Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 349 del 13/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 13/01/2021), n.349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24205/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

S.G., con l’avv. Luigi Manzi e l’avv. prof. Cesare

Glendi, e con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma,

Via Federico Confalonieri n. 5;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il

Veneto n. 966/31/2014, pronunciata in data 10 marzo 2014 e

depositata il 10 giugno 2014, notificata il 2/07/2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre

2020 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria;

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il ricorrente è socio accomandatario della società Maserada Immobiliare di S.G. & C. s.a.s, operante nel settore di compravendita di immobili, ed oggetto di verifica fiscale nel corso del 2008 in relazione all’anno d’imposta 2005 da cui emergeva alcuni versamenti del socio, incongruenti con i redditi dichiarati, in favore della società. Pertanto in data 21/10/2010 l’Amministrazione finanziaria notificava al socio un questionario, riscontrato in data 05/11/2010. Il successivo incontro in contraddittorio e l’integrazione documentale da parte del contribuente non erano ritenuti sufficienti dall’Ufficio che notificava 3 avvisi di accertamento sintetico del reddito per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008.

Il contribuente adiva il giudice di prossimità lamentando il difetto di notifica e la carenza di motivazione, oltre che la violazione del termine dilatorio previsto dallo Statuto del contribuente, art. 12 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 per assenza di scostamento, avendo egli fornito la prova di disponibilità finanziaria pregressa, di rimborsi finanziari da parte della società stessa, di cessioni di titoli, di disinvestimenti e di contributi agricoli. L’Ufficio aderiva al parziale accoglimento del solo ricorso per l’anno 2008, fermo il rigetto per le restanti impugnative: a tali conclusioni aderiva in toto anche la CTP. Interponeva appello il contribuente, cui replicava l’Ufficio ribandendo che l’accertamento sintetico si basava su alcuni elementi quali la residenza, gli autoveicoli le assicurazioni e i pagamenti. Solo alcuni dei disinvestimenti veniva riconosciuti: gli altri e i rimborsi percepiti dalla società non venivano conteggiati in quanto non documentanti. La CTR confermava il rigetto delle censure del contribuente rispetto alla violazione del termine di sessanta giorni sancito dalla L. n. 212 del 2001, art. 12, comma 7, poichè non applicabile ad una indagine documentale come quella di specie. Confermava poi la decisione negativa di primo grado rispetto al reddito d’impresa del 2005, poichè sub iudice, il rimborso dei finanziamenti soci perchè non provati e i disinvestimenti perchè troppo risalenti. Di contro accoglieva l’appello proposto dal contribuente per due ordini di ragioni: da un lato il nuovo redditometro si baserebbe sul concetto di spesa effettiva, a fronte di quello vecchio da cui scaturirebbero accertamenti troppo svincolati dalla realtà e quindi carenti di motivazione, oltre che aventi natura di presunzione semplice. Dall’altro il nuovo redditometro, in quanto norma procedimentale, sarebbe applicabile anche ai redditi anteriori al momento dell’entrata in vigore della norma se vigente al momento della sua applicazione.

Ricorre per cassazione l’Ufficio affidandosi a 5 motivi di doglianza, cui resiste con controricorso il contribuente, ivi svolgendo anche un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2.Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. L’Ufficio lamenta che la CTR sarebbe incorsa in un vizio di ultrapetizione per essersi pronunciata d’ufficio su un’eccezione proponibile (ma non proposta) dalle parti nella parte in cui qualifica l’accertamento scaturente dal vecchio redditometro come privo di motivazione, oltre che con valore di mera presunzione semplice.

Con il secondo motivo la ricorrente la violazione dell’art. 3 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo l’Amministrazione finanziaria il nuovo redditometro, in quanto atto normativo, non è soggetto all’obbligo di motivazione a termini della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 2.

Con il terzo motivo l’Ufficio censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e s.s. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare lamenta che il redditometro applicato (rectius quello vigente ante riforma ad opera del D.L. n. 78 del 2010, art. 22) non darebbe origine ad una presunzione semplice, quanto una presunzione legale relativa, così consentendo al contribuente di poter fornire la prova contraria che il reddito presunto non esiste ovvero che esiste in misura minore.

Con il quarto motivo l’Amministrazione si duole della violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 22 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La CTR avrebbe errato nell’applicare il nuovo redditometro all’accertamento effettuato nei confronti del contribuente poichè esso si applica ai redditi maturati dall’anno d’imposta 2009 in poi, restando così esclusi quelli maturati anteriormente.

Con il quinto motivo la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5 (nella versione in vigore dopo la modifica ad opera del D.L. 78 del 2010, art. 22) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente la CTR avrebbe errato anche nell’applicazione della disciplina relativa al nuovo redditometro. In particolare non avrebbe tenuto conto di tutti i beni indice previsti e non avrebbe operato alcun raffronto con gli indici Istat.

