Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3503 del 15/02/2010

Cassazione civile sez. II, 15/02/2010, (ud. 22/06/2009, dep. 15/02/2010), n.3503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 8790/2008 proposto da:

SOCIETA’ CLE di MALDI EZIO e C. SAS in persona del suo Amministratore

e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CELIMONTANA 5, presso lo studio dell’avvocato PANARITI BENITO,

rappresentata e difesa dall’avvocato STAUDER NICOLETTA, giusta

procura speciale alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L. in qualità di titolare dell’omonima impresa

individuale, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 40,

presso lo studio dell’avvocato MINUCCI FRANCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PICCO BELLAZZI WALTER, giusta procura speciale

alle liti in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2749/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

2.10.07, depositata il 19/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/06/2 009 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

La CLE di Maldi Ezio & C s.a.s. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza dep. il 19 ottobre 207 della Corte di appello di Milano.

Ha resistito l’intimato.

Nominatoci sensi dell’art. 377 c.p.c., il consigliere relatore depositava la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., ritenendo le condizioni per la decisione della causa in Camera di consiglio sul rilievo che il ricorso fosse da dichiarare inammissibile per la mancanza dei requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c..

Il Procuratore Generale rassegnava conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Il ricorso va deciso in Camera di consiglio, dovendo lo stesso essere rigettato per manifesta infondatezza.

Il primo motivo, con cui si denuncia la violazione di legge, non è conforme ai requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile ratione temporis alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 c.p.c., n. 5) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), e, qualora – come nella specie – il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Orbene, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4), il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato. In tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.

In effetti, la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis c.p.c., è quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del ricorso per cassazione,che non è solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.

Nella specie, non è stato formulato l’esplicito quesito di diritto.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando contraddittorietà di decisioni e insufficiente motivazione, lamenta l’incompatibilità logica e giuridica fra la statuizione con cui la sentenza impugnata aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo avanzata dalla CLE e quella con cui aveva poi revocato il decreto opposto.

Il motivo è infondato.

Occorre preliminarmente rilevare l’ammissibilità del motivo, essendo stato il fatto controverso di cui all’art. 366 bis c.p.c., indicato in modo chiaro: è stata denunciata la contraddittorietà fra le due statuizioni della sentenza sopra richiamate.

La censura va disattesa, dovendosi escludere la dedotta incompatibilità logica e giuridica: i giudici, dopo avere ritenuto infondati i motivi posti a sostegno dell’opposizione, hanno correttamente a revocato il decreto opposto in virtù del successivo parziale pagamento del corrispettivo da parte della debitrice, tenuto conto che la condanna non poteva avere ad oggetto la somma di cui al decreto ma il residuo importo accertato dalla sentenza di appello che dunque costituiva il titolo esecutivo in sostituzione del decreto.

Per quanto riguarda il terzo motivo, con cui si denuncia difetto di motivazione e carenza di prove sulla quantificazione del petitum, va innanzitutto considerato che, nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto),separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall’esposizione del motivo,che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U.20603/07). In tal caso, l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del vizio del procedimento logico – giuridico che,incidendo nella erronea ricostruzione del fattoria stato determinante della decisione impugnata. Pertanto,non è sufficiente che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua esposizione.

La norma ha evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’art. 360 c.p.c., n. 5, al giudice di legittimità, che deve accertare la correttezza dell’iter logico – giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato,non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si è,così,inteso precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.

Nella specie manca la separata e specifica indicazione del fatto controverso e delle ragioni per le quali la motivazione sarebbe viziata. In realtà la doglianza, pur facendo riferimento a vizi di motivazione, si risolve nella censura dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, sollecitando una inammissibile rivalutazione degli elementi probatori acquisiti, che è evidentemente sottratta al sindacato di legittimità.

Le spese della presente fase vanno a carico della ricorrente, risultata soccombente.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2010

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