Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 352 del 10/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 352 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 23059-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001 in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente contro
MONTI TIZIANO, DONISELLI LUCA, CLINICA
VETERINARIA CITTA’ DI MONZA ASSOCIAZIONE
PROFESSIONALE in persona dei predetti, in proprio e quali associati
della medesima, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI
PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI
GIGLIOLA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Data pubblicazione: 10/01/2014

ARRIGONI BRUNO PIETRO, giusta procura a margine del
controricorso;

– controricorrenti nonché contro

– intimato avverso la sentenza n. 76/35/2010 della Commissione Tributaria
Regionale di MILANO dell’8.6.2010, depositata il 23/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
per i controricorrenti é solo presente l’Avvocato Gigliola Mazza Ricci.

Ric. 2011 n. 23059 sez. MT – ud. 04-12-2013
-2-

GIANLUCA CILIBERTI;

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva:
La CTR di Milano ha accolto l’appello della “Clinica Veterinari Città di Monza —
Associazione Professionale”, di Tiziano Monti e di Luca Doniselli -appello proposto
contro la sentenza n.309/24/2008 della CTP di Milano, che aveva respinto il ricorso
della anzidetta società- ed ha così annullato l’avviso di accertamento per IVA-IRAP
relative all’anno d’imposta 2003, avviso con il quale è stato rettificato il reddito di
impresa dichiarato a mezzo della ripresa a tassazione di una serie di costi non
documentati o non inerenti.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che —quanto alla detrazione del
canone di locazione dei locali non più utilizzati da parte della srl che era stata posta in
liquidazione- la produzione in grado di appello del contratto di sub-locazione donde il
canone si era generato poteva costituire valida prova, non essendo requisito
necessario quello della registrazione del contratto e comunque apparendo elemento
ulteriormente utile le fatture emesse in relazione al predetto canone nel periodo di
imposta qui in contestazione. Quanto poi alle fatture in relazione alle quali l’Agenzia
aveva contestato il difetto di chiarezza, esse apparivano conformi alla previsione
dell’art.21 del DPR n.633/1972 e, seppure qualche descrizione poteva risultare
generica, esse permettevano comunque di stabilire l’esistenza dei costi e la loro
inerenza.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.
La parte contribuente si è difesa con controricorso.

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letti gli atti depositati

Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il motivo di impugnazione (improntato alla nullità della sentenza per
violazione dell’ art.53 del D.Lgs.546/1992) la parte ricorrente si duole, in sostanza,
del fatto che il giudice di merito abbia omesso di rilevare (d’ufficio, par di capire)

ordine alla ratio decidendi su cui era fondata la pronuncia di primo grado, e cioè da
un canto la generica descrittiva contenuta nelle fatture e d’altro canto il rilievo del
fatto che l’avere la “Clinica Veterinaria Città di Monza srl” (costituita dagli stessi
associati nella Associazione contribuente) indicato nella dichiarazione dei redditi lo
svolgimento dell’attività di “servizi veterinari” deponeva nel senso che la
contribuente medesima svolgesse appunto tale attività e non la sola attività di
sublocazione e fornitura di materiali alla associazione professionale, con la
conseguente deduzione che i costi dedotti dall’Associazione erano in realtà costi
sostenuti dalla s.r.l. per lo svolgimento della propria attività.
Il motivo di censura appare manifestamente infondato.
Si desume già dai passi salienti dell’atto di appello trascritti nel contesto del ricorso
introduttivo di questo grado (rispetto ai quali già sarebbe sufficiente il rilievo che
l’Agenzia —per quanto si arguisce- si è puntualmente difesa nelle proprie
controdeduzioni, senza la proposizione di alcuna eccezione di inammissibilità) e da
quelli ulteriormente trascritti nell’atto di controricorso, che in nessun caso il giudice
di appello avrebbe potuto tacciare di non specificità le censure proposte
dall’appellante società, censure che non necessariamente devono contenere una
diretta critica ad ogni specifico argomento valorizzato nella sentenza impugnata se
prospettano ragioni assorbenti (sia pure altrimenti fondate) a sostegno della
complessiva erroneità della decisione gravata, perchè poste in relazione di
incompatibilità con gli argomenti che la sostengono.
In termini, basti qui la menzione del noto principio di diritto secondo cui:”La
specificità dei motivi di appello esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza

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l’inammissibilità dell’appello per difetto di uno specifico motivo di impugnazione in

impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il
fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve
sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni
addotte dal primo giudice. A tal fine non è sufficiente che l’individuazione delle
censure sia consentita, anche indirettamente, dal complesso delle argomentazioni

grado l’onere di specificità dei motivi di impugnazione, pur valutato in correlazione
con il tenore della motivazione della sentenza impugnata, solo quando alle
argomentazioni in essa esposte siano contrapposte quelle dell’appellante in guisa tale
da inficiarne il fondamento logico giuridico, come nel caso in cui lo svolgimento dei
motivi sia compiuto in termini incompatibili con la complessiva argomentazione
della sentenza, restando in tal caso superfluo l’esame dei singoli passaggi
argomentativi” (per tutte, Cass. Sez. 3, Sentenza n.

12984

del 31/05/2006).

E d’altronde, il rilievo valorizzato dalla pronuncia di primo grado (in ordine alla
valenza della indicazione dell’oggetto sociale afferente la società a responsabilità
limitata) altro non è se non un argomento presuntivo adoperato dal giudicante per
fondare il proprio convincimento, sicchè rispetto ad esso non si impone alcuno
specifico mezzo di impugnazione, apparendo sufficiente l’adduzione di argomenti
contrari utili ad inficiare nel suo complesso il convincimento espresso nella decisione
gravata di appello.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta infondatezza.
Roma, 30 marzo 2013

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

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svolte a sostegno dei motivi di appello, dovendosi considerare integrato in sufficiente

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo grado, liquidate in E 3.500,00 oltre accessori di legge ed oltre E 100,00 per
esborsi.

Così deciso in Roma il 4 dicembre 2013.

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