Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 353 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 10/01/2011), n.353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13220-2005 proposto da:

P.N. C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 12, presso lo studio dell’avvocato COLARIZI MASSIMO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CANESTRINI

GLORIA;

– ricorrente –

contro

P.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 123, presso lo studio

dell’avvocato DI RENZO ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato

TABARELLI DE FATIS ANDREA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 372/2004 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 13/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito l’Avvocato Mozzillo Fabrizio con delega depositata in udienza

dell’Avv. Colarizi Massimo difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13-4-2000 P.N. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rovereto la sorella P.L. chiedendo la divisione dei beni relitti dal fratello A., deceduto il (OMISSIS), previo accertamento dell’acquisto per usucapione da parte sua di alcune parti comuni della p. ed. 456 Euro: della terrazza al primo piano della p. ed.

779.

Costituendosi in giudizio la convenuta aderiva alla domanda di divisione ma contestava la domanda di usucapione, ritenendo che l’attore avesse utilizzato i beni rivendicati quale comproprietario degli stessi, come era confermato dal fatto che egli aveva sempre corrisposto ai fratello A. un canone mensile.

Con memoria ex art. 183 c.p.c. P.N., specificato che egli era formalmente comproprietario insieme al fratello A. delle p. m. 1 e 3 della p. ed. 456 e della p. ed. 779 in ragione di un mezzo ciascuno, sosteneva di aver avuto il possesso esclusivo e pacifico delle parti indicate nell’atto di citazione, situate in rapporto funzionale con altre porzioni materiali della p. ed. 456 di sua esclusiva proprietà.

Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del 9-10-2003 rigettava la domanda di usucapione, e con separata ordinanza disponeva per l’ulteriore istruzione della causa in ordine alla divisione dei beni ereditari.

Proposta impugnazione da parte di P.N. cui resisteva P.L. la Corte di Appello di Trento con sentenza del 13- 11-2004 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza P.N. ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui P.L. ha resistito con controricorso; il ricorrente ha successivamente depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione preliminare della controricorrente di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3 per mancata esposizione sommaria dei fatti di causa.

L’eccezione è infondata in quanto nel ricorso sono riportate, sia pure in forma concisa, le vicende che hanno dato luogo alla presente controversia nonchè lo svolgimento dei fatti processuali essenziali per comprendere la natura e l’oggetto delle censure sollevate in questa sede.

Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo il ricorrente, deducendo omessa ed insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver evidenziato delle difficoltà in relazione alla esatta identificazione dei beni oggetto della domanda di usucapione; invero non è stata esaminata la documentazione prodotta che avrebbe consentito una decisione ? radicalmente difforme da quella assunta; infatti la presunta difformità delle particelle da usucapire risultava già superata nell’atto di citazione, laddove era stata domandata chiaramente l’acquisizione della p. ed. 456 come individuata al punto 9 di tale atto, corredata quindi di tutti i riferimenti ai documenti allegati.