3.11 resistente svolge poi due motivi di ricorso incidentale condizionato.

In via principale deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare lamenta la nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento per non aver l’Amministrazione finanziaria rispettato il termine endoprocedimentale minimo di sessanta giorni e per non aver illustrato le ragioni di urgenza che ne hanno impedito il rispetto.

In via subordinata il controricorrente evidenzia, in modo peraltro generico, che la mancata impugnazione della sentenza di secondo grado da parte dell’Ufficio comporterebbe la formazione di giudicati che tali rimarranno anche in sede di rinvio.

4. Il primo motivo del ricorso principale è fondato e va accolto. E’ noto l’orientamento di questa Corte secondo cui il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda. Tuttavia esso non osta al fatto che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione autonoma dei fatti di causa rispetto a quella prospettata dalle parti (Cass., Sez. V, n. 29200/2018).

D’altro canto è altresì noto che il giudizio tributario è un giudizio d’impugnazione in cui la fondatezza della pretesa dell’Amministrazione finanziaria va giudicata in base a quanto devoluto al giudice, tramite le censure specifiche mosse dal ricorrente in relazione alla pretesa erariale evidenziata dall’atto impositivo (Cassazione sentenza n. 8387 del 20/09/1996). Ed è per questo motivo che i motivi dell’opposizione al provvedimento impositivo si configurano come causa petendi della correlata domanda di annullamento, sicchè incorre nel vizio di extra o ultrapetizione il giudice adito che dichiari la nullità dell’avviso di accertamento sulla base di motivi non dedotti dalla parte interessata (Cass. sez. V, n. 24910/2018).

Nel caso di specie la CTR non ha maturato la propria decisione compiendo una autonoma valutazione sulle circostanze di fatto. Al contrario il giudice di secondo grado si è limitato a paragonare tra loro il vecchio e il nuovo redditometro: è così giunto alla conclusione di applicare il secondo basandosi esclusivamente sul (presunto) debole valore probatorio degli indici e dei criteri del primo nonchè sulla natura procedimentale della nuova disciplina introdotta dal D.L. 78 del 2010, ancorchè mai prospettata dalle parti e quindi mai oggetto di contraddittorio. Il motivo è pertanto fondato posto che l’applicazione retroattiva alla disciplina introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, la cui applicabilità non concreta certamente una circostanza di fatto soggetta ad autonoma valutazione da parte del Giudice, non è mai stata oggetto di motivo di ricorso e non è pertanto configurabile come causa petendi del giudizio.

Il primo motivo è quindi fondato e la sentenza dev’essere dichiarata nulla.

2. Il carattere pregiudiziale del primo motivo esclude l’esame degli ulteriori motivi del ricorso principale.

3. In ragione dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, dev’essere esaminato il ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.

3.1 Con il primo motivo si denuncia censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. Lamenta il contribuente la nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento per non aver l’Amministrazione finanziaria rispettato il termine endoprocedimentale minimo di sessanta giorni e per non aver illustrato le ragioni di urgenza che ne hanno impedito il rispetto.

Dopo alcuni contrasti giurisprudenziale questa Corte è giunta ad affermare, con orientamento confermato anche recentemente, il principio di diritto secondo cui “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.” (Cfr. Cass., SS. UU., sentenza n. 24823/2015). Orbene, nel caso di specie, non sussisteva in capo all’Amministrazione alcun obbligo di attivare il contraddittorio procedimentale nè di rispettare il termine minimo di sessanta giorni. Infatti, l’accertamento effettuato nei confronti del contribuente aveva ad oggetto tributi non armonizzati, come tali soggetti alla sola disciplina statale. Inoltre si è trattato di un’indagine “a tavolino”: è pacifico infatti che le verifiche siano state eseguite in sede di colloquio presso la sede dell’ufficio dopo che il contribuente aveva fornito alcune informazioni mediante la compilazione di questionari. E ciò a prescindere dalla circostanza che con il motivo di ricorso incidentale il contribuente non ha introdotto alcuna argomentazione o circostanza di fatto idonea a dimostrare che il contraddittorio procedimentale avrebbe potuto condurre ad un esito diverso ove fosse stato avviato.

Il motivo è quindi infondato e non merita accoglimento.

3.2. Con il secondo motivo, in subordine il ricorrente incidentale evidenzia, in modo peraltro generico, che la mancata impugnazione della sentenza di secondo grado da parte dell’Ufficio comporterebbe la formazione di giudicati che tali rimarranno anche in sede di rinvio. Il motivo svolto in via di subordine è inammissibile stante la sua estrema genericità.

Peraltro, eventuali eccezioni sul giudicato saranno rimesse al vaglio del giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla CTR per il Veneto cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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