Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3529 del 06/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 06/02/2019), n.3529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11118-2018 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA STANISCIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il

05/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.D. propose in data 10 settembre 2012 domanda di equa riparazione alla Corte d’Appello di Perugia per la non ragionevole durata di un giudizio civile promosso nel dicembre 2000 davanti al Tribunale di Roma e proseguito in forza di gravame del marzo 2006 davanti alla Corte d’Appello di Roma. La Corte d’Appello di Perugia, con decreto n. 2676/2017 del 5 ottobre 2017, in accoglimento dell’eccezione dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato sollevata nella memoria di costituzione del 31 marzo 2017, ha dichiarato estinto il procedimento in conseguenza dell’interruzione automatica del giudizio stesso a far data dal 18 luglio 2013, epoca in cui l’avvocato Nicola Staniscia, difensore del ricorrente, era stato sospeso dall’albo professionale, senza che avesse fatto seguito la prosecuzione entro tre mesi. La Corte d’Appello di Perugia ha inteso che il dies a quo per la riassunzione del processo di equa riparazione ex art. 305 c.p.c. doveva individuarsi con riferimento al giorno 15 febbraio 2016, giorno in cui l’avvocato Staniscia aveva avuto conoscenza del riacquisto dello ius postulandi in seguito alla vicende del giudizio di cassazione promosso dallo stesso avvocato Staniscia avverso la sentenza n. 73/2015 del Consiglio Nazionale Forense del 6 giugno 2015, definito dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 6957 del 17 marzo 2017.

C.D. propone ricorso per violazione o falsa applicazione degli artt. 115,116,301,305,83 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 24 Cost.

L’intimato Ministero della Giustizia si difende con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorso è infondato, pur dovendosi correggere in parte la motivazione dell’impugnato decreto, il cui dispositivo è conforme a diritto.

Per orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato, nel processo civile, qualora la parte sia costituita a mezzo di procuratore, l’evento della morte, radiazione o sospensione del procuratore produce l’interruzione del procedimento con effetto immediato, senza necessità di dichiarazione o notifiche ed a prescindere da ogni indagine circa la conoscenza che di detto evento possono avere avuto le parti o il giudice e senza alcuna necessità di declaratoria da parte del giudice stesso, ma il termine perentorio per la riassunzione o prosecuzione del processo cosi interrotto, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, 159 del 1971 e n. 36 del 1976, deve farsi decorrere non dal momento in cui l’evento interruttivo si verifica, ma da quello della conoscenza legale dell’evento stesso, risultante, cioè, da dichiarazione, notificazione o certificazione dell’evento, ovvero a seguito di lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione, non essendo all’uopo sufficiente la conoscenza di fatto che di esso una delle parti abbia aliunde acquisito (tra le tante, cfr. Cass. Sez. 6 – 3, n. 3782 del 2015; Cass. Sez. 3, n. 3085 del 2010).

Questa Corte ha però anche precisato come la temporaneità che connota la sospensione dall’albo professionale, a differenza della morte o della radiazione, diversifica i riflessi che essa produce sul processo interrotto per effetto del suo avveramento e segnatamente connota modi e tempi per la sua ripresa.

A differenza dalle altre ipotesi, per la prosecuzione del processo nell’ipotesi di interruzione del processo a seguito di un provvedimento di sospensione del procuratore dall’esercizio della professione, una volta terminato il periodo di sospensione, non è, dunque, necessaria una nuova procura alla lite, nè una nuova costituzione in giudizio, essendo sufficiente, invece, che il procuratore, già regolarmente costituito prima della sua sospensione, riprenda a svolgere le proprie funzioni in base alla precedente procura ed alla già esperita costituzione, entrambe divenute nuovamente valide ed efficaci in seguito alla cessazione della sospensione. Il fatto che il procuratore è ben a conoscenza sia dell’accadimento interruttivo dipendente dalla subita sanzione e sia della relativa durata, gli impone pur in assenza di conoscenza legale della conseguente ordinanza d’interruzione – di riprendere automaticamente ad esercitare il suo mandato alla scadenza del comminato periodo di sospensione e, quindi, di provvedere alla prosecuzione del giudizio nel prescritto termine ex art. 305 c.p.c., decorrente dalla cessazione del periodo di sua sospensione dall’albo. In tale situazione, ai fini della tempestiva ripresa del processo, non ricorre la medesima esigenza di protezione della parte rappresentata, propria delle ipotesi di definitiva cessazione dello ius postulandi, in cui detto termine deve decorrere dalla sua conoscenza legale dell’accadimento interruttivo, poichè altrimenti resterebbe pregiudicato il diritto di difesa della parte stessa, da assicurare in modo effettivo ed adeguato (Cass. Sez. 1, 10/12/2010, n. 24997; Cass. Sez. L, 20/07/2004, n. 13490; Cass. Sez. 1, 28/03/1969, n. 1010).

Nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 6957 del 17 marzo 2017, la cui cognizione è consentita al Collegio (cfr., ad esempio, Cass. Sez. 5, 15/04/2011, n. 8614), risulta come il CNF, investito dall’impugnazione dell’avvocato Staniscia avverso la sospensione cautelare irrogatagli dal C.O.A. di Perugia irrogatagli il 18 luglio 2013, dichiarò cessata l’efficacia della misura. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritennero quindi inammissibile il ricorso dell’avvocato Staniscia, evidenziando come “la richiesta di retrodatazione al 18 luglio del 2014 del provvedimento di cessazione dell’efficacia della sospensione disposta dal COA di Perugia non appare in realtà comprensibile, volta che il provvedimento dell’organo disciplinare perugino è stato emesso il 18 luglio del 2013, ed ha, ipso facto, cessato i suoi effetti proprio alla data oggi indicata dai ricorrenti”. Poichè allora in data 18 luglio 2014 era automaticamente cessata la sospensione dell’avvocato Staniscia, il procuratore stesso, non essendo stato revocato e non avendo rinunciato alla procura, aveva l’onere di provvedere a far tempo da quella data alla prosecuzione del giudizio nel termine decadenziale, ai sensi degli artt. 301 e 305 c.p.c. (si vedano anche di recente Cass. Sez. 2, 25/09/2018, n. 22651, n. 22653, n. 22654). In tal senso va emendata la motivazione della Corte di Perugia, la quale, come già indicato, aveva piuttosto ravvisato il dies a quo per la riassunzione entro tre mesi del processo ex art. 305 c.p.c., interrotto a causa della sospensione dell’avvocato Staniscia, facendo riferimento al giorno 15 febbraio 2016, in quanto in tale data l’avvocato Staniscia avrebbe preso conoscenza del riacquisto dello ius postulandi.

Il ricorso va quindi rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 6 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2019

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