Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3490 del 14/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3490 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FERRO MASSIMO

SENTENZA
Sul ricorso

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ZOPPOLI & PUTI
Cogrruzioni Generali, in penona del 1.Lp1t,, rappr.
e dif. dagli avv. Mario Conraldi e Paolo Servetti, con elezione di domicilio pso lo
studio del primo in Roma, via Pier Luigi da Palestrina n.63
-ricorrente Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-intimato-

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estensore

Data pubblicazione: 14/02/2014

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Torino 20.11.2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 18 dicembre
2013 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Ennio Sepe, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

La società Zoppoli & Pulcher s.p.a. — Costruzioni Generali [società] impugna la
sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Torino 20.11.2006 che, in
riforma della sentenza C.T.P. di Torino n. 32/23/2005, ebbe ad accogliere l’appello
dell’Ufficio, dichiarando la legittimità dell’avviso di accertamento, già emesso ai fini
IRPEG, con riguardo all’anno d’imposta 1999 e per il quale, a seguito di p.v.c.
notificato dalla Guardia di finanza nel mese di maggio del 2003 (ed originariamente
attinente ad una verifica generale per l’anno 2001), venivano contestate alla società —
per quanto qui d’interesse – le modalità di calcolo dell’accantonamento a fondo
svalutazione dei crediti deducibili. In particolare, constatato l’inserimento fra tali
poste anche dei crediti per fatture emesse su regolari stati di avanzamento di lavori
d’appalto, vennero conteggiati elementi negativi di redditi indeducibili per circa
25.000 curo (pari allo 0,50% sui crediti totali).
Ritenne la C.T.R. di dover dissentire dal riconoscimento nelle prestazioni
fatturate dalla s.p.a., ma non ancora pagate, di veri e propri ricavi, derivandone la
non includibilità nelle svalutazioni di cui all’art.71 TUIR, trattandosi di crediti per i
quali l’alea non era venuto meno solo per la mancata contestazione del committente.
Il ricorso è affidato a due motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione, in relazione
all’art.360 n.5 cod.proc.civ., avendo la C.T.R. erroneamente ritenuto che la certezza
dei crediti, condizione di applicazione della svalutazione agli stessi, promanasse solo
dal loro incasso.
Con il secondo motivo, si deduce violazione degli artt.71, co.1 e 53 d.P.R.
n.917/1986, in relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ., avendo la C.T.R. negato che
potesse appartenere alla base di calcolo svalutabile dello 0.50% annuo anche il
montante dei crediti, risultante a bilancio, afferente a prestazioni di servizi fatturati
per lavori in corso, ammessi dal committente e contabilizzati nello stato passivo
patrimoniale della società.
I motivi, da trattare congiuntamente perché connessi, sono fondati. La C.T.R.,
muovendo dall’esplicita opzione per cui le presta ioni non ancora pagate non costituiscono
ricavi, ne ha tratto la conseguenza che ad esse va negata la includibilità tra le poste
svalutabili ai sensi dell’art.71 TUIR, proprio perché quel requisito di certezza si
salderebbe al solo incasso. Ritiene il Collegio che la regola applicabile alla fattispecie —

