Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3496 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/02/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 12/02/2020), n.3496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1790-2019 proposto da:

K.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO 9, presso lo

studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il

12/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

K.P., cittadino del Gambia, impugnò innanzi al Tribunale di Catanzaro il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale che respinse l’istanza di protezione internazionale ed umanitaria; il Tribunale, con decreto emesso il 12.11.2018, rigettò il ricorso, osservando che: era inammissibile la domanda di asilo, ex art. 10 Cost., non avendo il ricorrente allegato le situazioni tipiche legittimanti il riconoscimento dello status di rifugiato; dai vari report esaminati non si desumeva la sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria, nè di quella umanitaria per mancata allegazione di situazioni specifiche di vulnerabilità.

Ricorre in cassazione il Kebe con tre motivi.

Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo si denunzia violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, in quanto il Tribunale non aveva adeguatamente indagato sul concreto rischio per il ricorrente di subire un grave danno in caso di rimpatrio.

Con il secondo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a) e b), artt. 12, 14, 31 e 46 della Direttiva n. 2013/32 UE, art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, non avendo il Tribunale proceduto all’audizione del ricorrente, in mancanza della videoregistrazione innanzi alla Commissione territoriale.

Con il terzo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo il Tribunale omesso di valutare la minaccia di danno grave alle persone derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, seppur considerando l’insediamento del nuovo Presidente e di un governo democratico.

Con il quarto motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè degli artt. 2 e 10 Cost., artt. 3 e 8 CEDU, in quanto il Tribunale non aveva esaminato i requisiti della protezione umanitaria alla luce della situazione socio-politica del Gambia.

Il primo e terzo motivo (esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi), sono inammissibili in quanto generici. Invero, il ricorrente si duole del diniego di riconoscimento della protezione sussidiaria, nella declinazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), allegando un generico e vago riferimento al pericolo di danno grave in caso di rientro in Gambia, senza indicare i relativi fatti costitutivi, peraltro con riferimento ad una situazione socio-politica ormai superata a seguito del corso democratico nel Paese intrapreso con l’insediamento del nuovo Presidente. Inoltre, va osservato che il Tribunale ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata, derivante da conflitto armato interno, esaminando plurimi report aggiornati.

Il secondo motivo è infondato, in quanto il Tribunale ha disposto la comparizione delle parti, in mancanza della videoregistrazione, senza procedere ad una nuova audizione del ricorrente, in mancanza.di diverse ed ulteriori allegazioni, ciò in conformità dell’orientamento consolidato di questa Corte a tenore del quale: “nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare, pena la violazione del contraddittorio, l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, senza che sorga tuttavia l’automatica necessità di dare corso all’audizione il cui obbligo” (Cass., n. 2817/19; n. 5973/19).

Il quarto motivo è inammissibile, poichè il ricorrente non ha allegato specifiche, personali situazioni di vulnerabilità legittimanti la protezione umanitaria, limitandosi ad una generica censura riferita astrattamente alla fattispecie legale. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 2100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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