Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3507 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3507 Anno 2018
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22726/2016 R.G. proposto da
COMUNE DI FORLI’, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso
dall’Avv. Maria Anna Alberti, con domicilio eletto in Roma, via Caio Mario, n.
7, presso lo studio dell’Avv. Maria Teresa Barbantini;
– ricorrente contro
DONATI ROSA MARIA e DONATI PAOLO, in proprio ed in qualità di eredi di
Bazzocchi Marta, DONATI CARLA, in proprio ed in qualità di erede di Fiorentini
Anna Laura, FABBRI CATIA, DONATI MARTA, DONATI CECILIA e DONATI
SERGIO, in qualità di eredi di Donati Carlo, DONATI ELISABETTA, DONATI
MASSIMO, TODESCHINI CARLA, VISANI CATERINA, VISANI CRISTINA, VISANI CECILIA, VISANI RAIMONDO, RIVALTA GRAZIA, VISANI FRANCESCA e
VISANI GIULIA;
– intimati avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 468/16 depositata il

Data pubblicazione: 14/02/2018

17 marzo 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2017
dal Consigliere Guido Mercolino.

Rilevato che il Comune di Forlì ha proposto ricorso per cassazione, per

2016, con cui la Corte d’appello di Bologna, a seguito della rinuncia degli
attori all’azione ed agli atti del giudizio, ha dichiarato cessata la materia del
contendere in ordine alla domanda d’indennizzo per protrazione ultraquinquennale di vincoli espropriativi proposta Maria Rosa, Carla e Carlo Donati,
Marta Bazzocchi, Anna Laura Fiorentini, Elisabetta, Massimo e Paolo Donati,
Carla Todeschini, Caterina, Cristina, Cecilia, Raimondo, Francesca e Giulia Visani e Grazia Rivalta nei confronti del ricorrente, dichiarando interamente
compensate tra le parti le spese processuali;
che gl’intimati non hanno svolto attività difensiva;
che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del
14 settembre 2016, che la motivazione dell’ordinanza sia redatta in forma
semplificata.

Considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, logicamente prioritario rispetto al primo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 306 cod. proc. civ., nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese processuali tra le parti, osservando che la pronuncia di
cessazione della materia del contendere a seguito di rinuncia all’azione equivale al rigetto della domanda nel merito, e comporta pertanto la condanna
del rinunciante al pagamento delle spese processuali, senza che il giudice
possa esercitare alcun potere discrezionale;
che a sostegno del proprio assunto il ricorrente richiama un precedente
della giurisprudenza di legittimità, con il quale, tuttavia, nell’equiparare la
decisione sulla rinuncia all’azione a quella d’infondatezza della domanda, questa Corte si è limitata a riconoscere alla controparte del rinunciante la qualità

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tre motivi, illustrati anche con memoria, avverso la sentenza del 17 marzo

di parte totalmente vittoriosa nel merito, nonché a ribadire che la soccombenza dev’essere valutata in relazione all’esito complessivo del giudizio (cfr.
Cass., Sez. I, 10/09/2004, n. 18255), senza escludere affatto, in linea generale, che il Giudice possa disporre la compensazione delle spese processuali,
nell’esercizio del potere discrezionale accordatogli dall’art. 92 cod. proc. civ.;
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la viola-

tenza impugnata nella parte in cui, a fondamento della compensazione delle
spese, ha affermato la sussistenza di giusti motivi, in relazione alla configurabilità di orientamenti giurisprudenziali non uniformi, senza tener conto della
applicabilità dell’art. 92 cit., nella formulazione introdotta dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, e senza considerare che il richiamo ad una giurisprudenza
non univoca, nella specie peraltro insussistente, non è sufficiente a giustificare la compensazione delle spese;
che il presente giudizio risulta instaurato con atto di citazione notificato il
15 dicembre 2009, e pertanto, ai sensi dell’art. 58, comma primo, della legge
n. 69 del 2009, è assoggettato alla disciplina dettata dall’art. 92, secondo
comma, cod. proc., nel testo introdotto dall’art. 45, comma undicesimo, della
predetta legge, il quale subordina la compensazione delle spese processuali
alla sussistenza di «gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate in
motivazione»;
che nella specie, tuttavia, al di là dell’improprio riferimento ai «giusti motivi», la motivazione della sentenza impugnata non contiene alcun elemento
dal quale possa desumersi l’intervenuta applicazione dell’art. 92, secondo
comma, cit., nel testo introdotto dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, conv. con
mod. dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, anziché in quello ulteriormente
modificato dall’art. 45, comma undicesimo, della menzionata legge n. 69 del
2009, dovendosi, al contrario, ritenere che, attraverso il richiamo all’«art. 92
cod. proc. civ. vigente al momento della proposizione della domanda», la
Corte di merito abbia voluto alludere proprio a quest’ultima disposizione;
che a sostegno del proprio assunto il ricorrente richiama alcune pronunce
di legittimità che, nel fornire l’interpretazione della locuzione «gravi ed ecce-

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zione e la falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., censurando la sen-

zionali ragioni», hanno escluso la possibilità di ravvisarle nell’esistenza di imprecisate decisioni di segno diverso su una determinata questione, rispetto a
soluzioni interpretative non ancora passate al vaglio di legittimità, osservando
che si tratta di un’evenienza tutt’altro che rara rispetto alla normalità, e comunque, in assenza di ulteriori specificazioni che consentano di coglierne la
portata determinante, non annoverabile tra gli eventi o le situazioni che ab-

gettivo, si presentino normalmente idonee, secondo l’id quod plerumque accidit, ad accreditare nella parte che agisce (o resiste) in giudizio il convincimento della probabile fondatezza delle proprie tesi (cfr. Cass., Sez. lav.,
27/01/2016, n. 1521; al riguardo, v. anche Cass., Sez. II, 29/11/2016, n.
24234);
che, nel contestare la sufficienza del riferimento agli «orientamenti giurisprudenziali non uniformi in tema di vincoli urbanistici» ed alla conseguente
«oggettiva dubbiezza della lite», ai fini della compensazione delle spese processuali, il ricorrente trascura peraltro la notorietà della tormentata vicenda
giurisprudenziale avente ad oggetto la predetta problematica, contrassegnata
da oscillazioni anche in sede di legittimità (quanto meno fino alla pronuncia
della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, che ammise espressamente l’indennizzabilità dei predetti vincoli, ed al recepimento di tale principio ad opera del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), nonché da incertezze riguardanti i criteri di liquidazione dell’indennizzo, perdurate anche in seguito;
che d’altronde, nel contestare la sussistenza delle predette oscillazioni, il
ricorrente non precisa neppure quale fosse, nella specie, la questione giuridica concretamente sottoposta all’esame del Giudice di merito, con la conseguenza che la censura risulta, sotto tale profilo, carente di specificità;
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione
degl’intimati.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,

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biano un’efficacia causale diretta sull’esito del giudizio e che, sul fronte sog-

inserito dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 12/12/2017

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