z

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estenso

ITO

IL PROCESSO

Requisito per l’accesso all’istituto è una nozione sostanziale di crediti, che cioè
prescinda dalla modalità di contabilizzazione — optabile dal contribuente senza
incidenza sulla base imponibile — e per essa dall’inserzione di tali poste, sulla base di
una nozione civilistica, già tra i ricavi di esercizio ovvero tra gli acconti, trattandosi
comunque di corrispettivi fatturati e senza alti margini d’incertezza, nonché riferibili
proprio alle prestazioni di servizi in grado di generare ricavi in senso stretto, per la
connessione all’attività dell’imprenditore. Non osta pertanto a tale criterio generale
l’appostazione contabile dei crediti che, come nella specie, correlandosi a lavori non
esauriti in una singola prestazione — altro non potendo inferirsi dalla sentenza o dalle
difese, ma dovendosi ipotizzare una esecuzione anche ultraannuale in un coacervo
cumulato di crediti verso terzi per lavori d’appalto -, sono stati apprezzati dalla società
contribuente tra le rimanenze finali, nella sottovoce dell’attivo che rimanda ai lavori
in corso di ordinazione e, per il passivo, è bilanciata tra i debiti, alla stregua di acconti
da clienti. I corrispettivi contabilizzati tra gli acconti, una volta dunque materialmente
incassati, si riflettono in diminuzione delle citate rimanenze, portate ad esercizi
successivi e alla base del calcolo del risultato utile eventuale dell’appalto, dopo il
collaudo finale. Tale prospettiva, tipica delle prestazioni strutturate in una vicenda
economica d’appalto distribuita nel tempo, non esclude che per intanto i singoli
crediti, ancorchè non incassati, entrino nella base imponibile alla stregua di ricavi
secondo la nozione fiscale di cui all’art.53, co.1, lett.a), TUIR ratione temporis,
rimunerando le prestazioni di servizi e, per il richiamo che anche ad esse opera
l’art.71, co.1, divenendo suscettibili come tali di svalutazione deducibile. Nella specie,
va invero conferita pacificità al fatto, come accertato dal giudice del merito, della
natura di crediti commerciali delle citate poste patrimoniali, non potendo ammettersi
che l’insorgenza del presupposto della svalutazione dei citati corrispettivi scatti solo
all’incasso, piuttosto conseguendo da tale evento proprio la venuta meno dell’esigenza
rettificativa, e di cui si discute, posta dall’art.71, co.1, cit., essendosi il credito
convertito in disponibilità (liquida o equivalente).
Tali affermazioni si armonizzano e trovano conferma invero, da un lato, negli
obblighi di contabilizzazione del mancato pagamento dei corrispettivi per la fornitura
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estenso


pacificamente attinente a crediti commerciali maturati dalla società contribuente verso
i committenti di lavori, con contabilizzazione non contestata dello stato di
avanzamento e sia pur per collaudi finali non ancora effettuati — debba muovere dal
diverso principio per cui ratio dell’art. 71 cit. è quella di escludere la deducibilità per i
soli crediti coperti da garanzia assicurativa, in quanto tutelati contro il rischio
dell’insolvenza, e non anche per quelli per i quali tale rischio rimane a carico esclusivo
del titolare nonostante ogni vicenda di assunzione ricognitiva del debito in capo alla
controparte del rapporto obbligatorio: ne deriva una generale persistenza del principio
secondo il quale, in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del
reddito d’impresa, gli accantonamenti iscritti nel fondo di copertura di rischi su crediti
sono deducibili, ai sensi dell’art. 71 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sulla base del
computo della svalutazione deducibile in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 per
cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi.

iSENTE D 3, 7’7c:
AI

Il ricorso va pertanto accolto, con cassazione della sentenza e, non rilevandosi
esigenze di approfondimento istruttorio, decisione anche nel merito del ricorso
originario del contribuente, parimenti fondato, con conseguente illegittimità
dell’avviso di accertamento impugnato. Sussistono giustificati motivi per la integrale
compensazione delle spese dell’intero processo, stante la peculiarità e novità della
questione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
dichiara fondato il ricorso originario del contribuente, dichiarando l’illegittimità
dell’avviso di accertamento impugnato, con compensazione integrale delle spese
dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2013.

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di merce, per i quali vigono adempimenti — connessi alla diminuzione dei ricavi — da
riferire a crediti inesigibili con operazioni alla data di consegna della merce ed
emissione di fattura (dunque non nell’anno successivo, ma in quello dei predetti
adempimenti: Cass. 7313/2003) e, dall’altro, alla comune qualificazione siccome
crediti delle poste attive insolute maturate pro tempore nel contratto d’appalto che poi si
risolva, senza dunque permettere alcuna vicenda equivalente al collaudo finale (al
punto che è da quelle scadenze singole, di rata, che maturano gli interessi di mora sui
lavori eseguiti e non terminati, anche per la P.A., apparendo così indubbio che si tratta
di crediti, mentre per le altre ‘voci di credito’ dell’impresa, quali il valore dei materiali
presenti in cantiere o il decimo dei lavori non eseguiti, sono dovuti solo gli interessi
legali dalla domanda o dalla messa in mora: Cass. 23089/2007, 7204/2011).

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