P.N. aggiunge che eventuali perplessità insorte dall’iniziale enucleazione della terrazza di cui alla p. ed. 779 alla p. ed. 456, avrebbero dovuto comunque lasciare impregiudicato il diritto alla declaratoria di usucapione in oggetto, essendo già evidente, in base ai documenti depositati ed allegati all’atto di citazione, la incomprensione della porzione predetta nella domanda ivi formulata.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Invero il giudice di appello, pur accennando alla “indubbia difficoltà” di esatta identificazione dei beni per cui è causa, ha comunque esaminato la domanda di usucapione proposta da P. N. ritenendola infondata all’esito della valutazione delle risultanze istruttorie; ciò posto, deve escludersi che l’eventuale accoglimento del motivo possa produrre per il ricorrente una qualsiasi utilità concreta.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1158 c.c. e contraddittorietà della motivazione, assume che la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare che l’esponente aveva fornito la prova dell'”animus possidendi” riguardo alla domanda di usucapione; invece le argomentazioni espresse dalla sentenza impugnata sono in palese contrasto con le risultanze istruttorie ed in particolare con le deposizioni testimoniali, che avevano dimostrato l’inesistenza di alcun accordo divisionale con i coeredi che impedisse l’uso esclusivo dei beni; in particolare P. N. rileva che il giudice di appello, avendo sottolineato come l’esponente avesse goduto dei beni oggetto della domanda di usucapione solo in virtù di rapporti di parentela e di una tacita ripartizione di fatto, ha disatteso le logiche risultanze istruttorie che, sulla base dell’animus possidendi” in capo all’esponente (sussistente con specifico riferimento al dimostrato possesso esclusivo delle chiavi del cancello e della porta d’entrata nonchè all’uso esclusivo del sottotetto e dell’annessa terrazza al terzo piano, della cantina e del cortiletto d’entrata, ma non del magazzino e del negozio ex Girardi cui l’istante pagava il canone d’affitto), avrebbero invece condotto al coerente risultato del riconoscimento dell’invocato diritto di usucapione.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha escluso che il possesso materiale esercitato da P.N. sui beni per cui è causa potesse essere qualificato “uti dominus”, considerata la situazione di comunione ereditaria esistente tra lo stesso, il fratello A. e la sorella L. fino al 1992 e, successivamente alla morte di P. A., soltanto tra le attuali parti in causa; a tal riguardo la sentenza impugnata ha evidenziato che i suddetti beni erano stati ereditati dai tre fratelli a seguito della morte del padre M. avvenuta nel (OMISSIS), e che la comunione era rimasta inalterata fino al 1992, quando le trattative in corso dal 1981 per la divisione del compendio ereditario erano sfociate nell’atto notarile del 13-5- 1992, con cui era stata stralciata solo la posizione della sorella L.; in tale contesto quindi non era possibile qualificare come possesso utile all’usucapione quello materialmente esercitato da P.N., non dovendosi confondere il possesso “uti dominus” con la mera possibilità di avere l’utilizzo esclusivo di parte dei beni comuni in virtù di un accordo divisionale non ancora ufficializzato ed avente efficacia reale.

La Corte territoriale ha quindi concluso che l’appellante, che non aveva mai disconosciuto i diritti di comproprietà dei fratelli ed anzi li aveva reiteratamente affermati in atti ufficiali, aveva goduto dei beni in questione solo grazie a rapporti di parentela e ad una tacita ripartizione di fatto, circostanza rilevante semmai solo nella determinazione ed assegnazione delle quote in sede di divisione.

Orbene tali argomentazioni si risolvono in un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove con il motivo in esame il ricorrente si limita inammissibilmente a prospettare una diversa valutazione delle risultanze processuali.

In termini più specifici, poi, premesso che il ricorrente non ha neppure precisato da quando avrebbe iniziato a possedere i beni per cui è causa “uti dominus”, si osserva che il P., mentre da un lato non ha censurato l’affermazione del giudice di appello secondo cui egli avrebbe più volte riconosciuto in atti ufficiali i diritti di comproprietà dei fratelli, dall’altro lato si è limitato ad un generico richiamo alle emergenze probatorie senza peraltro trascrivere il contenuto di esse onde consentire a questa Corte il necessario apprezzamento sulla loro rilevanza e decisività.

Deve inoltre aggiungersi che l’eventuale possesso esclusivo da parte di P.N. dei beni per cui è causa non sarebbe comunque sufficiente all’acquisto degli stessi per usucapione, posto che il godimento esclusivo della cosa comune non è di per sè idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso “ad usucapionem” e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori, e che quindi il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla “res communis” in termini di esclusività soltanto qualora egli ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, così da evidenziare una inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus” (Cass. 28-4-2006 n. 9903; Cass. 20-9-2007 n. 19478), ipotesi non ricorrente nella fattispecie alla luce degli elementi probatori acquisiti e valutati dal giudice di appello.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2500,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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