Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3531 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3531 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso 10337-2013 proposto da:
IENNACO MARIO NNCMRC78A28F839Z, elettivamente
domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9,
presso lo studio dell’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRIOLO
GIOVAMBATTISTA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580, in persona del legale rappresentante pro tempore,
.elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

Data pubblicazione: 14/02/2014

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;

resistente

avverso il decreto n. 18/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO;
udito l’Avvocato Roda Ranicri (delega Abbate) difensore del ricorrente
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Ric. 2013 n. 10337 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-2-

PERUGIA del 17/09/2012, depositato il 09/01/2013;

Ritenuto in fatto
Il sig. lennaco Mario chiedeva alla Corte d’appello di Perugia, con ricorso depositato
il 21 maggio 2010, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della legge 24
marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo instaurato

primo grado con sentenza depositata nell’aprile 2009, invocando, la condanna del
Ministero dell’Economia e delle Finanze al risarcimento dei danni non patrimoniali
subiti per la irragionevole durata complessiva del predetto giudizio.
Nella costituzione del resistente Ministero, l’adita Corte di appello, con decreto
depositato il 9 gennaio 2013, accertava l’irragionevole ritardo del suddetto giudizio
amministrativo nella misura di un anno e due mesi, condannando l’Amministrazione
convenuta al pagamento della somma di euro 600,00 (applicando il parametro
generale di liquidazione — riferibile ai giudizi amministrativi – di euro 500,00 per ogni
anno di ritardo), oltre interessi dalla domanda, con ulteriore condanna della stessa
Amministrazione alla rifusione delle spese giudiziali (da distrarsi in favore dei
difensori antistatari).
Avverso il suddetto decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione il sig.
lennaco Mario con atto notificato il 16 aprile 2013, sulla base di due motivi. L’intimato
Ministero ha depositato mera memoria difensiva ai fini dell’eventuale partecipazione
all’udienza di discussione.

Considerato in diritto
1. In via preliminare, il Collegio rileva che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso
la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.

con ricorso depositato nel mese di aprile 2004 dinanzi al T.AR. Lazio, definito in

Invero, l’art. 70, secondo comma, c.p.c., quale risultante dalle modifiche introdotte
dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire
nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta

legge n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero presso la Corte di
cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze
dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici
della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla
sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura
civile». L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita
sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di
consiglio».

Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge
di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione
dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis,
secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la
disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di
fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire
dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

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l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-

Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art.
376, primo comma, c.p.c.), consenta di ritenere, non solo, che la detta sezione è
abilitata a tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali, ma anche che

partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà
dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato adottato in
data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica è stata
ritualmente celebrata senza la partecipazione del rappresentante della Procura
generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia
integrale del ruolo di udienza era stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico
che giustificasse la propria partecipazione ai sensi del citato art. 70, terzo comma,
c.p.c. .
2. Ciò posto, rileva il collegio che, con il primo motivo dedotto, il ricorrente ha
denunciato (ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) la supposta violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, non avendo la Corte
territoriale liquidato l’importo di euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata
complessiva del giudizio presupposto (limitando il riconoscimento dell’equo
indennizzo alla sola durata ritenuta irragionevole di tale giudizio).
3. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 91 c.p.c., anche in relazione alla violazione dei criteri — ai fini
della liquidazione delle spese giudiziali (perciò risultate inferiori alla misura spettante)
— stabiliti dal d.m. n. 140 del 2012.

– 5 –

alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la

4. La prima censura è destituita di fondamento e deve essere disattesa.
Rileva, infatti, il collegio che, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, la
Corte perugina ha correttamente computato il periodo di durata del giudizio
amministrativo presupposto prendendo in considerazione l’intervallo temporale dalla

un anno e due mesi (determinata esattamente in tre anni la durata ragionevole del
giudizio amministrativo in primo grado) il ritardo irragionevole e a liquidare
l’indennizzo spettante al ricorrente nella congrua misura di euro 600,00 (sul
presupposto dell’applicazione del criterio di commisurazione generale — riferibile ai
giudizi amministrativi – di euro 500,00 per ogni anno di durata irragionevole che,
computando anche l’importo dovuto per la frazione di due mesi, avrebbe comportato
addirittura una liquidazione inferiore di euro 584,00, ma su tale punto il Ministero
avente interesse non ha proposto impugnazione).
In tal senso la Corte territoriale si è conformata all’orientamento costante della
giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 5914 del 2012 e Cass. n. 15303 del
2012), secondo cui, in tema di equa riparazione per l’irragionevole durata di un
processo amministrativo (nella specie iniziato nel 2005), la mancata proposizione
dell’istanza di prelievo rende improponibile la domanda di equa riparazione (nella
specie proposta nel 2010) nella parte concernente la durata del giudizio presupposto
successiva alla data (del 25 giugno 2008) di entrata in vigore dell’art. 54 del d.l. 25
giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, che, avendo configurato la
suddetta istanza di prelievo come “presupposto processuale” della domanda di equa
riparazione, deve sussistere al momento del deposito della stessa, ai fini della
sollecita definizione del processo amministrativo in tempi più brevi rispetto al tempo
già trascorso, fermo restando che l’omessa presentazione dell’istanza di prelievo non

– 6 –

sua introduzione fino al 25 giugno 2008, così pervenendo esattamente a calcolare in

determina la vanificazione del diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del
processo con riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008.
5. La seconda censura è inammissibile perché — secondo la giurisprudenza di questa
Corte (v., ad es., Cass. n. 4859 del 2006 e Cass. n. 795 del 2013) – l’errore causato

deducibile in sede di legittimità solo quando si risolve in un vizio logico della
motivazione, mentre ricorre l’ipotesi dell’errore materiale di calcolo quando
risulti una mera non corrispondenza dal confronto tra il dato indicato in
motivazione e quello riportato in dispositivo, il quale è suscettibile di
correzione con la procedura di cui agli artt. 287 ss. c.p.c. . E nella fattispecie si
ricade proprio in una ipotesi di errore materiale (soggetto a quest’ultimo
procedimento e non deducibile in sede di impugnazione), risultando una mera
discrasia (non riconducibile ad attività di giudizio) tra la misura dei compensi (parti ad
euro 1.218,00), diminuiti della metà ai sensi dell’art. 9 del D.M. n. 140 del 2012,
come individuata in motivazione, e quella concretamente liquidata in dispositivo,
corrispondente, per mera inesattezza materiale, ad un importo di poco inferiore alla
metà (nei termini dallo stesso ricorrente evidenziati).
6. In definitiva, sulla scorta delle ragioni esposte, deve pervenirsi al rigetto integrale
del ricorso, senza che occorra adottare alcuna apposita pronuncia sulle spese della
presente fase di legittimità, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.

da inesatta determinazione dei presupposti numerici di una operazione è

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte

suprema di Cassazione, in data 9 gennaio 2014.

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