sicchè la società sin da tale momento era in possesso
di tutti gli elementi per decidere se procedere alla contestazione
disciplinare degli stessi e, quindi, di valutare la sanzione disciplinare da
irrogare senza alcuna necessità di attendere l’esito delle indagini svolte in

sede penale.
L’aver lasciato trascorrere un lasso di tempo così ampio — circa sette anni
— prima di procedere al licenziamento – e l’essersi limitata, nell’immediato,
a trasferire il dipendente ad altro incarico sono comportamenti della società

2

che correttamente la Corte di merito ha valutato come idonei a generare
nel lavoratore la convinzione che il datore di lavoro avesse inteso adottare
una “linea disciplinare conservativa del rapporto. Ciò in linea con il rilievo il
rispetto del principio di immediatezza va valutato anche in relazione alle
clausole generali di correttezza e buona fede, onde evitare la frustrazione
del giusto affidamento, che – in dipendenza della contestazione non
immediata, appunto – il prestatore possa ragionevolmente ricavare circa la

che ne costituisce, infatti, una facoltà e non già un obbligo (in tal senso
vedi, Cass. n. 18155 del 2006, in motivazione; Cass. n. 16754/2003).
In relazione a tale argomentazione pure utilizzata nell’impugnata sentenza
il motivo non muove alcuna censura.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli
artt. 1175, 1375 e 2105 c.c. in quanto la Corte di appello aveva omesso di
pronunciarsi su un aspetto, quello della buona fede e correttezza nella
esecuzione del contratto di lavoro, che imponeva al dipendente di
comunicare alla società il suo stato di detenzione limitandosi a valutare
solo il tema della ricezione della richiesta di congedo avanzata dal Lattarulo
mentre era in stato di detenzione.
Tale censura è inconferente in quanto non tiene conto della motivazione
della Corte di Appello la quale aveva rilevato che non vi era stata alcuna
allegazione né era stato fornito alcun riscontro alla circostanza relativa allo
stato di detenzione del Lattarulo.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo rimasto
il Lattarulo intimato.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 7 dicembre 2012.

scelta del datore di lavoro di non esercitare il proprio potere disciplinare,

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