Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3526 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 3526 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: FASANO ANNA MARIA

ORDINANZA
sul ricorso 24211-2011 proposto da:
TITTOZZI ALBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA LUIGI CANINA 6, presso lo studio dell’avvocato
BRUNO PICCAROZZI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente

contro

ROMA CAPITALE DIPARTIMENTO RISORSE ECONOMICHE UFFICIO
CONTENZIOSO ICI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato
MASSIMO BARONI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ANTONIO CIAVARELLA;

controricorrente

avverso la sentenza n. 447/2010 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 01/07/2010;

Data pubblicazione: 14/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 19/10/2017 dal Consigliere Dott. ANNA

MARIA FASANO.

R.G.N. 24211-11

Alberto Tittozzi impugnava quattro avvisi di accertamento ICI,
riferiti agli anni di imposta dal 2001 al 2004, relativi ad immobili
siti in Roma, sostenendo che gli atti impositivi facevano riferimento
ad unità immobiliari mai appartenute. Il contribuente indicava
quali erano gli immobili di sua proprietà, posseduti al 50% con il
coniuge ed utilizzati come abitazione principale e relativa
pertinenza, sui quali aveva correttamente calcolato e versato
l’imposta l’ICI per gli anni oggetto di accertamento. A seguito di
sgravio, la CTP di Roma dichiarava estinto il giudizio per cessata
materia del contendere. Il Comune di Roma, sul presupposto che
gli immobili riportati negli avvisi di accertamento erano di proprietà
del contribuente, appellava la sentenza innanzi alla CTR del Lazio,
che accoglieva il gravame, ritenendo che la sentenza della CTP si
fondava su dati inesistenti, atteso che in primo grado il Comune
non si era costituito, né aveva depositato atti di sgravio delle
imposte accertate. Tittozzi Alberto propone ricorso per la
cassazione della sentenza, svolgendo quattro motivi. Roma
Capitale si è costituita con controricorso.

CONSIDERATO CHE:

1.Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità per
tardività del ricorso per cassazione, proposta da Roma Capitale con
controricorso.

RITENUTO CHE:

1.1. L’eccezione è infondata, tenuto conto che la sentenza
impugnata è stata depositata dalla CTR di Roma in data 1.7.2010,
con la conseguenza che, applicando il termine lungo, il termine
ultimo per la notifica del ricorso per cassazione scadeva il
3.10.2011, data della notifica.

2.Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata

applicazione di norme di diritto e del procedimento, ex art. 360, n.
3, c.p.c., in relazione agli artt. 22 e 53 del d.lgs. n. 546 del 1992,
per mancata attestazione da parte dell’appellante della conformità
tra il ricorso depositato e quello notificato, in ipotesi di contumacia
dell’appellato. Si argomenta che nel caso di specie, stante la
contumacia di Tittozzi Alberto, il Comune di Roma avrebbe omesso
di attestare la conformità dell’atto di appello depositato a quello
spedito in data 30.12.09 al contribuente, a mezzo piego
raccomandato, in violazione degli artt. 53 e 22 comma 3, del d.lgs.
n. 542 del 1992.

2.1. Il motivo è infondato tenuto conto dei principi espressi da
questa Corte, a cui si intende dare continuità, secondo cui: “In
tema di contenzioso tributario, è causa di inammissibilità
dell’appello notificato per posta o per consegna diretta, non la
mancanza di attestazione da parte dell’appellante della conformità
dell’atto d’impugnazione notificato rispetto a quello depositato
presso la segreteria della Commissione Tributaria Regionale, ma la
sua effettiva difformità. Si presume la conformità sia quando
l’appellato si costituisca e non sollevi alcuna eccezione al riguardo,
sia quando non si costituisca, così rinunciando a sollevare
l’eccezione predetta” (Cass. n. 6780 del 2009).

3. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza
impugnata denunciando violazione o falsa applicazione di norme di
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denunciando la inammissibilità dell’appello per violazione o falsa

diritto e del procedimento ex art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione agli
artt. 23, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 115 c.p.c., per
mancata specifica contestazione dell’Ufficio circa i fatti dedotti ed
allegati in ricorso, con conseguente ammissione degli stessi. In
particolare, si argomenta che il Comune di Roma, nel giudizio di
primo grado, rimase contumace, non prendendo posizione e non
contestando specificamente i motivi dedotti dal ricorrente, con la

applicabile il principio di non contestazione, secondo cui un fatto
allegato dalla controparte e non contestato comportava la sua
ammissione.

3.1. Il motivo è inammissibile ed infondato. Il motivo è
inammissibile per carenza di autosufficienza. Questa Corte ha
affermato ripetutamente il principio secondo cui: “In tema di
ricorso per cassazione, quando il motivo di impugnazione si fondi
sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali
di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di
prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso,
ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., deve sia indicare la
sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come
disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi
argomentativi ” (Cass. n. 16655 del 2016, Cass. n. 18218 del
2014; Cass. n. 4220 del 2012, Cass. n. 1161 del 1995, Cass. n.
8388 del 2002, Cass. n. 15751 del 2003). Onere processuale a cui
parte ricorrente non ha ottemperato. Il motivo è, altresì, infondato
atteso che la contumacia integra un comportamento neutrale a cui
non può essere attribuita valenza confessoria (Cass. n. 24885 del
2014).

4. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata
denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e del
procedimento ex art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 58
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conseguenza che nel giudizio di merito si poteva ritenere

d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che il Comune di Roma avrebbe
depositato in appello visure catastali, nella quali era stata
erroneamente indicata l’intestazione degli immobili, producendo
elementi nuovi nel corso del giudizio, in violazione dell’art. 58 cit.

4.1. Il motivo è infondato atteso che per indirizzo costante di
questa Corte: “In materia di contenzioso tributario, l’art. 58 del

giudizio di appello di qualsiasi documento, pur se già disponibile in
precedenza” (Cass. n. 22776 del 2015). Il giudice d’appello,
pertanto, può fondare la propria decisione sui documenti nuovi,
purchè acquisiti al fascicolo processuale in quanto ritualmente e
tempestivamente prodotti in sede di gravame (Cass. n. 3661 del
2015).

5. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata
per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c., tenuto conto che la CTR erroneamente, nell’accogliere
l’appello del Comune di Roma, si sarebbe basata unicamente sulle
visure catastali prodotte da controparte, ritenendole valide e
sufficienti. Inoltre, i giudici di appello avrebbero erroneamente
ritenuto che il contribuente aveva dichiarato di essere proprietario
degli immobili de quibus e versato per gli stessi un importo ICI
inferiore a quello dovuto.

4.1. Il motivo, in disparte l’inammissibile mescolanza e
sovrapposizione di tutte le censure relative alla motivazione (Cass.
n. 19443 del 2011) sotto profili tra loro incompatibili, è
inammissibile per totale carenza di autosufficienza, non essendo
stato riportato specificamente il contenuto degli atti processuali e
dei documenti sui quali la censura si fonda (es. visure catastali),
con il richiamo dei dati necessari alla individuazione della loro
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d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, consente la produzione nel

collocazione quanto al momento della loro produzione nei gradi di
merito (Cass. n. 22726 del 2011; Cass. n. 14784 del 2015; Cass.
n. 21686 del 2010; Cass. n. 303 del 2010). Il ricorrente ha l’onere
di allegare anche l’avvenuta deduzione della questione innanzi al
giudice di merito, indicando in quale scritto difensivo o atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di
cassazione di controllare ex actis la veridicità della asserzione,

2016). Onere processuale a cui non si è ottemperato.

5. Siffatti rilievi inducono al rigetto del ricorso. La parte
soccombente va condannata alla rifusione delle spese di lite,
liquidate

come

da

dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente alla
rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 1400,00
per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Così deciso, in Roma, il giorno 19 ottobre 2017

I Presiden e ,

prima di esaminare il merito della controversia (Cass. n. 8206 del

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